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Tag: Talebani

Apartheid di genere alla Corte internazionale di Giustizia: reazioni online

Il caso della Corte internazionale di giustizia contro i talebani innesca campagne sui social media da parte sia dei sostenitori che dei critici

Afghan Witness, 9 ottobre 2024

Il 25 settembre 2024, il Guardian  è stato informato che Canada , Australia , Germania e Paesi Bassi  intendono presentare una causa alla Corte internazionale di giustizia (ICJ) contro i talebani per discriminazione di genere, ai sensi della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), ratificata dall’ex governo afghano nel 2003.    

Si prevede che l’Afghanistan, sotto i talebani, avrà sei mesi per rispondere prima che la Corte internazionale di giustizia tenga un’udienza e proponga potenzialmente misure provvisorie. I sostenitori ritengono che anche se i talebani respingessero l’autorità della corte, una sentenza della Corte internazionale di giustizia contro il gruppo potrebbe dissuadere altri paesi dal normalizzare le relazioni con loro.

Gruppi anti-talebani tra cui il National Resistance Front ( NRF ), l’Afghanistan Freedom Front ( AFF ) e il National Resistance Council for the Salvation of Afghanistan ( NRCSA ), nonché attiviste per i diritti delle donne afghane , hanno accolto con favore l’ iniziativa  di chiedere conto ai talebani in merito ai diritti delle donne.       

In risposta al rapporto, il vice portavoce dei talebani Hamdullah Fitrat ha respinto le accuse di discriminazione contro le donne come infondate in un post del 26 settembre 2024  su X (ex Twitter), che è stato successivamente ripubblicato dal portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid. 

Il post di Fitrat recita: “L’accusa di alcuni paesi contro l’Emirato islamico dell’Afghanistan per violazioni dei diritti umani e discriminazione di genere è assurda. In Afghanistan, i diritti umani sono protetti e nessuno è discriminato. Sfortunatamente, sono in corso tentativi di diffondere propaganda contro l’Afghanistan basata su false informazioni da parte di alcune donne e far apparire la situazione sbagliata”.

Gli account pro-talebani su X hanno risposto alla notizia della causa lanciando una campagna volta a promuovere la narrazione dei talebani, mentre screditavano o minimizzavano le affermazioni sulla privazione dei diritti delle donne in Afghanistan sotto il governo dei talebani. AW ha esaminato i post di vari account pro-talebani tra il 25 settembre e il 1° ottobre 2024, per analizzare la loro risposta alla questione.

Diversi account pro-talebani con migliaia di follower hanno pubblicato video di donne afghane che lavorano sia nel settore pubblico che in quello privato, tra cui poliziotte  e imprenditrici , per dimostrare che le donne non erano del tutto assenti dal sistema. Hanno anche condiviso un video  del vice primo ministro Mawlawi Abdul Kabir, dell’agosto 2024 , in cui sostenevano che 85.000 donne erano attualmente impiegate nei settori della sanità, dell’istruzione e della sicurezza dei talebani.    

Affermando che l’Islam garantisce  veri diritti alle donne e sottolineando che le donne afghane sono attualmente al sicuro , alcuni account pro-talebani hanno condiviso un video casuale  che mostra l’arresto di una donna da parte di un poliziotto uomo in America , nonché una foto  che mostra una donna con un uomo che si è colorato  come un cane, sostenendo che questo è il tipo di “libertà e diritti” che gli occidentali cercano per le donne afghane.      

Omar Baryal, un propagandista talebano con 65.000 follower su X, ha respinto  le accuse di discriminazione di genere contro l’amministrazione talebana, sostenendo che le organizzazioni internazionali non hanno l’autorità morale per criticarle. Ha inoltre sostenuto  che dovrebbero concentrarsi invece sull’affrontare le violazioni dei diritti umani in Palestina. Un altro account pro-talebano, con quasi 12.000 follower, ha affermato  che le donne in Occidente erano trattate come lavoratrici e oggetti per soddisfare i desideri sessuali degli uomini.   

Inoltre, alcuni account pro-talebani hanno condiviso video di donne  e ragazze afghane  che indossano l’hijab, affermando che coloro che vivono all’estero e sostengono i diritti delle donne in Afghanistan non le rappresentano. Questi account sostenevano che le donne afghane erano in grado di parlare per sé stesse e che erano soddisfatte dei diritti garantiti dai talebani.  

In un video  condiviso da un account pro-talebani con oltre 266.000 follower, una donna che indossa l’hijab ha affermato che Fawzia Koofi e Shukria Barakzai (ex parlamentari afghane) , insieme ad Aryana Saeed (una rinomata cantante afghana) , non hanno alcuna autorità per rappresentare lei o altre donne musulmane afghane, nonostante le loro affermazioni di farlo. AW ha osservato che questo video è stato pubblicato da centinaia di account pro-talebani , tra cui diversi con oltre 100.000 follower , e nota che era stato precedentemente diffuso da account pro-talebani  nel marzo 2024 .            

Un altro video , in cui una donna pro-talebana parla in inglese e trasmette lo stesso messaggio, ovvero che le donne afghane all’estero non sono loro rappresentanti, è stato pubblicato in modo simile da più di  cento account , tra cui alcuni di spicco con decine di migliaia  e oltre 100.000 follower . Il logo sul video in lingua inglese indica che è stato creato e pubblicato dal canale mediatico pro-talebano Uruj, per la prima volta il 28 settembre 2024            

L’attivista pro-talebana Hafiza Ayesha Emirati , insieme a molti altri account pro-talebani  che utilizzano nomi femminili, ha contribuito attivamente alla campagna pubblicando e ripubblicando vari contenuti, tra cui video  e foto   

L’ossessione dei talebani per le donne non ha fine

Il ministro talebano Hanafi dichiara le voci femminili proibite anche tra donne. Un’ossessione per l’annientamento delle donne che non ha mai fine, in una gara tra i talebani a chi è il più fondamentalista…

Amu TV, 26 ottobre 2024

Il ministro talebano per la virtù, Khalid Hanafi, ha dichiarato che è vietato alle donne adulte parlare ad altre donne adulte, una restrizione che si aggiunge alle crescenti limitazioni alla vita delle donne in Afghanistan.

In una recente dichiarazione audio, Hanafi, inserito nella lista nera delle Nazioni Unite e sanzionato dall’Unione Europea, ha affermato che le donne adulte non devono recitare il Takbir – una preghiera islamica – o il Corano ad alta voce in presenza di altre donne. La direttiva ha provocato forti reazione, con le donne afgane che chiedono di difendere i loro diritti di fronte a quelle che molti considerano politiche estreme e oppressive.

“Da otto anni lavoro nelle cliniche delle aree remote, ma negli ultimi due mesi la sorveglianza da parte dei Talebani si è intensificata”, ha dichiarato Samira, ostetrica di Herat. Ha descritto come i funzionari talebani abbiano ora vietato alle operatrici sanitarie di incontrare gli accompagnatori maschi delle pazienti, limitando la loro capacità di fornire assistenza. “Non ci permettono nemmeno di parlare ai posti di blocco quando andiamo a lavorare. E nelle cliniche ci viene detto di non discutere di questioni mediche con i parenti maschi”, ha aggiunto.

Le nuove regole del ministero richiedono che le donne indossino veli che le coprano completamente, viso compreso, e ora limitano la loro voce anche in casa. Hanafi ha ribadito nella sua dichiarazione che le donne non dovrebbero recitare versetti coranici o preghiere ad alta voce, affermando: “Se una donna non è autorizzata a eseguire il Takbir, allora come può essere autorizzata a cantare?”

Le donne afghane e i sostenitori dei diritti hanno condannato queste misure, descrivendole come parte di una politica “misogina” più ampia che limita la capacità delle donne di muoversi, lavorare e persino parlare liberamente. “Come possono le donne, che sono le uniche a provvedere al sostentamento delle loro famiglie, comprare il pane, cercare cure mediche o semplicemente esistere se anche la loro voce è proibita?”, si è chiesta un’attivista per i diritti delle donne. “Questi ordini paralizzano le donne e rendono la vita difficile a tutte”.

Il Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio dei Talebani, ampiamente considerato la forza dietro le politiche restrittive del gruppo, è finito sotto osservazione dalla comunità internazionale. Le Nazioni Unite e le organizzazioni per i diritti umani hanno aspramente criticato le sistematiche riduzioni dei diritti delle donne da parte dei Talebani, che le hanno lasciate con libertà fortemente limitate.

In linea con i propri regolamenti, il ministero ha persino vietato la diffusione di immagini che mostrino esseri viventi, anche nelle trasmissioni ufficiali.

Voci oltre il silenzio

Con il ritorno dei Talebani i diritti delle donne in Afghanistan hanno vissuto una profonda erosione. Intervista con Graziella Mascheroni, presidente del CISDA (Coordinamento italiano sostegno donne afghane)B

Francesca Lasi, Il Mondo, 20 ottobre 2024

Nemmeno due mesi fa le immagini delle donne afghane che cantano per ribellarsi alla legge che proibisce loro di cantare e parlare in pubblico sono rimbalzate sui social, sulle testate nazionali e internazionali  La legge, emanata dal Ministero per la Prevenzione dei vizi e la Promozione delle virtù, in realtà, conferma quanto già imposto dai Talebani in questi tre anni di dominio, in cui i diritti delle donne sono state progressivamente stracciati.

Ma andiamo con ordine. Il Ministero per la Prevenzione dei vizi e la Promozione delle virtù è stato istituito nel 2021, dopo il ritiro delle truppe statunitensi e la ripresa di Kabul da parte dei Talebani, in sostituzione del Ministero degli Affari Femminili. Sarebbe meglio dire ripristinato: esisteva già nel precedente governo talebano, durato dal 1996 al 2001 (il primo Emirato islamico dell’Afghanistan). La sua funzione è quella di vigilare sull’applicazione di un’interpretazione molto rigida della Sharia. Rigidissima e personalissima, propria dei Talebani.

La legge emanata ad agosto, e approvata dal leader dei Talebani Hibatullah Akhundzada, è divisa in 35 articoli e raggruppa alcune norme – alcune delle quali già in vigore – che restringono ulteriormente i diritti delle donne. Tra i nuovi divieti c’è quello per cui le donne non possono cantare, leggere ad alta voce e recitare poesie in pubblico: secondo i Talebani anche la voce di una donna è “awrah”, cosa “intima”, “privata”. Secondo la legge le donne devono coprire il viso e il corpo quando sono in pubblico, non possono indossare indumenti aderenti o corti, non possono viaggiare se non accompagnate da un “mahram”, cioè un uomo con cui hanno un legame di sangue – un parente stretto, marito, padre o fratello –  e, più in generale, non possono incontrare uomini (in realtà, neanche guardare) che non facciano parte della loro cerchia famigliare.

In base alla legge, inoltre, è vietato produrre e diffondere di immagini raffiguranti esseri viventi, ascoltare la musica,  così come l’adulterio (zina) e le scommesse. Ma anche l’omosessualità: un altro colpo ai diritti delle persone LGBTQIA+.

A “controllare” (e a punire) è la polizia morale (“muhtasib”), che ha il potere di investigare sulla vita privata dei cittadini, di ispezionare i computer e, nel caso ritenesse di aver individuato quelli che vengono considerati “atti immorali”, può arrestare le persone e condurle preventivamente in carcere per un periodo compreso tra un’ora e tre giorni.

Già nel marzo 2023 Akhundzada aveva annunciato l’obbligo, in tutto tutto il Paese di applicare le punizioni corporali, come la fustigazione pubblica e la lapidazione, per quelli che vengono definiti “crimini morali”.

Alla notizia dell’approvazione della legge è seguito un coro unanime di indignazione e preoccupazione ma l’erosione dei diritti delle donne da parte dei Talebani è in atto già da molto tempo.

La resistenza a una lunga storia di violenza

Ad aiutarci a capire cosa sta accadendo in Afghanistan è Graziella Mascheroni, presidente del CISDA (Coordinamento italiano sostegno donne afghane), che dal 1999 porta avanti progetti di solidarietà per le donne afghane. «Il CISDA è nato 25 anni da quando abbiamo conosciuto le prime donne afghane e da allora non le abbiamo più abbandonate – racconta Mascheroni– Siamo nate con le donne afghane di RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan), con loro abbiamo sviluppato alcuni progetti che proprio loro ci hanno richiesto. In Italia cerchiamo fondi attraverso donazioni di privati, associazioni, enti per finanziare questi progetti. La nostra mission è quella di aiutare le donne e le associazioni di donne che rimangono in Afghanistan. Lo facciamo in due modi: economicamente, inviando fondi ,e politicamene, parlando della loro situazione qui, dando voce a chi non ne haIn Italia non abbiamo una sede ma come attiviste siamo presenti in diverse città d’Italia: Milano e hinterland, Como, Torino, Belluno, Firenze, Roma, Piadena, Bologna. Prima del COVID ci ritrovavamo di persona, poi, abbiamo iniziato a fare incontri online, ad eccezione di un incontro nazionale in presenza».

Sono tanti i progetti portati avanti dall’associazione. «Un progetto riguarda una scuola per le donne e le bambine che, però, con l’arrivo dei talebani è stato leggermente cambiato – ha raccontato la presidente del CISDA –  è stato aggiunto un corso di taglio e cucito, per dare la possibilità alle donne di rendersi autonome e avere un’istruzione di base. Senza quella, spiegano, non è possibile capire quali siano i propri diritti».

«Un altro riguarda le case rifugio per donne maltrattate. Prima dell’arrivo dei talebani ne finanziavamo alcune, ora ne è rimasta solo una molto piccola» racconta Mascheroni. I talebani, infatti, hanno smantellato l’intera rete di rifugi e servizi a sostegno delle donne vittime di violenza, come denunciato anche da Amnesty International in un report del 2022. Il sistema aveva sì dei fortissimi limiti ma, per lo meno, esisteva.  Con i talebani non più.

Tra i progetti promossi dall’associazione c’è anche “Vite preziose”, che prevede il sostegno a distanza delle donne afghane: come spiega Mascheroni, con 600 euro l’anno si può sostenere una donna. Un altro, riguarda, invece un’unità mobile sanitaria. Prima dell’arrivo dei talebani, dice Mascheroni, “era una piccola clinica senza degenza che si occupava di visite mediche e distribuzione e medicinali”, poi, però, è stata chiusa e riconvertita. «Un’équipe di medici e infermieri – spiega – si sposta di villaggio in villaggio per fornire cure mediche alla popolazione. In questi ultimi due anni ci sono stati alluvioni, terremoti, quindi interi villaggi distrutti».

Nel dicembre 2021 i talebani hanno proibito alle donne di percorrere più di 72 chilometri da sole, senza un accompagnatore maschio; nel 2022 hanno imposto loro di indossare in pubblico il burqa, l’abito che copre integralmente il corpo, con una fessura o una retina che lascia scoperti gli occhi. I talebani hanno, poi, vietato alle ragazze l’accesso alle scuole secondarie femminili – per poi chiuderle definitivamente – così come quello all’università. Così espresso, questo sembra solo un elenco brutale, ma è proprio questo a segnare il perimetro strettissimo entro cui si muove la vita di una donna afghana.

«Come affermano le e nostre compagne di RAWA, con l’arrivo dei talebani le donne sono tronate all’età della pietra – afferma Mascheroni – La prima proibizione è stata quella di chiudere le scuole per le ragazze, che possono frequentare solo fino all’equivalente della nostra scuola elementare, non possono accedere alle superiori, tantomeno all’università. Non possono andare nei parchi, fare sport, non posso uscire di casa se non accompagnate da un parente maschio, non possono lavorare e non possono essere curate perché, appunto, non ci sono più donne mediche».

Come si comprenderà, anche le manifestazioni sono proibite. «Nel 2021, quando sono arrivati i talebani, ci sono state delle proteste da parte delle donne, che poi sono state fermate – racconta la presidente del CISDA –  Le donne sono state picchiate, rapite, messe in prigione e man mano le manifestazioni sono andate scemando. Ora come ora, le donne di RAWA ci dicono che è pericolosissimo fare qualsiasi cosa, quindi, non potendo andare per strada, protestano sui social. Queste non sono altro che le leggi del primo governo talebano, al potere dal 1996 al 2001, quando l’Afghanistan è stato invaso dagli Stati Uniti. Ai tempi si parlava di un decalogo di divieti come non portare i tacchi perché facevano rumore e potevano attirare l’attenzione. Con il loro ritorno, i talebani non hanno fatto altro che inasprire questo decalogo. Il burqa c’è sempre stato in Afghanistan, soprattutto nelle zone rurali, ma ora con i talebani è peggio di prima». Talebani che, in quell’agosto 2021, affermavano di essere cambiati ma, dice Mascheroni, “non è vero, sono ancora misogini”.

Amnesty International e la Commissione internazionale dei giuristi (International Commission of Jurists – Icj) nel rapporto The Taliban’s War on Women: the crime against humanity of gender persecution in Afghanistan (‘La guerra dei talebani contro le donne: il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere in Afghanistan’) hanno scritto che la repressione dei diritti delle donne e delle bambine da parte dei talebani potrebbe costituire il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere.

In realtà, le donne e le femministe afghane hanno iniziato a parlare di apartheid di genere già negli anni Novanta. «In Afghanistan c’è sempre stato l’apartheid di genere che, come sottolineano le compagne di RAWA, è la conseguenza del fondamentalismi – spiega Mascheroni– se non ci fossero i talebani o i gruppi fondamentalisti sparirebbe. Ora si parla dei talebani, ma anche i precedenti governi erano fondamentalisti». Nel marzo 2023 alcune attiviste, avvocate e avvocati hanno lanciato la campagna End Gender Apartheid  alla quale, però, afferma la presidente del CISDA, ha aderito “un gruppo di donne afghane, esponenti dei precedenti governi” e fa i nomi di “Fawzia Koofi e Habiba Sarabi”.

C’è, poi, un altro punto che riguarda la discussa Conferenza di Doha, svoltasi tra la fine di giugno e l’inizio di luglio 2024.L’incontro, organizzato dall’Onu, aveva l’obiettivo di avviare un reinserimento graduale dell’Afghanistan all’interno della comunità internazionale. È stata la prima conferenza alla quale hanno partecipato i talebani, che non erano stati invitati alla prima mentre si erano rifiutati di partecipare alla seconda. Hanno partecipato anche inviati speciali di alcuni Stati e organizzazioni internazionali, come l’Unione europea, la Cina, la Russia e gli Stati Uniti. Non ne hanno preso parte, invece, le donne e i rappresentati della società civile. I Talebani, infatti, hanno chiesto di escludere dalla conferenza i temi dei diritti umani e delle donne. Una decisione che ha allarmato diverse associazioni e lo stesso Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Afghanistan Richard Bennett.

Le donne in Afghanistan, però, continuano a resistere.  «RAWA – spiega Mascheroni – lotta per la libertà, per la consapevolezza politica, per l’istruzione, per avere uno stato democratico e laico».

«[RAWA vuole] far conoscere la situazione in Afghanistan andando in profondità sulla politica dei Talebani, solo parzialmente conosciuta dall’Occidente – conclude Graziella Mascheroni –  far capire come questo, e in particolare gli USA, abbiano trattato con i Talebani dietro le quinte. Per questo vogliono lo stop al finanziamento a qualsiasi tipo di fondamentalismo. Da tanto tempo lavorano con le donne e i giovani per fare in modo che non si rivolgano al fondamentalismo, per questo stanno cercando di tenerli lontani dagli studi religiosi. I Talebani stanno aprendo molte madrase anche per le bambine che diventano fucine di integralisti».

Ancora una volta il punto è non dimenticare il diritto l’autodeterminazione delle donne afghane e non silenziare la loro voce. Una voce che non può essere sostituita.

Non di solo fondamentalismo vivono i Talebani: tra oppressione, corruzione e un fiume di denaro

La ricchezza del governo deriva da contrabbando e traffico di droga ma anche da tasse e corruzione dei funzionari. Una delle popolazioni più povere al mondo è così vessata due volte, con le donne obbligate persino a pagare per aggirare i divieti. Una cleptocrazia alimentata anche da decenni di pessima gestione delle potenze occidentali. L’analisi del Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane

È risaputo: il governo talebano si sostiene con gli aiuti che i Paesi occidentali donatori, e gli Stati Uniti in particolate, inviano in Afghanistan.

I rapporti dell’Ispettore generale speciale per la ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar) l’hanno mostrato più volte. La gran parte degli aiuti che arrivano nel Paese vengono intercettati dai Talebani in vario modo e trattenuti, con le buone o le cattive, per il sostegno diretto dell’apparato statale e per foraggiare il consenso e la fedeltà dei funzionari che amministrano, mantengono e sostengono il regime ai vari livelli e nelle regioni più remote, senza che le organizzazioni preposte alla distribuzione abbiano la capacità o la volontà di controllo o rifiuto.

 

Un sistema già collaudato

Ma come hanno fatto i Talebani a mettere in piedi in così breve tempo questo modello di governanceIn realtà, l’apparato era già pronto: l’economia afghana era già abituata a mantenersi grazie ai finanziamenti esterni e alla corruzione. Nei vent’anni di dominio statunitense la Repubblica islamica non aveva sviluppato un’economia indipendente e autosufficiente perché la politica Usa era stata quella di usare i “soldi come arma”, inondare cioè l’Afghanistan con un’enorme quantità di denaro per “tenere buoni” i terroristi e le possibili ribellioni senza dover intervenire direttamente con soldati e armi.

Il denaro e i contratti economici statunitensi avevano arricchito e dato potere ai signori della guerra e ai comandanti delle milizie, anche Talebani -secondo alcune stime, a loro andava il 10% dei finanziamenti- per scoraggiare gli attacchi ai convogli della NatoIl denaro statunitense aveva permeato quindi tutti i livelli della politica e della società afghana, perpetuando un ambiente favorevole all’appropriazione indebita, alla frode e al favoritismo. Tutti gli uomini di governo, dal presidente ai piccoli funzionari, ne avevano approfittato per arricchirsi e tutto il sistema si era sostenuto sulla corruzione e le tangenti.

Quando gli Stati Uniti e la coalizione hanno lasciato il Paese, tutti coloro che si erano mantenuti e arricchiti grazie a questo sistema di corruzione sono scappati dall’Afghanistan o si sono nascosti ma nulla è mutato: sono semplicemente cambiati i destinatari, sono stati sostituiti dai Talebani, dai loro miliziani e sostenitori, che si sono infilati ovunque hanno potuto per accaparrarsi le fonti di reddito e di ricchezza.

Quindi le tasse, le tangenti, i balzelli che sistematicamente e in grande quantità vengono richiesti non solo alle ricche Ong e alle istituzioni internazionali che forniscono gli aiuti ma finanche agli strati più poveri della popolazione affamata e alle più povere fra le donne, quelle senza marito e senza lavoro, vanno ad arricchire non tanto le tasche dello Stato quanto quelle personali dei ministri talebani, il loro patrimonio personale e quello dei loro affiliati, così facendo dell’Afghanistan uno Stato cleptocratico in piena regola.

 

Come producono la loro ricchezza

In che modo i Talebani producono la loro ricchezza? Innanzitutto attraverso le tasse, “un sistema fiscale tanto rigoroso ed efficiente da aver ricevuto gli elogi delle agenzie internazionali, che è in realtà un sistema di estorsione che mettono in atto con la loro autorità per consolidare il loro potere, sostenere la macchina repressiva, costruire madrase e moschee, promuovere la talebanizzazione della società, senza fornire alcun servizio alla popolazione. Di fatto di un sistema di estorsione rivolto a una delle popolazioni più disgraziate del Pianeta”, spiega Zan times.

Ma raccolgono le loro entrate anche attraverso la distribuzione di varie licenze e servizi per i quali possono addebitare tariffe ufficiali e tangenti non ufficiali, come per i passaporti e le carte d’identità. Nel 2022 per un passaporto venivano chiesti tra gli 800 e i tremila dollari, così raccogliendo in spese di emissione un totale di circa 50 milioni di dollari. Il prezzo delle carte d’identità è arrivato a cinque dollari, un costo significativo per più della metà dei cittadini afghani che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, e finora i Talebani ne hanno distribuito circa quattro milioni.

Le tasse vengono riscosse anche in modo informale, attraverso visite porta a porta, con incarcerazioni, minacce e atti di violenza in caso di mancato pagamento dei dazi doganali e fiscali e delle sempre nuove tasse richieste al settore privato, esorbitanti anche per gli imprenditori.

E poi ci sono le tangenti che vengono richieste alle donne e ai loro famigliari. Grazie alle leggi che tolgono le libertà alle donne, chi ha in mano il potere può lucrare sulle concessioni rilasciate di volta in volta. Le restrizioni per le donne a viaggiare da sole o all’estero, l’imposizione di indossare l’hijab, il divieto di lavorare sono state trasformate in fonti di guadagno per chi gestisce il potere, per quanto piccolo: molte donne hanno testimoniato che sono riuscite a passare la frontiera o a viaggiare solo grazie alle tangenti o alle multe che hanno dovuto pagare.

Si scopre così che tutte le limitazioni imposte alla popolazione e in particolare alle donne non sono dettate solo dal furore fondamentalista dei religiosi talebani che vogliono diffondere la sharia ma di più dalla ricaduta economica che i funzionari che le applicano possono trarne in termini di tangenti, imposte per qualsiasi servizio indispensabile alla sopravvivenza della popolazione.

Anche l’assoluta subordinazione cui sono costrette le donne e che le costringe a lavorare in condizioni di schiavitù, mentre le rende lo strato più povero della popolazione -gli aiuti umanitari arrivano per ultimi o mai alle donne e ai bambini- permette ai Talebani di arricchirsi sfruttando il loro lavoro.

 

Il potere diffuso di ottenere privilegi

Dove non bastano le tasse arriva la corruzione. Alcuni testimoni hanno raccontato a 8AM Media che la corruzione è aumentata enormemente rispetto al primo emirato. “I funzionari sono coinvolti in iniziative commerciali, nell’acquisto di terreni e case, nella costruzione di serbatoi petroliferi e nella conduzione di scambi commerciali. Inoltre si vedono casi di traffico di droga e la maggior parte dei comandanti locali, una volta insediati, prendono la seconda, la terza e la quarta moglie, organizzano nozze sontuose e comprano auto costose. Gli stessi funzionari ammettono che la corruzione, particolarmente dilagante nelle dogane, è incontrollabile, perché ogni comandante o membro talebano ha affiliazioni con il regime ed è intoccabile”.

Nella struttura di potere talebana, dove le mogli sono considerate uno status symbol, leader, funzionari e combattenti stanno alimentando la pratica di offrire “prezzi per la sposa” superiori a quelli di mercato, sfruttando il desiderio di ingraziarsi i Talebani con un legame di sangue o la paura di ritorsioni in caso di rifiuto.

Anche l’impiego nel governo è un mezzo con cui premiano combattenti e lealisti e allo stesso tempo puniscono chiunque non sia d’accordo con loro, perciò è stato fin da subito oggetto delle loro “attenzioni” per assicurarsene il controllo attraverso diversi assurdi decreti, come la sostituzione delle dipendenti pubbliche del ministero delle Finanze con i membri maschi della famiglia, indipendentemente dalla qualifica, o l’introduzione di un test religioso, arbitrariamente utilizzato per licenziare i lavoratori negli ospedali pubblici e a tutti i livelli del ministero dell’Istruzione.

A maggior ragione, le posizioni di potere sono state affidate ai parenti: le accuse ai leader talebani di aver nominato i propri figli e altri parenti maschi a posizioni governative sono diventate così gravi che il leader supremo Akhundzada ha emesso un decreto nel marzo 2023 che ordinava ai funzionari di smettere.

 

Come mettere al sicuro le ricchezze

Ma se i privilegi dei piccoli funzionari servono ai Talebani per garantirsi la loro indiscussa fedeltà, i leader più potenti hanno fonti di reddito più consistenti e soprattutto si organizzano per mettere al sicuro, all’estero, le ricchezze ottenute, seguendo strade già ben consolidate dal precedente governo, cioè attraverso i viaggi.

Motivi di salute” è la scusa per aggirare le sanzioni internazionali che vietano ai Talebani al governo -tutti accusati di terrorismo internazionale già da molti anni- di viaggiare. Ma in realtà il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, il Pakistan e la Turchia sono sempre stati disposti a fornire ai singoli leader talebani un rifugio sicuro per i loro beni o per le loro famiglie, per spostare risorse finanziarie personali all’estero.

Pur facendo bilanci pubblici, il governo è riluttante a spiegare come le risorse economiche vengono usate. Per i contratti governativi, le vendite di proprietà, le licenze e le varie concessioni non esistono una contabilità e criteri per l’assegnazione pubblici, nè meccanismi di responsabilità esterna. Secondo il presidente dell’Afghan peace watch, i familiari stretti di almeno due attuali ministri ad interim talebani hanno uffici privati attraverso i quali i firmatari afghani e stranieri possono ottenere contratti governativi e altri favori per una tariffa extra.

Più che preoccuparsi per il riconoscimento internazionale, i Talebani sembrano interessati ad aumentare il loro accesso al denaro contante, e le entrate doganali sono una fonte importante di valuta, dato che la comunità internazionale ha tagliato l’accesso alle riserve di valuta estera.

Le esportazioni e i dazi doganali legati alle risorse naturali hanno aumentato notevolmente le loro entrate. I leader talebani hanno un’influenza praticamente incontrollata sui diritti, sull’estrazione e sull’esportazione delle ricchezze minerarie dell’Afghanistan. Specialmente il carbone – che si basa sul lavoro dei bambini -, ma un rapporto delle Nazioni Unite ha indicato che contrabbandano anche pietre preziose e metalli semipreziosi verso l’Asia centrale, l’Europa e il Golfo Persico. Allo stesso modo, il disboscamento illegale e le esportazioni di legname sono diventati molto redditizi.

Anche il contrabbando è una fonte di ricchezza. Un’importante via per il commercio illecito, il traffico di droga e altre pratiche corrotte è l’Accordo commerciale di transito tra il Pakistan e l’Afghanistan (Aptta) che vede dirottare nel mercato nero del Pakistan un’immensa quantità di prodotti aggirando tariffe e dazi, secondo alcune stime per miliardi di dollari, senza che vengano imposti controlli: funzionari e agenti di frontiera vengono corrotti o costretti a non intervenire.

Ma i Talebani sono stati identificati anche come direttamente coinvolti nel traffico di armi. Con il loro permesso, i trafficanti di armi hanno fondato bazar nelle regioni di Helmand, Kandahar e Nangarhar, con armi importate da Austria, Cina, Pakistan, Russia e Turchia.

Anche il traffico degli esseri umani a opera delle reti di trafficanti è fonte di guadagni: mentre gli alti leader talebani ne hanno annunciato il divieto, le singole guardie non disdegnano di accettare tangenti pur di guardare dall’altra parte ai posti di frontiera, secondo quanto riferito.

E poi c’è il commercio dell’oppio, da sempre la principale fonte di ricchezza per i Talebani. Il governo ne ha proibito la coltivazione, così i prezzi dell’eroina sono aumentati in modo significativo a tutto vantaggio dei più ricchi che possono trarre profitto dalla pasta di oppio accumulata. I leader hanno vietato la coltivazione dell’oppio perché vogliono imporre la loro autorità, decidere se può essere coltivato o meno e dove farlo, cioè quali sono i trafficanti autorizzati a gestire, coltivare e trattare i narcotici.

 

Il business degli aiuti umanitari

Infine ci sono le organizzazioni umanitarie che operano in Afghanistan: sono spesso costrette a pagare tasse, presumibilmente per garantirsi la sicurezza. I Talebani arrivano a pretendere il 15% degli aiuti delle Nazioni Unite. Ma non basta: si sono inseriti con loro affiliati in molte organizzazioni occupando posizioni strategiche così da manovrare l’assistenza indirizzando i fondi verso loro sostenitori, membri della famiglia, soldati disabili, veterani e madrasse, a volte con la mediazione dei mullah che ricoprono il ruolo di leader comunitari in cambio di una tangente. E chi riesce a ottenere gli aiuti viene tassato anche fino al 66% di quanto ricevuto. Inoltre hanno costituito e registrato Ong proprie, che controllano direttamente e attraverso le quali possono ricevere gli aiuti umanitari dalle organizzazioni internazionali e distribuirli nelle località con maggiori affinità politiche, etniche, regionali e religiose.

Ma quanti soldi sono riusciti a ottenere in questo modo? Se guardiamo ad esempio agli aiuti inviati dagli Stati Uniti, che sono di gran lunga il principale donatore, il Sigar rivela che dall’agosto 2021 i partner attuatori statunitensi hanno pagato al governo talebano in tasse, commissioni, servizi almeno 10,9 milioni di dollari. Ma il Sigar ritiene che, poiché i pagamenti delle agenzie Onu che ricevono fondi statunitensi non sono soggetti a controlli, l’importo effettivo potrebbe essere molto più alto, se consideriamo che dall’ottobre 2021 al settembre 2023 le Nazioni unite hanno ricevuto 1,6 miliardi di dollari dagli Stati Uniti, su un totale di aiuti statunitensi di 2,9 miliardi di dollari nel triennio. Tutti soldi che mantengono i Talebani al potere perché pagano i privilegi e la corruzione dei loro fedeli funzionari corrotti e dei loro sostenitori per assicurandosi il loro appoggio.

Che cosa accadrebbe se questi aiuti smettessero di arrivare?

 

Buona parte della documentazione a supporto di questo articolo è tratta dal Report del George W. Bush presidential center “Corruption and kleptocracy in Afghanistan under the Taliban”.

Beatrice Biliato fa parte del Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane (Cisda)

Il disastro imminente in Afghanistan

Se il mondo continuerà a ignorare la terribile situazione in Afghanistan, le conseguenze saranno presto irreparabili

Rawa News, 7 ottobre 2024

L’Afghanistan, sotto il controllo dei talebani, è una polveriera pronta a esplodere con conseguenze che si riverseranno in tutta la regione e nel mondo. Le forze motrici di questo imminente disastro sono profondamente radicate nelle manovre ideologiche, strategiche e operative dei talebani, che si sono intensificate dopo l’uscita americana.

Il lavaggio del cervello dei giovani, il monopolio sulla produzione di droga illecita, l’accoglienza e il sostegno di gruppi terroristici globali, la trasformazione della povertà in un’arma e il reclutamento di rifugiati hanno portato l’Afghanistan sull’orlo di un’imminente esplosione, con conseguenze che potrebbero rivelarsi più gravi di quelle dell’11 settembre 2001. Capire cosa stanno facendo i talebani merita ulteriori spiegazioni.

 

Il lavaggio del cervello dei giovani

L’attenzione dei talebani all’educazione dei giovani afghani nelle scuole religiose (madrasa), che servono come centri di addestramento per militanti e attentatori suicidi, rappresenta una minaccia immediata e a lungo termine per la regione e l’Occidente. Attraverso un incessante lavaggio del cervello, queste madrase creano una generazione di bambini e adolescenti immersi nel radicalismo. Alle giovani reclute viene insegnato che il martirio e gli attacchi suicidi non sono solo onorevoli, ma anche necessari.

Ciò che rende questo fenomeno particolarmente preoccupante è la sua portata. Decine di migliaia di giovani menti sono pronte per la violenza e questo esercito di giovani verrà schierato da qualche parte. Le conseguenze per i paesi vicini e l’Occidente, che stanno già lottando contro la radicalizzazione, potrebbero essere catastrofiche. Come ha detto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite Roza Otenbayeva, capo della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA), “I talebani non consentono alcun monitoraggio di queste scuole e non sappiamo cosa insegnino lì”.

Secondo il Ministero dell’Istruzione dei Talebani, almeno 17.300 madrase sono ufficialmente attive in tutto l’Afghanistan. Nel frattempo, secondo un ordine emesso dai Talebani il 20 giugno 2022, in ogni distretto dell’Afghanistan vengono costruite da tre a 10 scuole jihadiste, con una capienza di 500-1.000 studenti ciascuna. L’Afghanistan ha 408 distretti e la costruzione di tre o 10 nuove scuole jihadiste per distretto potrebbe rapidamente trasformare il paese nel centro del terrorismo globale.

 

Rifugio sicuro per gruppi terroristici

L’Afghanistan, sotto il dominio dei talebani, è di nuovo un rifugio per gruppi terroristici internazionali. La vittoria dei talebani ha incoraggiato e rafforzato i gruppi estremisti, fornendo loro lo spazio per riorganizzarsi, addestrarsi e pianificare. Gruppi come al-Qaeda, il Movimento islamico dell’Uzbekistan e il Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP) ora operano liberamente all’interno dell’Afghanistan. I legami dei talebani con questi gruppi terroristici non sono superficiali. Sono radicati in un’ideologia comune, interessi politici a lungo termine e, cosa più importante, molti leader talebani hanno legami familiari di lunga data con i leader di questi gruppi.

Secondo un rapporto di Hasht-e-Subh, i talebani stanno costruendo basi ben equipaggiate con case residenziali per la rete di Al-Qaeda e Tehrik-e Taliban Pakistan nella provincia di Ghazni. Allo stesso modo, i rapporti delle Nazioni Unite, in particolare il rapporto di luglio 2024, sono la prova di questa affermazione. Le Nazioni Unite affermano che l’Afghanistan, sotto il governo dei talebani, è un “rifugio sicuro” per gruppi come Al-Qaeda e ISIS. Questa rete di relazioni garantisce che i talebani continueranno a collaborare con questi gruppi nei loro sforzi collettivi per destabilizzare la regione, espandere l’influenza ed esportare il terrore a livello globale, creando un disastro per la sicurezza con conseguenze globali devastanti.

 

Monopolio della droga

Sebbene i talebani abbiano ufficialmente vietato la coltivazione e il traffico di stupefacenti, hanno monopolizzato l’industria. Limitando l’offerta, i talebani stanno facendo aumentare il prezzo della droga, rendendo il commercio più redditizio per loro stessi e per i loro affiliati. Come osservato nel rapporto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del luglio 2024, è ancora troppo presto per valutare l’impatto completo del divieto di coltivazione del papavero. Tuttavia, alti funzionari talebani si oppongono al divieto. I coltivatori di papavero perdono mentre i talebani guadagnano. Il rapporto afferma: “A causa delle scorte di papavero, il commercio di droga in Afghanistan rimane significativo”.

La mancanza di attenzione del mondo a questo sviluppo rischia di creare un’economia sommersa della droga, rafforzando ulteriormente i talebani e i loro gruppi terroristici alleati, minando la sicurezza e la stabilità in Afghanistan e nella regione. Man mano che l’impero della droga dei talebani si espande, i gruppi terroristici ne trarranno sempre più vantaggio.

 

La trasformazione della povertà in un’arma

Una delle strategie più pericolose utilizzate dai talebani è l’impoverimento deliberato del popolo afghano. Facendo ciò, perseguono due obiettivi.

In primo luogo, gettano una larga parte della popolazione in una povertà estrema ed eliminano le opportunità di istruzione, impiego e sopravvivenza di base. Ciò rende più facile reclutare persone nei loro ranghi e nei gruppi terroristici alleati.

In secondo luogo, il controllo dei talebani sulle risorse locali e il loro monopolio sul commercio illecito forniscono ampi incentivi finanziari a coloro che sono disposti a combattere per loro. In questo modo, la povertà diventa un’arma e alimenta la ribellione e il radicalismo.

 

Reclutamento dei richiedenti asilo deportati

I talebani incoraggiano la deportazione dei rifugiati afghani cooperando segretamente con alcuni paesi, in particolare quelli della regione. Questa è una politica di importanza strategica per il regime.

Molti afghani deportati, che tornano nella terra dove non trovano mezzi di sopravvivenza, vengono facilmente reclutati dai talebani e dai gruppi terroristici alleati. La deportazione è vitale per i talebani, poiché assicura un flusso costante di individui disillusi e frustrati che diventano pedine nel loro schema più ampio.

Molti paesi non riescono a cogliere il significato di questo problema e lo considerano superficialmente. Deportare gli immigrati, soprattutto dai paesi occidentali, alimenta sentimenti anti-occidentali tra la popolazione, rendendoli suscettibili di servire gruppi terroristici.

 

Il tempo sta per scadere

Se il mondo continua a ignorare la terribile situazione in Afghanistan, le conseguenze si riveleranno presto irreparabili. Il lavaggio del cervello dei giovani della nazione, il traffico di droga dei talebani, i rifugi sicuri per i terroristi, la militarizzazione della povertà e il reclutamento di rifugiati avranno presto un impatto sui vicini dell’Afghanistan e sull’Occidente. I vicini dell’Afghanistan, Pakistan, Iran, Asia centrale e India, soffriranno di più, ma l’impatto non sarà limitato alla regione. Paesi molto più lontani, specialmente in Occidente, saranno nel mirino di queste ripercussioni.

Il ritiro americano dall’Afghanistan è stato un grave errore di calcolo. L’amministrazione Biden, in particolare Jake Sullivan, ritiene che i droni e la sorveglianza aerea possano controllare la situazione. Ciò riflette un errore strategico che ricorda l’approccio americano durante la Guerra Fredda. In definitiva, quella visione errata ha contribuito all’ascesa del terrorismo internazionale e agli attacchi dell’11 settembre 2001. Abbandonare ancora una volta il popolo afghano si rivelerà catastrofico, soprattutto per l’Occidente.

Come afghano, esorto l’Occidente a prestare attenzione e a garantire che l’Afghanistan che ha portato all’11 settembre non diventi lo stesso Afghanistan del prossimo futuro. Può essere un paese senza sbocco sul mare in Asia centrale, ma l’Afghanistan ha già dimostrato di poter causare grandi danni quando lasciato a se stesso.

L’autore è un afghano il cui nome, per motivi di sicurezza, non è stato reso noto.

Roma, incontro con Shakiba, militante rivoluzionaria afghana

pressenza.com

Martedì 15 ottobre 2024, a San Lorenzo, nel rosso quartiere che fu uno dei fulcri della Resistenza romana (fu infatti il solo quartiere che respinse i fascisti perfino nei giorni della Marcia su Roma) si è tenuto un importante incontro, nella storica sede di Sinistra Anticapitalista, organizzato in collaborazione con il Cisda,  Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, per dare voce alla partigiana nonviolenta (nell’eccezione più vera e rivoluzionaria di questo termine) Shakiba, militante di Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), ossia l’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan.

Per ovvi motivi di sicurezza nessuno ha potuto fotografarla, filmarla e neppure registrare la sua voce. A me tocca l’arduo compito di tentare di riportare, nel modo più fedele possibile, i suoi ragionamenti.

Rawa nacque nel 1977 grazie alla caparbietà di Meena, un’interessantissima figura di intellettuale e militante rivoluzionaria marxista e femminista, che andrebbe meglio conosciuta anche da noi per il suo esempio e le sue lucidissime analisi.

Le donne di Rawa hanno tra i loro sostenitori moltissimi uomini, che simpatizzano e appoggiano l’organizzazione perché sono consapevoli che non ci sarà mai libertà in Afghanistan senza la liberazione delle donne, in particolare di quelle delle zone rurali, oppresse da secoli di patriarcato.

Fin dall’inizio le sue militanti furono costrette ad agire nella clandestinità, perché si opponevano fieramente da un lato all’invasione sovietica, che fu tutt’altro che un aiuto fraterno, dall’altro alle milizie fondamentaliste dei sedicenti “mujāhidīn”, armate, finanziate e addestrate dagli Usa, attraverso la Cia, in funzione antisovietica.

Shakiba, come a suo tempo sosteneva Meena, chiarisce subito, anche per sgomberare il campo da ogni possibile strumentalizzazione islamofoba, che l’Islam in quanto tale non c’entra nulla in questo conflitto di genere: non si tratta di una questione religiosa, ma di una  manipolazione e strumentalizzazione della religione per ciniche finalità di potere.

Lo stesso, dice Shakiba, è accaduto e accade per il cristianesimo e perfino per gli ideali comunisti, quando sono stati e sono tuttora utilizzati come ideologia utile a sostenere regimi criminali e dispotici.

L’ Afghanistan è da secoli un Paese islamico. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso si stava rapidamente secolarizzando e aveva avviato un pacifico processo di laicizzazione, rispettoso della fede islamica professata della stragrande maggioranza dei suoi abitanti.

L’ invasione sovietica e il cinico utilizzo da parte degli Usa dell’islamismo politico, importato come ideologia dall’Arabia Saudita, hanno prodotto, insieme alla barbarie di decenni di continue guerre, il disastro e l’arretramento attuali, soprattutto se si considerano i risultati ottenuti durante questo rapido processo di democratizzazione.

Purtroppo attualmente un ruolo negativo nelle vicende afghane è giocato perfino dall’Onu, che poco o nulla fa per denunciare l’apartheid di genere; Russia, India e Cina riconoscono l’attuale governo dei talebani per ragioni economiche e geostrategiche e ovviamente questo avviene a scapito dei tanto proclamati quanto inattuati Diritti Umani.

Queste strane alleanze o aperture dei principali Paesi dei Brics influiscono negativamente sulla creazione di una rete capillare di solidarietà internazionalista; un certo atteggiamento, che io chiamo campista, è diffuso infatti tra alcune formazioni della sinistra radicale e comunista occidentale, che si disinteressa delle lotte delle donne curde, iraniane e afghane perché questi movimenti femministi si battono contro Paesi riconosciuti come nemici del nostro maggior nemico, il governo degli Stani Uniti d’America.

L’attuale, drammatica situazione economica afghana è il frutto di decenni di oppressione. Le donne di Rawa sono militanti politiche, ma considerano fondamentale impegnarsi concretamente a favore delle donne e del loro popolo.

L’intento principale è quello di creare un sistema scolastico alternativo, necessariamente clandestino, ma di alta qualità, per dare un’istruzione laica, democratica e progressista a tutti i bambini e soprattutto a tutte le bambine e ovviamente alle giovani afghane, a cui lo studio viene totalmente precluso dopo i 13 anni.

Giustizia sociale, libertà, governo laico e secolare, rispetto dei Diritti Umani sono i principali obiettivi del programma politico di Rawa che, in quanto nemica di ogni forma di oppressione, è stata ferocemente combattuta da tutti i governi afghani.

Il lavoro sociale politico e umanitario di Rawa in Afghanistan e nei campi profughi in Pakistan non si è mai fermato nonostante la feroce repressione.

Rawa ha inoltre sempre denunciato la corruzione dei partiti jeadistii, dei talebani e del governo corrotto e collaborazionista imposto dopo l’occupazione americana.

Il sito di Rawa e la rivista “Payam-e-Zan” (il messaggio delle donne”) diffondono in Afghanistan e nel mondo il loro programma, le notizie dall’Afghanistan e dal Pakistan e i messaggi di solidarietà che giungono da ogni parte del mondo.

Shakiba ci tiene a denunciare il regime sionista e a esprimere la sua totale solidarietà alle donne palestinesi e libanesi e ai loro popoli martoriati in un vero e proprio genocidio orchestrato dal governo israeliano.

Servono mobilitazione mondiali di vero internazionalismo tra i popoli, fondato sul rispetto dei diritti umani, che non dimentichi e non strumentalizzi le lotte delle donne; le rivoluzionarie iraniane sono da sempre nostre sorelle, continua Shakiba.

I talebani non sono affatto cambiati, si sono semplicemente fatti più furbi e spregiudicati, ma sono e restano un movimento politico fascista che manipola l’autentica fede islamica del popolo e gestisce la produzione dell’oppio ricavandone enormi profitti.

A un certo punto Shakiba ha un istante di commozione e poi si scusa: “Non dovevo, dobbiamo essere forti, farci forza, non sono venuta qui a piangere, ma a intessere relazioni politiche. Ho pensato alle mie figlie in Afghanistan, che ho lasciato per questo breve tour politico, ma che a breve raggiungerò nuovamente. Mi dicono spesso: ‘Tu che puoi farlo perché non lasci l’Afghanistan con le tue figlie per assicurare loro un futuro migliore?’

Io esprimo la mia totale solidarietà ai milioni di profughi che hanno lasciato il mio Paese e che l’Europa ha il dovere di accogliere come rifugiati politici e invece lascia morire di freddo al confine polacco e nel Mediterraneo, dopo aver per secoli sfruttato le risorse del mio Paese e portato decenni di guerre e un fondamentalismo prima pressoché assente.

Io sono una militante rivoluzionaria, come le mie compagne e come gli uomini che ci sostengono e con cui lavoriamo, ad esempio il Partito laico e di sinistra vera Hambastaghi, Solidarietà, che, ormai clandestino anche in Pakistan, unisce donne e uomini pashtu, hazara, tagik, di ogni fede e che lotta con noi per la libertà del popolo afghano.

Noi donne di Rawa non ce ne andiamo, anche se alcune di noi, io stessa, possiamo farlo e lo facciamo per le nostre missioni all’estero, dopo le quali rientriamo in Afghanistan.

Sentiamo la responsabilità umana e politica di restare a lottare perché le donne più fragili dei villaggi rurali non possono permettersi per ragioni economiche di migrare abbandonando il Paese.

Attualmente gestiamo scuole segrete, in case sicure, parliamo con i vicini, abbiamo cresciuto culturalmente moltissime ragazze e ragazzi. Le scuole religiose indottrinano al fondamentalismo i giovani, vogliono farne fanatici assassini.

Abbiamo un team medico itinerante e portiamo medici e farmaci anche durante le catastrofi naturali, che sono sempre più violente anche per via dei mutamenti climatici frutto delle politiche scellerate dei Paesi più industrializzati.

L’oppressione politica, culturale ed economica blocca però le mobilitazioni ambientaliste. Il popolo è talmente oppresso dalla dittatura e dalla quotidiana lotta per la sopravvivenza da non riuscire a mobilitarsi sulle questioni ambientali, anche se noi siamo i primi a pagare le conseguenze di un modello di sviluppo disastroso per il futuro dell’umanità. Nelle nostre scuole insegniamo queste problematiche.

Ora la priorità e la precondizioni di ogni altra lotta è la fine del regime talebano”, conclude Shakiba.

Afghanistan, i Talebani ritornano alle origini. Vietato pubblicare immagini di esseri viventi sui media: “Contrarie alla legge islamica”

ilfattoquotidino.it

In Afghanistan sarà vietato per i media locali pubblicare immagini di esseri viventi. Proprio come nel 1996. Lo ha annunciato il portavoce del Ministero per la Promozione delle Virtù e la Prevenzione del Vizio, Saiful Islam Khyber. La nuova misura, ha fatto sapere il Ministero, sarà introdotta in tutto il Paese gradualmente, ma “non c’è posto per la coercizione nella sua implementazione”, ha aggiunto facendo notare che dovranno essere le autorità talebane a “convincere i cittadini” che pubblicare immagini di esseri viventi è contrario all’Islam. L’ultima affermazione fatta dal ministro, secondo cui non sarà necessario l’uso della violenza, vuol trasmettere una certa clemenza da parte dei Talebani ma la realtà è ben diversa. Secondo quanto riportato da Adnkronos, nella provincia di Ghazni, alcuni funzionari del ministero hanno già convocato i giornalisti locali per metterli al corrente della decisione e hanno consigliato ai fotoreporter di scattare foto da più lontano e di filmare meno eventi “per prendere l’abitudine”. L’implementazione della nuova norma è iniziata nella “roccaforte talebana meridionale di Kandahar e nella vicina provincia di Helmand e procederà gradualmente”, ha concluso Khyber. Ma, nonostante la dichiarazione, molti giornalisti della zona hanno riferito di non aver ricevuto alcuna comunicazione a riguardo.

Il nuovo provvedimento si colloca nel quadro della nuova legge sui media redatta affinché essi si conformino e non contraddicano in alcun caso la Sharia – ovvero la legge islamica – che è in vigore nel Paese. Il testo, che ha lo scopo dichiarato di “combattere il vizio e promuovere la virtù” è composto, come riporta Associated Pressche ha potuto visionarlo, da 114 pagine e 35 articoli riguardanti aspetti della vita quotidiana come i trasporti pubblici, la musica e le celebrazioni.Durante il primo regime talebano, durato dal 1996 sino al 2001, venne imposto il divieto di pubblicare immagini che ritraessero esseri viventi. L’imposizione ha le sue radici in un principio religioso islamico denominato aniconismo. Generalmente associato al mondo dell’arte, sulla base di tale principio è considerato haram, ossia vietato, rappresentare Dio. Quindi il principio alla base della decisione dei Talebani è questo: creare e pubblicare immagini rende gli uomini degli idolatri, dei politeisti. L’idolatria secondo l’interpretazione più radicale della dottrina islamica costituisce il primo peccato dell’uomo. Nel testo sacro del Corano, però, non è espresso alcun divieto esplicito al riguardo. Il divieto di adorare divinità all’infuori di Dio nella rigida visione wahhabita – quella su cui si basa l’interpretazione talebana – si affianca al principio che proibisce ogni forma di culto rivolta a figure umane. In ragione di questo, per esempio, furono proprio i Talebani a causare una delle perdite artistico-culturali più gravi dal secondo Dopoguerra: la distruzione dei Buddha di Bamiyan del VI secolo.A tre anni dal loro insediamento al potere, la situazione in cui versa il paese sembra peggiorare di mese in mese. Ad oggi, nonostante l’Emirato islamico non sia formalmente riconosciuto, la normalizzazione dei rapporti con attori regionali e internazionali sta permettendo agli esponenti politici talebani di consolidare politiche sempre più stringenti che rafforzano il regime autoritario. Il Paese sta inoltre attraversando una delle crisi umanitarie più intense degli ultimi anni. Ha un’economia fragile e a livello sociale, la discriminazione di genere è ormai istituzionalizzata. Ogni possibilità di opposizione da parte dei più moderati, aperti verso un dialogo con l’Occidente, appare sfumata. Sin dal suo insediamento, l’attuale Guida Suprema dell’Afghanistan, lAmir ul-muminin Haibatullah Akhundzada, ha predisposto un controllo capillare sulla popolazione civile e questo ha contribuito a limitare e danneggiare i diritti e le libertà fondamentali riconosciuti dai trattati internazionali.

Secondo quanto riportato da ISPI, un report redatto da Unama – la missione delle Nazioni Unite in Afghanistan – intitolato De Facto Authorities Moral Oversight in Afghanistan Impacts on Human Rights, nel periodo compreso tra il luglio del 2021 e il marzo del 2024 sono stati registrati almeno “1.033 casi documentati diapplicazione della forza e violazione delle libertà personali, con danni fisici e mentali, con un impatto discriminatorio sulle donne, contribuendo a creare un clima di paura”.

Ad oggi, nella classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporter senza frontiere, l’Afghanistan è al 178esimo posto su 180. Quando i Talebani hanno ripreso il controllo del Paese, l’Afghanistan contava 8.400 lavoratori nei media. Oggi sono solo 5.100, tra cui 560 donne. La stretta annunciata dai Talebani va a sommarsi a una serie di limitazioni introdotte nel corso degli ultimi mesi. Solo qualche settimana fa, per esempio, è arrivato l’annuncio di una nuova legge che ha imposto alle donne il divieto di parlare in pubblico perché non solo il corpo, ma anche la voce femminile deve essere considerata come qualcosa di intimo e, per questo, non rivelata agli estranei. E ancora, la messa al bando delle arti marziali perché ritenute troppo violente e non conformi ai precetti islamici o il divieto della riproduzione musicale.