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Tag: Talebani

Il disastro imminente in Afghanistan

Se il mondo continuerà a ignorare la terribile situazione in Afghanistan, le conseguenze saranno presto irreparabili

Rawa News, 7 ottobre 2024

L’Afghanistan, sotto il controllo dei talebani, è una polveriera pronta a esplodere con conseguenze che si riverseranno in tutta la regione e nel mondo. Le forze motrici di questo imminente disastro sono profondamente radicate nelle manovre ideologiche, strategiche e operative dei talebani, che si sono intensificate dopo l’uscita americana.

Il lavaggio del cervello dei giovani, il monopolio sulla produzione di droga illecita, l’accoglienza e il sostegno di gruppi terroristici globali, la trasformazione della povertà in un’arma e il reclutamento di rifugiati hanno portato l’Afghanistan sull’orlo di un’imminente esplosione, con conseguenze che potrebbero rivelarsi più gravi di quelle dell’11 settembre 2001. Capire cosa stanno facendo i talebani merita ulteriori spiegazioni.

 

Il lavaggio del cervello dei giovani

L’attenzione dei talebani all’educazione dei giovani afghani nelle scuole religiose (madrasa), che servono come centri di addestramento per militanti e attentatori suicidi, rappresenta una minaccia immediata e a lungo termine per la regione e l’Occidente. Attraverso un incessante lavaggio del cervello, queste madrase creano una generazione di bambini e adolescenti immersi nel radicalismo. Alle giovani reclute viene insegnato che il martirio e gli attacchi suicidi non sono solo onorevoli, ma anche necessari.

Ciò che rende questo fenomeno particolarmente preoccupante è la sua portata. Decine di migliaia di giovani menti sono pronte per la violenza e questo esercito di giovani verrà schierato da qualche parte. Le conseguenze per i paesi vicini e l’Occidente, che stanno già lottando contro la radicalizzazione, potrebbero essere catastrofiche. Come ha detto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite Roza Otenbayeva, capo della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA), “I talebani non consentono alcun monitoraggio di queste scuole e non sappiamo cosa insegnino lì”.

Secondo il Ministero dell’Istruzione dei Talebani, almeno 17.300 madrase sono ufficialmente attive in tutto l’Afghanistan. Nel frattempo, secondo un ordine emesso dai Talebani il 20 giugno 2022, in ogni distretto dell’Afghanistan vengono costruite da tre a 10 scuole jihadiste, con una capienza di 500-1.000 studenti ciascuna. L’Afghanistan ha 408 distretti e la costruzione di tre o 10 nuove scuole jihadiste per distretto potrebbe rapidamente trasformare il paese nel centro del terrorismo globale.

 

Rifugio sicuro per gruppi terroristici

L’Afghanistan, sotto il dominio dei talebani, è di nuovo un rifugio per gruppi terroristici internazionali. La vittoria dei talebani ha incoraggiato e rafforzato i gruppi estremisti, fornendo loro lo spazio per riorganizzarsi, addestrarsi e pianificare. Gruppi come al-Qaeda, il Movimento islamico dell’Uzbekistan e il Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP) ora operano liberamente all’interno dell’Afghanistan. I legami dei talebani con questi gruppi terroristici non sono superficiali. Sono radicati in un’ideologia comune, interessi politici a lungo termine e, cosa più importante, molti leader talebani hanno legami familiari di lunga data con i leader di questi gruppi.

Secondo un rapporto di Hasht-e-Subh, i talebani stanno costruendo basi ben equipaggiate con case residenziali per la rete di Al-Qaeda e Tehrik-e Taliban Pakistan nella provincia di Ghazni. Allo stesso modo, i rapporti delle Nazioni Unite, in particolare il rapporto di luglio 2024, sono la prova di questa affermazione. Le Nazioni Unite affermano che l’Afghanistan, sotto il governo dei talebani, è un “rifugio sicuro” per gruppi come Al-Qaeda e ISIS. Questa rete di relazioni garantisce che i talebani continueranno a collaborare con questi gruppi nei loro sforzi collettivi per destabilizzare la regione, espandere l’influenza ed esportare il terrore a livello globale, creando un disastro per la sicurezza con conseguenze globali devastanti.

 

Monopolio della droga

Sebbene i talebani abbiano ufficialmente vietato la coltivazione e il traffico di stupefacenti, hanno monopolizzato l’industria. Limitando l’offerta, i talebani stanno facendo aumentare il prezzo della droga, rendendo il commercio più redditizio per loro stessi e per i loro affiliati. Come osservato nel rapporto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del luglio 2024, è ancora troppo presto per valutare l’impatto completo del divieto di coltivazione del papavero. Tuttavia, alti funzionari talebani si oppongono al divieto. I coltivatori di papavero perdono mentre i talebani guadagnano. Il rapporto afferma: “A causa delle scorte di papavero, il commercio di droga in Afghanistan rimane significativo”.

La mancanza di attenzione del mondo a questo sviluppo rischia di creare un’economia sommersa della droga, rafforzando ulteriormente i talebani e i loro gruppi terroristici alleati, minando la sicurezza e la stabilità in Afghanistan e nella regione. Man mano che l’impero della droga dei talebani si espande, i gruppi terroristici ne trarranno sempre più vantaggio.

 

La trasformazione della povertà in un’arma

Una delle strategie più pericolose utilizzate dai talebani è l’impoverimento deliberato del popolo afghano. Facendo ciò, perseguono due obiettivi.

In primo luogo, gettano una larga parte della popolazione in una povertà estrema ed eliminano le opportunità di istruzione, impiego e sopravvivenza di base. Ciò rende più facile reclutare persone nei loro ranghi e nei gruppi terroristici alleati.

In secondo luogo, il controllo dei talebani sulle risorse locali e il loro monopolio sul commercio illecito forniscono ampi incentivi finanziari a coloro che sono disposti a combattere per loro. In questo modo, la povertà diventa un’arma e alimenta la ribellione e il radicalismo.

 

Reclutamento dei richiedenti asilo deportati

I talebani incoraggiano la deportazione dei rifugiati afghani cooperando segretamente con alcuni paesi, in particolare quelli della regione. Questa è una politica di importanza strategica per il regime.

Molti afghani deportati, che tornano nella terra dove non trovano mezzi di sopravvivenza, vengono facilmente reclutati dai talebani e dai gruppi terroristici alleati. La deportazione è vitale per i talebani, poiché assicura un flusso costante di individui disillusi e frustrati che diventano pedine nel loro schema più ampio.

Molti paesi non riescono a cogliere il significato di questo problema e lo considerano superficialmente. Deportare gli immigrati, soprattutto dai paesi occidentali, alimenta sentimenti anti-occidentali tra la popolazione, rendendoli suscettibili di servire gruppi terroristici.

 

Il tempo sta per scadere

Se il mondo continua a ignorare la terribile situazione in Afghanistan, le conseguenze si riveleranno presto irreparabili. Il lavaggio del cervello dei giovani della nazione, il traffico di droga dei talebani, i rifugi sicuri per i terroristi, la militarizzazione della povertà e il reclutamento di rifugiati avranno presto un impatto sui vicini dell’Afghanistan e sull’Occidente. I vicini dell’Afghanistan, Pakistan, Iran, Asia centrale e India, soffriranno di più, ma l’impatto non sarà limitato alla regione. Paesi molto più lontani, specialmente in Occidente, saranno nel mirino di queste ripercussioni.

Il ritiro americano dall’Afghanistan è stato un grave errore di calcolo. L’amministrazione Biden, in particolare Jake Sullivan, ritiene che i droni e la sorveglianza aerea possano controllare la situazione. Ciò riflette un errore strategico che ricorda l’approccio americano durante la Guerra Fredda. In definitiva, quella visione errata ha contribuito all’ascesa del terrorismo internazionale e agli attacchi dell’11 settembre 2001. Abbandonare ancora una volta il popolo afghano si rivelerà catastrofico, soprattutto per l’Occidente.

Come afghano, esorto l’Occidente a prestare attenzione e a garantire che l’Afghanistan che ha portato all’11 settembre non diventi lo stesso Afghanistan del prossimo futuro. Può essere un paese senza sbocco sul mare in Asia centrale, ma l’Afghanistan ha già dimostrato di poter causare grandi danni quando lasciato a se stesso.

L’autore è un afghano il cui nome, per motivi di sicurezza, non è stato reso noto.

Roma, incontro con Shakiba, militante rivoluzionaria afghana

pressenza.com

Martedì 15 ottobre 2024, a San Lorenzo, nel rosso quartiere che fu uno dei fulcri della Resistenza romana (fu infatti il solo quartiere che respinse i fascisti perfino nei giorni della Marcia su Roma) si è tenuto un importante incontro, nella storica sede di Sinistra Anticapitalista, organizzato in collaborazione con il Cisda,  Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, per dare voce alla partigiana nonviolenta (nell’eccezione più vera e rivoluzionaria di questo termine) Shakiba, militante di Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), ossia l’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan.

Per ovvi motivi di sicurezza nessuno ha potuto fotografarla, filmarla e neppure registrare la sua voce. A me tocca l’arduo compito di tentare di riportare, nel modo più fedele possibile, i suoi ragionamenti.

Rawa nacque nel 1977 grazie alla caparbietà di Meena, un’interessantissima figura di intellettuale e militante rivoluzionaria marxista e femminista, che andrebbe meglio conosciuta anche da noi per il suo esempio e le sue lucidissime analisi.

Le donne di Rawa hanno tra i loro sostenitori moltissimi uomini, che simpatizzano e appoggiano l’organizzazione perché sono consapevoli che non ci sarà mai libertà in Afghanistan senza la liberazione delle donne, in particolare di quelle delle zone rurali, oppresse da secoli di patriarcato.

Fin dall’inizio le sue militanti furono costrette ad agire nella clandestinità, perché si opponevano fieramente da un lato all’invasione sovietica, che fu tutt’altro che un aiuto fraterno, dall’altro alle milizie fondamentaliste dei sedicenti “mujāhidīn”, armate, finanziate e addestrate dagli Usa, attraverso la Cia, in funzione antisovietica.

Shakiba, come a suo tempo sosteneva Meena, chiarisce subito, anche per sgomberare il campo da ogni possibile strumentalizzazione islamofoba, che l’Islam in quanto tale non c’entra nulla in questo conflitto di genere: non si tratta di una questione religiosa, ma di una  manipolazione e strumentalizzazione della religione per ciniche finalità di potere.

Lo stesso, dice Shakiba, è accaduto e accade per il cristianesimo e perfino per gli ideali comunisti, quando sono stati e sono tuttora utilizzati come ideologia utile a sostenere regimi criminali e dispotici.

L’ Afghanistan è da secoli un Paese islamico. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso si stava rapidamente secolarizzando e aveva avviato un pacifico processo di laicizzazione, rispettoso della fede islamica professata della stragrande maggioranza dei suoi abitanti.

L’ invasione sovietica e il cinico utilizzo da parte degli Usa dell’islamismo politico, importato come ideologia dall’Arabia Saudita, hanno prodotto, insieme alla barbarie di decenni di continue guerre, il disastro e l’arretramento attuali, soprattutto se si considerano i risultati ottenuti durante questo rapido processo di democratizzazione.

Purtroppo attualmente un ruolo negativo nelle vicende afghane è giocato perfino dall’Onu, che poco o nulla fa per denunciare l’apartheid di genere; Russia, India e Cina riconoscono l’attuale governo dei talebani per ragioni economiche e geostrategiche e ovviamente questo avviene a scapito dei tanto proclamati quanto inattuati Diritti Umani.

Queste strane alleanze o aperture dei principali Paesi dei Brics influiscono negativamente sulla creazione di una rete capillare di solidarietà internazionalista; un certo atteggiamento, che io chiamo campista, è diffuso infatti tra alcune formazioni della sinistra radicale e comunista occidentale, che si disinteressa delle lotte delle donne curde, iraniane e afghane perché questi movimenti femministi si battono contro Paesi riconosciuti come nemici del nostro maggior nemico, il governo degli Stani Uniti d’America.

L’attuale, drammatica situazione economica afghana è il frutto di decenni di oppressione. Le donne di Rawa sono militanti politiche, ma considerano fondamentale impegnarsi concretamente a favore delle donne e del loro popolo.

L’intento principale è quello di creare un sistema scolastico alternativo, necessariamente clandestino, ma di alta qualità, per dare un’istruzione laica, democratica e progressista a tutti i bambini e soprattutto a tutte le bambine e ovviamente alle giovani afghane, a cui lo studio viene totalmente precluso dopo i 13 anni.

Giustizia sociale, libertà, governo laico e secolare, rispetto dei Diritti Umani sono i principali obiettivi del programma politico di Rawa che, in quanto nemica di ogni forma di oppressione, è stata ferocemente combattuta da tutti i governi afghani.

Il lavoro sociale politico e umanitario di Rawa in Afghanistan e nei campi profughi in Pakistan non si è mai fermato nonostante la feroce repressione.

Rawa ha inoltre sempre denunciato la corruzione dei partiti jeadistii, dei talebani e del governo corrotto e collaborazionista imposto dopo l’occupazione americana.

Il sito di Rawa e la rivista “Payam-e-Zan” (il messaggio delle donne”) diffondono in Afghanistan e nel mondo il loro programma, le notizie dall’Afghanistan e dal Pakistan e i messaggi di solidarietà che giungono da ogni parte del mondo.

Shakiba ci tiene a denunciare il regime sionista e a esprimere la sua totale solidarietà alle donne palestinesi e libanesi e ai loro popoli martoriati in un vero e proprio genocidio orchestrato dal governo israeliano.

Servono mobilitazione mondiali di vero internazionalismo tra i popoli, fondato sul rispetto dei diritti umani, che non dimentichi e non strumentalizzi le lotte delle donne; le rivoluzionarie iraniane sono da sempre nostre sorelle, continua Shakiba.

I talebani non sono affatto cambiati, si sono semplicemente fatti più furbi e spregiudicati, ma sono e restano un movimento politico fascista che manipola l’autentica fede islamica del popolo e gestisce la produzione dell’oppio ricavandone enormi profitti.

A un certo punto Shakiba ha un istante di commozione e poi si scusa: “Non dovevo, dobbiamo essere forti, farci forza, non sono venuta qui a piangere, ma a intessere relazioni politiche. Ho pensato alle mie figlie in Afghanistan, che ho lasciato per questo breve tour politico, ma che a breve raggiungerò nuovamente. Mi dicono spesso: ‘Tu che puoi farlo perché non lasci l’Afghanistan con le tue figlie per assicurare loro un futuro migliore?’

Io esprimo la mia totale solidarietà ai milioni di profughi che hanno lasciato il mio Paese e che l’Europa ha il dovere di accogliere come rifugiati politici e invece lascia morire di freddo al confine polacco e nel Mediterraneo, dopo aver per secoli sfruttato le risorse del mio Paese e portato decenni di guerre e un fondamentalismo prima pressoché assente.

Io sono una militante rivoluzionaria, come le mie compagne e come gli uomini che ci sostengono e con cui lavoriamo, ad esempio il Partito laico e di sinistra vera Hambastaghi, Solidarietà, che, ormai clandestino anche in Pakistan, unisce donne e uomini pashtu, hazara, tagik, di ogni fede e che lotta con noi per la libertà del popolo afghano.

Noi donne di Rawa non ce ne andiamo, anche se alcune di noi, io stessa, possiamo farlo e lo facciamo per le nostre missioni all’estero, dopo le quali rientriamo in Afghanistan.

Sentiamo la responsabilità umana e politica di restare a lottare perché le donne più fragili dei villaggi rurali non possono permettersi per ragioni economiche di migrare abbandonando il Paese.

Attualmente gestiamo scuole segrete, in case sicure, parliamo con i vicini, abbiamo cresciuto culturalmente moltissime ragazze e ragazzi. Le scuole religiose indottrinano al fondamentalismo i giovani, vogliono farne fanatici assassini.

Abbiamo un team medico itinerante e portiamo medici e farmaci anche durante le catastrofi naturali, che sono sempre più violente anche per via dei mutamenti climatici frutto delle politiche scellerate dei Paesi più industrializzati.

L’oppressione politica, culturale ed economica blocca però le mobilitazioni ambientaliste. Il popolo è talmente oppresso dalla dittatura e dalla quotidiana lotta per la sopravvivenza da non riuscire a mobilitarsi sulle questioni ambientali, anche se noi siamo i primi a pagare le conseguenze di un modello di sviluppo disastroso per il futuro dell’umanità. Nelle nostre scuole insegniamo queste problematiche.

Ora la priorità e la precondizioni di ogni altra lotta è la fine del regime talebano”, conclude Shakiba.

Afghanistan, i Talebani ritornano alle origini. Vietato pubblicare immagini di esseri viventi sui media: “Contrarie alla legge islamica”

ilfattoquotidino.it

In Afghanistan sarà vietato per i media locali pubblicare immagini di esseri viventi. Proprio come nel 1996. Lo ha annunciato il portavoce del Ministero per la Promozione delle Virtù e la Prevenzione del Vizio, Saiful Islam Khyber. La nuova misura, ha fatto sapere il Ministero, sarà introdotta in tutto il Paese gradualmente, ma “non c’è posto per la coercizione nella sua implementazione”, ha aggiunto facendo notare che dovranno essere le autorità talebane a “convincere i cittadini” che pubblicare immagini di esseri viventi è contrario all’Islam. L’ultima affermazione fatta dal ministro, secondo cui non sarà necessario l’uso della violenza, vuol trasmettere una certa clemenza da parte dei Talebani ma la realtà è ben diversa. Secondo quanto riportato da Adnkronos, nella provincia di Ghazni, alcuni funzionari del ministero hanno già convocato i giornalisti locali per metterli al corrente della decisione e hanno consigliato ai fotoreporter di scattare foto da più lontano e di filmare meno eventi “per prendere l’abitudine”. L’implementazione della nuova norma è iniziata nella “roccaforte talebana meridionale di Kandahar e nella vicina provincia di Helmand e procederà gradualmente”, ha concluso Khyber. Ma, nonostante la dichiarazione, molti giornalisti della zona hanno riferito di non aver ricevuto alcuna comunicazione a riguardo.

Il nuovo provvedimento si colloca nel quadro della nuova legge sui media redatta affinché essi si conformino e non contraddicano in alcun caso la Sharia – ovvero la legge islamica – che è in vigore nel Paese. Il testo, che ha lo scopo dichiarato di “combattere il vizio e promuovere la virtù” è composto, come riporta Associated Pressche ha potuto visionarlo, da 114 pagine e 35 articoli riguardanti aspetti della vita quotidiana come i trasporti pubblici, la musica e le celebrazioni.Durante il primo regime talebano, durato dal 1996 sino al 2001, venne imposto il divieto di pubblicare immagini che ritraessero esseri viventi. L’imposizione ha le sue radici in un principio religioso islamico denominato aniconismo. Generalmente associato al mondo dell’arte, sulla base di tale principio è considerato haram, ossia vietato, rappresentare Dio. Quindi il principio alla base della decisione dei Talebani è questo: creare e pubblicare immagini rende gli uomini degli idolatri, dei politeisti. L’idolatria secondo l’interpretazione più radicale della dottrina islamica costituisce il primo peccato dell’uomo. Nel testo sacro del Corano, però, non è espresso alcun divieto esplicito al riguardo. Il divieto di adorare divinità all’infuori di Dio nella rigida visione wahhabita – quella su cui si basa l’interpretazione talebana – si affianca al principio che proibisce ogni forma di culto rivolta a figure umane. In ragione di questo, per esempio, furono proprio i Talebani a causare una delle perdite artistico-culturali più gravi dal secondo Dopoguerra: la distruzione dei Buddha di Bamiyan del VI secolo.A tre anni dal loro insediamento al potere, la situazione in cui versa il paese sembra peggiorare di mese in mese. Ad oggi, nonostante l’Emirato islamico non sia formalmente riconosciuto, la normalizzazione dei rapporti con attori regionali e internazionali sta permettendo agli esponenti politici talebani di consolidare politiche sempre più stringenti che rafforzano il regime autoritario. Il Paese sta inoltre attraversando una delle crisi umanitarie più intense degli ultimi anni. Ha un’economia fragile e a livello sociale, la discriminazione di genere è ormai istituzionalizzata. Ogni possibilità di opposizione da parte dei più moderati, aperti verso un dialogo con l’Occidente, appare sfumata. Sin dal suo insediamento, l’attuale Guida Suprema dell’Afghanistan, lAmir ul-muminin Haibatullah Akhundzada, ha predisposto un controllo capillare sulla popolazione civile e questo ha contribuito a limitare e danneggiare i diritti e le libertà fondamentali riconosciuti dai trattati internazionali.

Secondo quanto riportato da ISPI, un report redatto da Unama – la missione delle Nazioni Unite in Afghanistan – intitolato De Facto Authorities Moral Oversight in Afghanistan Impacts on Human Rights, nel periodo compreso tra il luglio del 2021 e il marzo del 2024 sono stati registrati almeno “1.033 casi documentati diapplicazione della forza e violazione delle libertà personali, con danni fisici e mentali, con un impatto discriminatorio sulle donne, contribuendo a creare un clima di paura”.

Ad oggi, nella classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporter senza frontiere, l’Afghanistan è al 178esimo posto su 180. Quando i Talebani hanno ripreso il controllo del Paese, l’Afghanistan contava 8.400 lavoratori nei media. Oggi sono solo 5.100, tra cui 560 donne. La stretta annunciata dai Talebani va a sommarsi a una serie di limitazioni introdotte nel corso degli ultimi mesi. Solo qualche settimana fa, per esempio, è arrivato l’annuncio di una nuova legge che ha imposto alle donne il divieto di parlare in pubblico perché non solo il corpo, ma anche la voce femminile deve essere considerata come qualcosa di intimo e, per questo, non rivelata agli estranei. E ancora, la messa al bando delle arti marziali perché ritenute troppo violente e non conformi ai precetti islamici o il divieto della riproduzione musicale.