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Quando la paura è diventata la mia ombra

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Farishta Mohammadi, 8AM Media, 1 maggio 2025

Sono quella stessa ragazza che non riusciva mai a stare ferma a casa, nemmeno per un attimo. Credevo che la casa fosse solo un rifugio per il riposo fisico, niente di più. Non l’ho mai vista come una prigione dove i sogni vanno a morire. Avevo un programma più preciso delle lancette di un orologio, una routine e una vita pianificata in anticipo. All’alba saltavo giù dal letto con un’energia sconfinata, preparandomi per la scuola. Ero fisicamente minuta e i libri che infilavo nello zaino erano pesanti, quasi troppo da portare. Ma sopportavo il peso con gioia.

Il nostro percorso scolastico si snodava attraverso vicoli polverosi. D’estate, il sole cocente picchiava senza pietà, soprattutto a mezzogiorno. Era l’ora in cui tornavo a casa da scuola, con il caldo più intenso. Spesso mi sentivo stordita dal sole, ma non mi importava. Pensavo: “Questo sole cocente è il prezzo per realizzare i miei sogni”.  Sulla via del ritorno, mi sistemavo in modo che la mia famiglia non notasse il prezzo che mi ero imposta. Ero la più piccola in famiglia e non volevano che portassi pesi troppo pesanti per una bambina.

Un sogno andato in fumo

Anche una volta tornata a casa, non mi era possibile riposare: andavo dritta al centro educativo. Nel pomeriggio, frequentavo corsi di preparazione all’esame di ammissione, studiando le materie fondamentali. Il mio piano era chiaro: completare le basi entro il decimo anno, iniziare la preparazione avanzata nell’undicesimo anno e concentrarmi interamente sull’esame di ammissione nel dodicesimo anno. Ma quel piano non era altro che un sogno, un sogno andato in fumo.

Molte notti, studiavo alla fioca luce di una lampada durante i blackout. Restavo seduta per ore a risolvere problemi di matematica. A volte, le mie lacrime cadevano come perle sulle pagine: lacrime nate dalla difficoltà dei quesiti, ma le asciugavo e continuavo a studiare. Andavo a dormire a mezzanotte. Conciliare la scuola con la preparazione agli esami mi metteva sotto pressione, ma rimanevo determinata.

E poi un giorno, tutto è cambiato. Era come se tutti i miei sforzi, tutte le mie notti insonni, fossero stati inutili. Sono arrivati ​​i talebani. Durante il primo mese non sono uscita di casa, mi sono nascosta dietro la finestra della mia stanza. Non sapevo nemmeno cosa stesse succedendo fuori, in città.

Dopo un mese, mia madre mi cucì un hijab nero, del tipo che non avrei mai immaginato di indossare a quell’età. Avevo visto hijab simili solo su spose novelle o donne di mezza età, ma ora dovevo indossarlo. Alla fine, raccolsi tutto il coraggio che avevo e decisi di uscire. Indossai l’hijab nero e uscii di casa con mia madre per visitare un santuario. Nel momento in cui uscii, il mio cuore tremò, volevo tornare indietro di corsa, ma sapevo di dover affrontare quella paura. Feci qualche passo terrorizzata.

L’angelo della morte

A un incrocio, intendevamo svoltare a destra quando improvvisamente un uomo ci si parò davanti: aveva i capelli lunghi, una folta barba e un’arma a tracolla. Nel momento in cui lo vidi, il mio corpo si bloccò, mi sentii come se l’anima mi avesse abbandonato. Non sentivo più né le mani né le gambe, né riuscivo a vedere ciò che mi circondava. Crollai. Mia madre mi sollevò a fatica e in qualche modo riuscimmo ad arrivare al santuario. Lì, rimasi seduta in silenzio, immersa nei miei pensieri, ma il mio corpo tremava ancora per la paura.

Quella paura non mi ha mai abbandonato. Ora sono passati quattro anni, eppure mi perseguita. Anche adesso, quando esco di casa e incontro un combattente talebano, il cuore mi batte all’impazzata e il terrore mi travolge. È come se Azrael, l’angelo della morte, fosse venuto a prendermi l’anima. Chi sa davvero quante volte un’anima viene presa in un giorno? Chi capisce quanta paura ci consuma ogni volta che mettiamo piede fuori? Chi si rende conto che quando un sicario talebano ferma una ragazza per strada con il pretesto della “moralità”, il suo sangue si gela, il suo viso impallidisce e il suo cuore trema come un uccello spaventato?

Quando Azrael verrà a prendermi un giorno, gli dirò: “Mi prenderai l’anima una sola volta, ma sappi questo: quest’anima è già stata presa molte volte”, quel primo giorno in cui una paura eterna si insinuò nel mio essere, il giorno in cui mi rubarono i libri e seppellirono i miei sogni nella polvere dei nostri vicoli. Quel giorno il mio vero spirito se ne andò, ciò che rimane ora è solo un’ombra, avvolta in un chador nero.

Quegli Azrael che mi strappano l’anima dal corpo ogni volta che mi appaiono davanti non sanno che le stesse ragazze i cui sogni hanno seppellito oggi risorgeranno da quello stesso suolo. Fioriranno e saliranno così in alto che l’eco delle loro voci spaccherà i cieli e la terra stessa sarà testimone della loro resistenza.

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