Skip to main content

Tag: Afghanistan

Afghanistan, il buio della Rete. I talebani spengono il web

Il manifesto, 1 ottobre 2025, di Giuliano Battiston

Restrizioni Conflitto tra i clerici di Kandahar e i governanti di Kabul, internet se ne va per 48 ore

Dopo due giorni di blocco totale, in Afghanistan le connessioni internet e delle comunicazioni via linea mobile vengono ripristinate progressivamente, ma rimane la volontà censoria e il conflitto politico tra le diverse anime dell’Emirato islamico, il governo dei Talebani riconosciuto soltanto dal governo russo.

IL BLOCCO delle comunicazioni, completo dal pomeriggio di lunedì 29 settembre e fino a ieri pomeriggio, ha causato forti disagi commerciali, l’interruzione dei voli in entrata e uscita dall’aeroporto di Kabul e all’interno del Paese, la paralisi di molti uffici, del sistema bancario già compromesso dall’isolamento e dalle sanzioni, della macchina amministrativa-statuale, di quel sistema sanitario che già sconta mancanza di fondi, di personale, di medicinali, e che la decisione dell’amministrazione Trump di tagliare i fondi Usaid ha ulteriormente indebolito. Al di là dei danni economici, ha provocato un danno psicologico enorme: 42 milioni di persone che non hanno avuto la possibilità di comunicare tra loro, se lontane, né con l’esterno, con quella diaspora che spesso, al di fuori del Paese, invia rimesse e mantiene aperti progetti di educazione per le donne e, tramite internet, quella comunità e unità famigliari rotte da esilio, migrazioni forzate o volontarie.

DUE GIORNI di buio digitale, un vuoto di immagini e parole presto riempiti, però, dal passaggio di bocca in bocca dei rumors. Qualcuno, riportano i media afghani che operano all’estero come Hasht-e-Subh, ha sostenuto che il blocco fosse dovuto al ritorno delle forze statunitensi nella base di Bagram, da cui l’esercito Usa si è ritirato nel maggio 2021 e che il presidente Donald Trump ha detto pochi giorni fa di voler indietro, pena «guai seri» per i Talebani. Altra voce diffusa è quella secondo cui il blocco serviva a permettere l’allontanamento in sicurezza dal ministero degli interni di Sirajuddin Haqqani, il kalifa a capo di una delle fazioni più potenti dell’Emirato e in continuo antagonismo con il leader supremo Haibatullah Akhundzada; per altri, sarebbe servito a oscurare l’incontro che si è tenuto in queste ore a Islamabad, in Pakistan, di una parte dell’opposizione politica al governo di Kabul.

ANCORA UNA VOLTA per capirne qualcosa occorre guardare a sud, a Kandahar, da dove governa Haibatullah Akhundzada, il clerico ortodosso che ha impresso una torsione autarchica al Paese, oltre che repressiva e discriminatoria verso le donne. A lui, alla sua cerchia e al suo braccio operativo, il ministero per la promozione della Virtù e la prevenzione del Vizio, andrebbe ricondotta la decisione, assunta per contrastare la diffusione dell’«immoralità» su internet. La decisione è stata presa da alcune settimane. Il blocco totale – preceduto nel 2022 dal blocco di TikTok, nell’aprile 2024 dall’annuncio di voler bloccare Facebook – fa seguito infatti a diverse settimane di blocchi parziali, iniziati dal nord, dalla provincia di Balkh, importante hub economico e commerciale verso l’Asia centrale, rivendicato dal portavoce del governatore della provincia, Haji Attaullah Said, che sul social X ha scritto: «D’ora in poi, non ci sarà accesso a Internet», confermando poi la decisione all’Associated Press (come riepiloga nel suo blog lo studioso Thomas Ruttig): «Questa misura è stata presa per prevenire l’immoralità». La città di Mazar-e Sharif, capoluogo di Balkh, è stata dunque la prima, già il 16 settembre, ha vedere banche, uffici per i passaporti e uffici doganali, esercizi commerciali temporaneamente offline. Ha fatto seguito, il giorno successivo, la provincia di Kunduz. Da lì è venuta la conferma che di mezzo ci fosse proprio il leader supremo: «A causa del decreto del venerato Amir al-Mominin Sheikh Sahib, che Allah lo protegga, le province della regione di Kunduz (Kunduz, Baghlan, Takhar e Badakhshan) sono state completamente isolate e da ora in poi non ci sarà più alcuna connessione internet via cavo. Questa misura è stata presa per prevenire l’immoralità».

DA ALLORA, parallelamente all’estensione del blocco ad altre province, è cresciuta la pressione sul leader supremo, affinché rinunciasse all’editto: 6 ministri dell’Emirato si sarebbero recati da lui, altre pressioni sarebbero arrivate anche da personaggi di spicco vicini all’emiro, come il governatore della Banca centrale Nur Ahmad Agha, il ministro delle miniere Hedayatullah Badri, il vice ministro degli interni Ibrahim Sadr. Il ripristino progressivo delle comunicazioni nel Paese segnala che Kandahar ha ceduto, Kabul incassa una vittoria. Che però rimarrà parziale e provvisoria, come il compromesso trovato tra le diverse anime dell’Emirato. La volontà censoria e moralizzatrice, ci ha spiegato chiaramente il portavoce del ministero per la Virtù qualche mese fa, rimane fortissima. Tornerà presto a scaricarsi sulla popolazione.

I talebani hanno bloccato internet

Il Post, 30 settembre 2025

Dalle 17 di lunedì in Afghanistan non ci si può più collegare in rete: il regime non ha dato spiegazioni

Lunedì il regime dei talebani, che governa in maniera molto autoritaria l’Afghanistan, ha bloccato la connessione a internet in tutto il paese. Per il momento non sono state date spiegazioni, ma già nelle ultime due settimane era stata sospesa la connessione a fibra ottica in molte parti del territorio nazionale, secondo i talebani per limitare «l’uso improprio di internet» e prevenire «atti immorali». Il regime ha aggiunto che il blocco rimarrà in vigore «fino a nuovo ordine».

Secondo il sito di monitoraggio NetBlocks, il blocco è iniziato alle 17 ora locale di lunedì. Da quel momento è diventato difficile avere notizie aggiornate, anche per i problemi con le linee telefoniche. Le agenzie di stampa internazionali Associated Press e Agence France-Presse hanno entrambe detto di non essere state più in grado di contattare i loro uffici nella capitale Kabul.

Il blocco di internet attuale ha dimensioni enormi e sta riguardando moltissimi servizi e attività economiche, tra cui quelle fornite da banche e amministrazione pubblica. Un commerciante di Kabul ha raccontato che «il mercato è completamente congelato», aggiungendo che «è come una vacanza, sono tutti a casa». Anche diversi voli che dovevano atterrare all’aeroporto di Kabul martedì mattina sono stati cancellati. Mohammad Hadi, un afghano che vive in India dal 2019, ha detto che da lunedì pomeriggio «non è più possibile comunicare con nessuno» in Afghanistan, né capire se le persone rimaste lì «stiano bene o no».

Da quando sono ritornati al potere, i talebani hanno imposto un regime molto restrittivo basato su una visione assai integralista della legge islamica. Tra le altre cose hanno limitato di molto la libertà e i diritti delle donne, che sono state escluse dall’istruzione superiore (molte di loro usavano internet per continuare a studiare, spesso frequentando corsi online tenuti da altre donne afghane all’estero).

Come detto, non si sa il motivo per cui i talebani hanno bloccato internet. In passato alcuni governi avevano bloccato volutamente l’accesso a internet per installare dei filtri da usare per rafforzare la censura sui social network. Era successo l’anno scorso in Pakistan, per esempio. Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, in passato aveva detto che il governo stava pensando alla possibilità di installare filtri che rendessero più facile promuovere la propria ideologia islamista e conservatrice, ma di non essere in grado di farlo per mancanza di soldi.

I talebani chiudono ogni strada all’autosufficienza delle donne

Lima Wardak, 8Am Media,24 settembre 2025

L’Afghanistan sotto il dominio dei talebani è diventato una terra in cui tutto è proibito a donne e ragazze. Di recente, per ordine dei leader supremi del gruppo, l’ultima speranza per le ragazze – continuare gli studi e lavorare online – è stata completamente tolta loro. I talebani sono così ostili alle donne che chiudono ogni via all’autosufficienza e al progresso.

Quando ho saputo che internet era stato interrotto in diverse province dell’Afghanistan, mi sono sentita profondamente sconvolta e ho pensato subito a Kabul. La notizia sconvolgente si è diffusa sui social media di minuto in minuto, moltiplicando la mia preoccupazione. Continuavo a pensare: se questa situazione continua e arriva fino a Kabul, cosa farò? L’unico modo in cui posso studiare, lavorare e, in definitiva, guadagnarmi da vivere è attraverso internet. Ora questa decisione restrittiva dei talebani vanificherà tutti gli sforzi delle ragazze.

All’inizio, quando la notizia del blocco di Internet si è diffusa ovunque, mi sono rifiutata di crederci e ho pensato che fosse una voce, ma purtroppo era vero. È stato allora che ho provato una profonda disperazione. Per quanto tempo dovremo vivere sotto le decisioni arbitrarie di questo gruppo? Ogni porta che apriamo al nostro futuro, loro la richiudono. Nel paese in cui siamo nati, hanno persino tolto a una donna il diritto di respirare. Quanto dovremo aspettare ancora?

Abbiamo tutti visto come recentemente ragazze e donne si siano rivolte al lavoro online. Molte hanno creato negozi online sui social media o avviato altre attività, raggiungendo così l’indipendenza finanziaria. Allo stesso tempo, molte ragazze studiano online a casa, frequentando corsi di lingue straniere, corsi scolastici, corsi di scrittura e altre competenze. Se Internet venisse ulteriormente limitato, molte ragazze sarebbero costrette ad abbandonare gli studi. Io sono una di queste ragazze: oltre ai miei studi, gestisco un negozio online che vende articoli per ragazze, e questo provvede alle mie necessità. Da una settimana giungono brutte notizie sui tagli a Internet in diverse province, e queste notizie hanno suscitato ansia diffusa.

Durante questi quattro anni di governo, i talebani hanno cercato continuamente di impedire a donne e ragazze di svolgere qualsiasi attività. Prima hanno chiuso i cancelli di scuole e università, poi hanno tolto il lavoro alle donne, imposto il tipo di abbigliamento che desideravano, proibito a donne e ragazze di viaggiare, messo a tacere le loro voci, arrestato ragazze con il pretesto di imporre l’hijab, e ora stanno chiudendo l’ultima finestra di speranza, ovvero lo studio e il lavoro online.

Nonostante tutte queste restrizioni, le donne hanno resistito e trovato il modo di continuare a studiare e lavorare, ma i talebani sono sempre stati una spina nel fianco delle ragazze. Noi ragazze afghane abbiamo sofferto molto in questi quattro anni e continuiamo a soffrire, eppure nessuno ascolta la nostra voce. Abbiamo gridato ripetutamente e chiesto la fine dei talebani, ma le nostre voci sono state soffocate. Ora che le nostre libertà si restringono di giorno in giorno, non c’è nessuno che si unisca a noi e protesti ancora una volta contro l’oppressione e l’ingiustizia di questo gruppo.

Abbiamo chiesto solo i nostri diritti fondamentali, ma i talebani non hanno mai ascoltato le nostre richieste. Ora è il momento di opporci a questo gruppo e liberarci dall’ingiustizia che abbiamo subito per quattro anni.

Il leader dei talebani convoca una riunione del governo a Kandahar sulla base aerea di Bagram

Bais Hayat, Amu Tv, 25 settembre 2025

Il leader supremo dei talebani Hibatullah Akhundzada ha convocato i membri del suo gabinetto a Kandahar per delle consultazioni sul futuro della base aerea di Bagram, in seguito ai ripetuti appelli del presidente degli Stati Uniti Donald Trump a rivendicare la struttura, hanno riferito diverse fonti ad Amu.

Le fonti hanno affermato che la riunione del governo è prevista per i prossimi giorni e che gli inviti sono già stati estesi ad alti funzionari talebani. Akhundzada ha già discusso la questione con diversi ministri e con il presidente della Corte Suprema dei talebani, ma, secondo le fonti, ora desidera discussioni più ampie all’interno del governo.

Trump, che ha menzionato pubblicamente Bagram almeno 20 volte da quando è tornato alla Casa Bianca, nelle ultime settimane ha intensificato le richieste per il suo ritorno “immediato”, avvertendo i talebani delle “gravi conseguenze” in caso di rifiuto. La base, un tempo fulcro delle operazioni militari statunitensi in Afghanistan, è stata abbandonata nel luglio 2021 in seguito al ritiro dell’amministrazione Biden.

Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha smentito le affermazioni di Trump secondo cui sarebbero in corso negoziati per la consegna di Bagram. In un’intervista ad Al Arabiya, ha affermato che i recenti colloqui con i funzionari statunitensi si sono concentrati sullo scambio di prigionieri e su questioni economiche, non sulle basi militari.

“Gli afghani non cederanno mai parte del loro Paese a un altro governo”, ha detto Mujahid. “Se l’amministrazione Trump fa una mossa sbagliata, subirà una reazione negativa da parte nostra”.

Mujahid ha aggiunto che, sebbene la retorica di Trump fosse un tempo considerata rivolta al suo rivale politico Joe Biden, la sua recente enfasi suggerisce una strategia statunitense più ampia, legata alla competizione per la sicurezza nazionale con Cina, Russia e Iran.

Gli analisti affermano che qualsiasi tentativo statunitense di riconquistare Bagram non solo riaccenderebbe il conflitto, ma potrebbe anche mettere a nudo le divisioni interne alla leadership talebana. Alcuni ritengono che Washington potrebbe invocare gli accordi di sicurezza firmati con l’ex repubblica afghana per giustificare una rinnovata presenza.

“Gli Stati Uniti controllano già lo spazio aereo dell’Afghanistan”, ha detto ad Amu l’ex ministro degli Interni Mohammad Omar Daudzai. “Se decidessero di atterrare domani, non sarebbe difficile. I talebani e persino i paesi della regione non sarebbero in grado di fermarli”.

Akhundzada ha tenuto incontri di alto livello a Kandahar con importanti esponenti talebani, tra cui il Ministro della Difesa Mohammad Yaqoob Mujahid, il Ministro degli Esteri Amir Khan Muttaqi e il Presidente della Corte Suprema Abdul Hakim Haqqani, per discutere le richieste degli Stati Uniti. Fonti affermano che i leader talebani considerano la questione critica, data sia la pressione internazionale che il peso simbolico di Bagram.

I ripetuti appelli di Trump a Bagram ne sottolineano l’importanza strategica, soprattutto nell’ambito della competizione statunitense con la Cina. I talebani, tuttavia, insistono sul fatto che la base non verrà ceduta e hanno messo in guardia dal ripetere “le esperienze fallimentari del passato”.

Il femminismo è globale. Anche la nostra solidarietà deve esserlo

I talebani bandiscono dalle università i libri scritti da donne

The Guilty Feminist Podcast, Blog, 27 settembre 2025

I talebani hanno ora ordinato alle università afghane di rimuovere dai loro programmi tutti i libri scritti da donne. Dei 679 libri di testo sottoposti a revisione, 140 scritti da autrici donne sono stati vietati, insieme a 18 corsi completi, molti dei quali incentrati su questioni femminili, genere, diritto, diritti umani e persino scienze di base. Centinaia di altri corsi sono ancora “sotto indagine”.

Non si tratta solo di vietare libri. Si tratta di cancellare la voce delle donne, limitare la conoscenza e controllare ciò che un’intera generazione è autorizzata a pensare. Rimuovendo i testi scritti da donne e i corsi incentrati sulle esperienze femminili, i talebani stanno riscrivendo il panorama intellettuale dell’Afghanistan, strappando con la forza le prospettive delle donne.

L’istruzione è un’ancora di salvezza. Zittire le donne nelle aule e nelle biblioteche è un’altra forma di violenza, volta a rendere le donne invisibili.

Il femminismo è globale. Anche la nostra solidarietà deve esserlo.

Cosa possiamo fare:

Amplificare la voce delle donne afghane: condividere e ascoltare le attiviste, le scrittrici e le educatrici afghane che resistono alla cancellazione. Tra cui @saramwahedi.

Sostenere le organizzazioni guidate da donne come RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane), Women for Afghan Women e Afghan Women’s Educational Center, tra cui @amnestyfeminist.

Rimanere informati: mantenere l’attenzione sull’Afghanistan – il silenzio permette all’oppressione di crescere inosservata, seguire @rukhshanamedia

Fare pressione sui governi e sulle istituzioni: esigere che i diritti delle donne rimangano al centro dei negoziati internazionali e delle politiche di aiuto. Continuare a scrivere ai propri parlamentari!

Solidarietà significa rifiutarsi di distogliere lo sguardo.

Profughi dall’Iran: non dimentichiamoli

Aiuti per gli afghani rimpatriati dall’Iran. Report della Missione Sanitaria Mobile

CISDA, Comunicato, 26 settembre 2025

Una delle associazioni afghane più accreditate nelle attività di soccorso umanitario, che CISDA sostiene da più di 20 anni, si è attivata per portare aiuto ai migranti afghani deportati forzatamente dall’Iran ed espulsi senza alcun giusto processo o considerazione umanitaria (vedi il nostro appello). Pubblichiamo una sintesi del Report della Missione Sanitaria Mobile che, per motivi di sicurezza, non può essere divulgato integralmente.

Il report evidenzia che la situazione al confine del Paese permane critica per il caldo estremo, la mancanza di acqua e riparo e l’assenza di servizi sanitari di base che creano alti rischi di epidemie di malattie infettive, malnutrizione e decessi.

Molti deportati erano originariamente fuggiti dall’Afghanistan a causa del crollo del precedente governo, del timore della persecuzione dei talebani o di gravi difficoltà economiche. Ora sono stati costretti a tornare senza nulla, spesso solo un cambio di vestiti e con il morale a pezzi.

Ripristinare dignità e speranza

Il Team Sanitario Mobile attivato era composto da 2 Medici (uomo e donna), 2 Infermieri (uomo e donna), 1 Ostetrica, 1 Consulente Nutrizionale e ha Fornito Servizi per 10 giorni a Islam Qala, e ha raggiunto 1.810 Persone: 685 Donne (≈%37,9), 675 Bambini (≈%37,3) e 450 Uomini (≈%24,9).

I servizi hanno incluso visite generali, trattamento di malattie comuni (diarrea, infezioni respiratorie, colpo di calore, problemi della pelle, ipertensione), consulenza per le donne (igiene mestruale, pianificazione familiare, anemia), visite pediatriche e sensibilizzazione nutrizionale. 17 pazienti (≈%0,9) sono state indirizzate all’Ospedale Pubblico Di Herat.

I generi di supporto sono stati così distribuiti:
• 298 donne hanno ricevuto kit igienici.
• 356 donne e bambini hanno ricevuto abiti (prodotti dai corsi di sartoria).
• 100 famiglie hanno ricevuto pacchi alimentari.

Questo intervento non solo ha ridotto malattie e sofferenze, ma ha anche contribuito a ripristinare dignità e speranza per le famiglie in crisi.

Le voci della sofferenza: alcune testimonianze

Shabnam – Una madre sull’orlo della disperazione
Shabnam, una madre di 25 anni, teneva in braccio il suo bambino febbricitante sotto il sole cocente. Ha detto: “Per due notti abbiamo dormito al confine. Niente medicine, niente dottori. Pensavo di perdere mio figlio.” Dopo aver ricevuto le cure, la febbre del bambino si è abbassata nel giro di poche ore. Con le lacrime agli occhi, Shabnam ha sussurrato: “Non dimenticherò mai che avete salvato la vita del mio bambino. Oggi, per la prima volta, sento di nuovo la speranza.”

Freshta – Una donna che lotta per la vita
Freshta, 30 anni, è entrata barcollando nella tenda, debole e pallida. Aveva avuto un aborto spontaneo e sanguinava copiosamente. Tremando ha detto:
“Pensavo che nessuno mi avrebbe aiutato qui. In Iran mi è stata negata l’assistenza ospedaliera. Temevo di morire.” La nostra ostetrica le ha immediatamente prestato le cure d’urgenza, ha stabilizzato le sue condizioni e l’ha indirizzata all’ospedale. Tenendo la mano dell’ostetrica, Freshta ha gridato: “Mi hai salvato. Mi hai trattato come un essere umano, non come un peso.”

Milad – Un bambino che voleva tornare a giocare
Milad, di dieci anni, è entrato con il braccio fasciato in modo rozzo. Suo padre ha spiegato:
“È caduto da un camion mentre tornava. Si è rotto il braccio, ma non avevamo soldi per un medico. Ha pianto tutta la notte per il dolore.” La nostra équipe ha stabilizzato il braccio di Milad e lo ha indirizzato a ulteriori cure. Mentre se ne andava, Milad ha sorriso e ha chiesto: “Ora non fa più così male. Pensi che possa tornare a giocare a calcio?” Quel piccolo sorriso è stata la più grande ricompensa per la nostra squadra.

Non dimentichiamoli

Le condizioni dei rifugiati deportati rimangono disastrose. I rifugiati sono entrati in Afghanistan con paura e spirito distrutto. Molti hanno riferito che i loro familiari sono stati arrestati dai talebani subito dopo l’arrivo e che i loro corpi sono stati successivamente restituiti privi di vita. Alcune famiglie non hanno informazioni sui loro cari.

Un tragico incidente stradale ha causato inoltre quasi 100 vittime accrescendo ulteriormente dolore e shock. Famiglie rimaste senza casa, senza reddito, costrette a lasciare l’Iran con nient’altro che un singolo cambio di vestiti.

L’Associazione conclude: “In mezzo a queste enormi difficoltà, con il supporto dei nostri fedeli partner – Frontline Women, CISDA e i sostenitori giapponesi – siamo riusciti ad alleviare in parte la sofferenza di molte persone e famiglie. Questo è stato incoraggiante e significativo per il team di assistenza.
Speriamo di mobilitare un maggiore supporto nel prossimo inverno e di garantire che queste famiglie non vengano dimenticate”.

CISDA ringrazia tutti coloro che hanno inviato e vogliono inviare fondi per sostenere le attività delle Associazioni in favore della popolazione afghana.

COORDINAMENTO ITALIANO SOSTEGNO DONNE AFGHANE ETS (C.I.S.D.A)
BANCA POPOLARE ETICA – Filiale di Milano
IBAN: IT74Y0501801600000011136660

Le ragazze afghane perdono l’accesso all’apprendimento e alla comunicazione online. I governi devono intervenire

Il Malala Fund condanna la decisione dei talebani di bloccare la connessione internet fissa in almeno 11 province con l’assurdo pretesto di impedire “attività immorali”

Malala Found, 17 settembre 2025

Si tratta dell’ennesimo attacco ai diritti del popolo afghano, in particolare alle ragazze e alle donne, a cui è vietato accedere alla scuola secondaria, all’università e al lavoro, e che sono confinate nelle loro case.

Questa settimana segna il quarto anniversario del divieto di istruzione secondaria per le ragazze. L’apprendimento online è stato uno degli ultimi mezzi di sussistenza per migliaia di ragazze afghane.

“L’interruzione di Internet è l’ultimo tentativo dei Talebani, nell’ambito del loro brutale sistema di apartheid di genere, di isolare le donne e le ragazze afghane dal mondo”, ha affermato Malala Yousafzai, co-fondatrice del Malala Fund. “Senza un accesso affidabile a Internet, non possono seguire i loro corsi o connettersi con i loro coetanei e insegnanti. Questo non può essere tollerato. I governi devono immediatamente esercitare la massima pressione sui Talebani affinché annullino l’interruzione di Internet e ripristinino i diritti fondamentali delle ragazze e delle donne afghane, in particolare il diritto all’istruzione”.

“Sono profondamente preoccupato per l’impatto di questo blackout di Internet sul benessere delle ragazze afghane, che si trovano ad affrontare un’ulteriore limitazione della loro libertà”, ha aggiunto Ziauddin Yousafzai, co-fondatore del Malala Fund. “Per quattro anni, i talebani hanno cercato di cancellare ragazze e donne dalla società, privandole di tutti i diritti umani e privando un’intera generazione di ragazze del loro futuro. Dobbiamo continuare a stare al fianco del popolo afghano nella sua lotta per la libertà”.

I talebani stanno deliberatamente impedendo a ragazze e donne di accedere alla conoscenza e alla comunicazione, nell’ambito del loro sistema di apartheid di genere, concepito per controllare ragazze e donne e cancellarle dal tessuto sociale. La moralità è solo una copertura.

“Tagliando l’accesso a internet, i talebani non solo bloccano l’istruzione, ma mettono anche a tacere il lavoro vitale delle donne, che sono state la linfa vitale di innumerevoli comunità”, ha affermato Zarqa Yaftali, fondatrice del Women and Children Research and Advocacy Network (WCRAN). “Queste donne si sono affidate alle piattaforme online per svolgere il loro lavoro, fornire servizi essenziali, difendere i diritti umani e coordinare programmi salvavita”.

“Prima i talebani ci hanno negato il diritto all’istruzione, poi il lavoro e la libertà di uscire di casa senza timore di essere puniti. Hanno limitato l’accesso agli aiuti umanitari e ci hanno sempre trattato come subumani”, ha raccontato Zarmina*, 23 anni, di Kabul. “Ci hanno portato via quasi tutto; bloccare internet farà sprofondare il popolo afghano nell’oscurità più totale. Per favore, facciamo sentire la nostra voce affinché questo non accada”.

Siamo al fianco delle ragazze e delle donne afghane nella loro lotta per l’istruzione e la libertà, e con i nostri partner che offrono alle ragazze alternative vitali all’istruzione formale. Invitiamo i governi a impegnarsi per il ripristino del pieno accesso a internet in Afghanistan.

*Zarmina è uno pseudonimo.

Rimozione delle foto delle donne dalle carte d’identità nazionali: una nuova esclusione

La rimozione delle foto delle donne dalle carte d’identità nazionali  è l’ultimo tentativo dei Talebani di cancellare le donne dalla vita pubblica dell’Afghanistan. Le donne protestano con una campagna social

Azada Taran, Rukhshana Media, 18 settembre 2025

La decisione dei talebani di rimuovere, su richiesta, le immagini delle donne dalle carte d’identità nazionali ha scatenato le proteste dei difensori dei diritti umani, che affermano che si tratta dell’ultimo tentativo di cancellare le donne dalla vita pubblica in Afghanistan.

Un portavoce dell’Autorità nazionale di statistica e informazione controllata dai talebani ha affermato che il leader supremo del gruppo ha preso personalmente la decisione di consentire la rimozione delle foto delle donne dalle carte d’identità su consiglio del Dar al-Ifta, o consiglio religioso.

I talebani hanno affermato che le donne potranno scegliere se far comparire la propria immagine sulla tessera. Ma molte attiviste per i diritti delle donne temono che la scelta possa essere loro sottratta, dato lo squilibrio di genere nella società afghana, che i talebani hanno fatto di tutto per rafforzare da quando hanno ripreso il potere quattro anni fa.

È stata lanciata una campagna sui social media per protestare contro questa decisione con lo slogan “La mia foto, la mia identità“, con i critici che accusano i talebani di voler privare le donne dei loro diritti di cittadinanza.

Ulteriore esclusione delle donne dalla sfera pubblica

“Quando i talebani privano le donne di questo diritto, in realtà mirano a escluderle dalla partecipazione sociale, dall’accesso ai servizi, persino dai diritti di proprietà e dal diritto di viaggiare”, ha dichiarato a Rukhshana Media l’attivista per i diritti delle donne Zahra Mousawi.

“Queste politiche sono deliberatamente concepite per limitare ulteriormente le donne e cancellarle dalla sfera pubblica”.

Mousawi ha affermato che le donne afghane hanno lottato per anni affinché la loro identità fosse riconosciuta e ha esortato le istituzioni per i diritti umani a fare pressione sui talebani affinché ripristinassero questo e altri diritti.

Un’altra attivista, Hamia Naderi, ha espresso il timore che la rimozione delle sue foto avrebbe rafforzato l’impressione che le donne siano dipendenti dai membri maschi della famiglia, piuttosto che adulte autonome.

Già oggi, le donne afghane devono essere accompagnate da un parente maschio per uscire di casa, in base alle nuove leggi introdotte da quando i talebani hanno ripreso il potere nel 2021. Alle donne e alle ragazze è vietato l’accesso all’istruzione secondaria e superiore e non possono lavorare fuori casa, se non in pochissimi lavori. Persino il loro abbigliamento è soggetto a controlli rigorosi.

Una forma di apartheid di genere

Naderi ha affermato che quest’ultima mossa potrebbe facilitare il furto d’identità, il traffico di esseri umani e persino i matrimoni forzati. “Rimuovere le foto delle donne dalle carte d’identità è una delle forme più evidenti dell’apartheid di genere dei talebani. Priva sistematicamente le donne della cittadinanza indipendente e le rende senza volto e invisibili”, ha affermato.

“Con la rimozione dell’identità delle donne, queste non sono più viste come individui, ma solo come persone a carico dei membri maschi della famiglia.”

Mohammad Halim Rafi, portavoce dell’Autorità nazionale di statistica e informazione afghana controllata dai talebani, ha affermato che le preoccupazioni che i parenti maschi possano sfruttare la nuova norma “non ci riguardano”, aggiungendo: “Ecco perché è stata resa facoltativa”.

Secondo le nuove norme, includere le foto delle donne nelle carte d’identità è considerato “consentito in casi di estrema necessità e facoltativo”, ha affermato.

Le carte d’identità nazionali sono fondamentali per molti aspetti della vita quotidiana in Afghanistan, ma le donne ne sono state private a lungo. Anche prima del ritorno dei talebani, oltre il 50% non possedeva una carta, rispetto a solo il 6% degli uomini , con implicazioni per tutto, dal voto all’apertura di un conto in banca, fondamentale per raggiungere l’indipendenza finanziaria.

L’esperto legale Hasan Payam ha affermato che cancellare le foto delle donne dalle carte d’identità “creerebbe un divario di genere che equivale a discriminazione di genere”, mettendo ancora più controllo sulla vita delle donne nelle mani degli uomini.

La mossa segue una dichiarazione rilasciata il mese scorso da UN Women, che condannava la crescente limitazione dei diritti delle donne afghane e affermava che con ogni nuova restrizione loro imposta, le donne afghane venivano “spinte sempre più fuori dalla vita pubblica, e sempre più vicine a esserne completamente eliminate”.

“Questa volta non veniamo cancellati dalle strade e dai vicoli, ma dalle nostre stesse carte d’identità”, ha scritto Rana Shojai, una delle tante persone che si sono rivolte ai social media per esprimere la propria indignazione.

“Le donne che sono madri, sorelle, figlie e mogli in questa terra ora non significano nulla per i talebani, non valgono nemmeno una singola foto. Non si tratta solo di rimuovere una foto; è un altro passo verso la sistematica cancellazione delle donne dalla vita pubblica

Afghanistan: storie di donne tra terremoti, propaganda e deportazioni

Mariam, attivista di Rawa, continua a raccontarci il suo Paese e le sfide e i problemi di ogni giorno…

Silvia Cegalin, La redazione, 18 settembre 2025

È il 1° Settembre, da pochi giorni è uscito il mio articolo in cui Mariam, un’attivista di Rawa, ha raccontato della condizione delle bambine in Afghanistan e dei problemi legati ai matrimoni precoci.
Ed è proprio in quella giornata che giungono immagini di devastazione dall’Afghanistan causate da un violento terremoto verificatosi tra il 31 Agosto e il 1° Settembre con epicentro di magnitudo 6.0 h localizzato a circa 30 km da Jalalabad. A subire i danni maggiori sono state le province di Kunar, Nangarhar, Badakhshan e Nuristan. Zone dell’Afghanistan orientale che per la loro conformazione montuosa sono impervie e molto difficili da raggiungere e ciò rende complicati i soccorsi e la distribuzione degli aiuti, anche a causa delle frane che nel frattempo si sono verificate.

Le immagini video sono poche ma rendono perfettamente l’idea della gravità dell’accaduto. Penso alla popolazione, ma soprattutto a quelle donne e bambine che ho raccontato nei miei articoli e, naturalmente, alle attiviste di Rawa. A Mariam, a Shakiba (attivista che ho avuto la fortuna di conoscere di persona) e a tutte le altre che da anni, in condizioni territoriali e sociali critiche, perseverano con coraggio nel progetto di Meena. Per ragioni di sicurezza non si possono ricevere notizie troppo dettagliate sulla loro condizione, e questo in un certo senso provoca tristezza, rendendo ancora più percepibile quanto siano rischiose le loro attività e per questo necessitino di rimanere clandestine.

L’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, ha informato che al 5 Settembre si contano 2.205 vittime e oltre 3.640 feriti, ma il bilancio è in continuo aggiornamento. «Interi villaggi sono stati distrutti e almeno 6.700 case sono crollate. Gli ospedali sono stati gravemente danneggiati, e le strade principali sono ancora bloccate dalle macerie, rendendo difficili le operazioni di soccorso».

CISDA – coordinamento italiano sostegno donne afghane, in un suo recente comunicato, riferisce: «La grave carenza di medici donne rappresenta una sfida importante, poiché i Talebani non permettono ai medici uomini di curare le donne. Queste restrizioni hanno peggiorato ulteriormente la situazione, rendendo le condizioni di sopravvivenza a Kunar davvero orribili e inimmaginabili.

Uno dei nostri medici ha raccontato di come, una volta arrivati nella zona, abbiano incontrato una donna che aveva visto morire i suoi quattro figli. Era in uno stato di shock così profondo da aver perso la ragione. L’assenza di personale medico femminile e le restrizioni imposte dai Talebani, che impedivano ai medici uomini di assisterla, hanno peggiorato ulteriormente la situazione. Fortunatamente, appena raggiunta la zona, la nostra equipe è riuscita a somministrarle un sedativo per calmarla e alleviare la sua sofferenza.

Un altro caso riguarda una donna semisepolta sotto le macerie. I Talebani insistevano sul fatto che “toccare una donna non-mahram è peccato” e che, nonostante avesse entrambe le gambe rotte doveva uscire da sola, ma il nostro team è riuscito a salvarla e a trasferirla in ospedale».

Questo ovviamente succedeva dopo l’incontro video organizzato in Agosto da CISDA con Mariam che dopo aver denunciato il problema delle spose bambine, ha continuato a illuminarci sulla condizione del suo Paese.

Bombe e propaganda: come gli Usa hanno usato la questione femminile per promuovere la guerra

«La situazione attuale in Afghanistan non è quella che viene raccontata di solito dai media occidentali. Quando si cercano notizie sull’Afghanistan in internet raramente si trovano resoconti e notizie che mostrano la situazione reale del popolo afghano. A volte si legge che la vita è tornata alla normalità e che è in qualche modo migliorata. Ma ciò non è assolutamente vero. Questo può essere dovuto al fatto che la popolazione è quasi costretta ad un silenzio forzato e se parla ha timore di ritorsioni, di conseguenza può sembrare che tutto sembri tranquillo, ma così non è» afferma Mariam.

In effetti va detto che dell’Afghanistan nei media se ne parla soprattutto quando si verificano fatti gravi o in vicinanza della ricorrenza del 15 Agosto (giorno della fuga degli americani da Kabul), come se al di fuori delle “tragedie” l’Afghanistan non meritasse attenzione e ci fosse poco da scrivere, oppure, come precisa Mariam, «quando bisogna promuovere una determinata propaganda».

«L’obiettivo degli Stati Uniti e degli stati Europei è stato sempre quello di usare la promozione dei diritti delle donne in Afghanistan come strumento di propaganda per poter proseguire le proprie azioni belliche nel territorio. A tal proposito è sufficiente ricordare i file scoperti e pubblicati da Wikileaks nel 2010, i cosiddetti Afghan War Logs. Uno di questi documenti sosteneva che più donne e più figure femminili sarebbero dovute essere promosse pubblicamente e presentate alla società per far vedere che la guerra stava avendo dei risultati positivi. Quindi i media mondiali e l’intera comunità internazionale hanno accettato e giustificato la guerra americana in Afghanistan credendo, o volendo credere, che si stava svolgendo “per il bene delle donne”, ma in pratica abbiamo visto che era tutto falso. Da diversi anni Rawa sostiene che i diritti delle donne sono sempre stati abusati dai governi occidentali e dai fondamentalisti, ovviamente, in modi diversi».

In un file classificato dalla CIA, ad esempio, si consigliava di delineare possibili strategie di pubbliche relazioni per rafforzare il sostegno alla guerra in Afghanistan dell’opinione pubblica in Francia e in Germania. In Francia la propaganda doveva fare leva sulla preoccupazione che con i Talebani venissero meno “i progressi raggiunti nell’istruzione delle ragazze”, così da “dare agli elettori una ragione per sostenere, nonostante le vittime, una causa buona e necessaria”. In Germania invece il gioco di persuasione puntava sulla narrazione della paura; in pratica questa guerra andava sostenuta per evitare il ritorno al terrorismo, scongiurare l’aumento del traffico di droga e l’arrivo dei rifugiati.

Su questa questione le attiviste di Rawa non hanno mai smesso di scrivere, e dal 2010, cioè da quando sono trapelati i file di Wikileaks, hanno denunciato quasi settimanalmente la macchina di manipolazione mediatica e propagandistica messa in moto dagli Stati Uniti con la complicità dei governi Europei.

Deportazione di afghani, con la Germania che consente l’ingresso nel Paese a due inviati del regime talebano

Ci hanno gettati via come spazzatura”. Questo è il titolo di un articolo pubblicato il 16 Luglio nel sito di Rawa, articolo che denuncia la deportazione di milioni di afghani. «Da Shiraz a Zahedan, vicino al confine afghano, ci hanno portato via tutto. Sulla mia carta di credito c’erano 15 milioni di toman (110 sterline). Una bottiglia d’acqua costava 50.000 toman, un panino freddo 100.000. E se non ce l’avevi, tuo figlio rischiava di morire» racconta Sahar. «Sahar racconta che le sue opportunità in Afghanistan sono poche. Ha una madre anziana a Baghlan, ma non ha una casa, un lavoro e un marito, il che significa che, secondo le leggi dei Talebani, non può viaggiare da sola o lavorare legalmente. “Ho chiesto della terra ai Talebani e qualsiasi aiuto per ricominciare. Mi hanno risposto: “Sei una donna, non hai mahram. Non hai i requisiti”. Molte finiscono per affidarsi alla famiglia allargata o a reti informali. Una donna, tornata di recente con un neonato, racconta che le sono stati negati cibo e alloggio. “Mi hanno detto: ‘Non hai i requisiti. Non hai un uomo con te’. Ma il mio bambino ha solo quattro giorni. Dove dovrei andare?”».

A metà Luglio gli esperti delle Nazioni Unite hanno comunicato che oltre 1,9 milione di afgani sono tornati o sono stati costretti a tornare in Afghanistan dall’Iran e dal Pakistan nel 2025. Più di 300.000 afghani sono rientrati dal Pakistan e oltre 1,5 milioni dall’Iran; 410.000 invece sono gli espulsi dall’Iran dal 24 Giugno a seguito del conflitto tra Iran e Israele. Migliaia di rimpatriati, informa sempre l’ONU, sono minori non accompagnati e in molti casi per farli rientrare si è usata la scusante della “sicurezza nazionale”.

Non solo Iran e Pakistan. Il 18 Luglio la Germania ha rimpatriato 81 cittadini afghani. Il ministro degli Interni tedesco, Alexander Dobrindt, politico dell’Unione Cristiano Sociale (CSU), ha definito questa deportazione come parte di un piano di rimpatrio collettivo, precisando che si tratterebbe di uomini afghani aventi precedenti penali, riporta il giornale tedesco Deutsche Welle. A tal proposito, in concomitanza con questo rimpatrio, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk, riferendosi anche alle deportazioni effettuate dall’Iran e dal Pakistan, ha chiesto l’immediata cessazione del rimpatrio forzato di tutti i rifugiati e richiedenti asilo afghani, in particolare di quelli a rischio di persecuzione, detenzione arbitraria o tortura al loro ritorno. Questa non è comunque la prima deportazione effettuata dalla Germania: il 30 Agosto 2024 un gruppo di 28 cittadini afghani è stato espulso dalla Germania e rimpatriato in Afghanistan.
Per gestire le deportazioni il governo tedesco come intermediario si è affidato al Qatar in modo da facilitare i “contatti tecnici” con i Talebani. Ma già a inizio Luglio, in un’intervista rilasciata su Focus, Dobrindt aveva annunciato l’intenzione di stringere accordi direttamente con l’Afghanistan per consentire i rimpatri evitando così terze parti, come appunto il Qatar.

Il governo tedesco, come il resto della comunità internazionale, ad eccezione della Russia, non riconosce formalmente il governo talebano, nonostante questo a metà Luglio il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha aperto una porta consentendo l’ingresso nel Paese a due inviati del regime talebano al potere in Afghanistan. Merz ha precisato che al personale consolare sarà consentito entrare e lavorare nel Paese, ma ciò non significherà alcun riconoscimento diplomatico dei talebani islamisti.

È di un’altra idea Mariam che in questi rapporti individua l’ennesimo atteggiamento ipocrita degli Stati occidentali. «Noi di Rawa abbiamo sempre ripetuto che i cosiddetti colloqui di pace del 2020 stipulati a Doha tra gli Stati Uniti e i Talebani hanno portato il ritorno del regime. Il trattato infatti prevedeva di mettere fine al conflitto armato con il ritiro delle forze armate statunitensi dal Pese e il conseguente rilascio di 5.000 terroristi talebani nel 2020 dalle prigioni afghane, oltre che molti altri accordi. Nonostante, quindi, gli Stati Uniti e la maggior parte dei governi europei ufficialmente non riconoscano i Talebani, ufficiosamente questi non sono mai apparsi troppo isolati, anche se sulla carta è il governo russo il solo che ha riconosciuto questo regime. Cedere, ad esempio, le ambasciate alle autorità talebane (come hanno fatto Iran e Pakistan ad esempio) può essere considerato come il primo passo per accettare ufficialmente un governo».

Questo ovviamente vale anche per le recenti decisioni prese dalla Germania: un ulteriore schiaffo ai diritti umani e a ciò che fino a ieri si è professato, erigendosi a paladini dei diritti e delle libertà: valori, oggi – come ieri, calpestati.

Immagine di copertina gentilmente concessa da Cisda

Vietare 700 libri e 18 materie: l’ultimo tentativo dei talebani di smantellare l’istruzione superiore

I talebani stanno cercando di trasformare le università afghane in madrase religiose

Sharif Ghazniwal, Zan Times, 16 settembre 2025

I talebani continuano ad attaccare l’istruzione superiore e le istituzioni accademiche. Il 25 agosto, il Ministero dell’Istruzione Superiore ha emesso due direttive distinte ai dirigenti delle università e degli istituti di istruzione superiore in tutto il Paese. A questi funzionari è stato ordinato di interrompere l’insegnamento di 18 materie accademiche e di vietare circa 700 libri di testo e materiali didattici.

Copie di queste direttive sono state ottenute da “Zan Times”.

I decreti affermano che le materie appena vietate contraddicono la Sharia e le politiche dei talebani: “L’elenco delle materie in determinati campi accademici è stato esaminato da studiosi ed esperti della Sharia e, tra queste, 18 materie di varie discipline sono state ritenute contrarie alla Sharia e alle politiche del sistema e sono state pertanto rimosse dal curriculum”.

Le direttive stabiliscono inoltre che altre 201 materie, considerate parzialmente problematiche, devono essere insegnate con una prospettiva critica. Dichiarano inoltre che quasi 700 libri di testo e risorse accademiche, precedentemente utilizzati nelle università pubbliche di tutto il Paese, sono stati ufficialmente vietati.

L’elenco dei libri vietati è stato stilato dopo che il Ministero dell’Istruzione Superiore dei talebani ha chiesto agli amministratori delle università pubbliche di presentare i loro programmi e risorse didattiche.

Una fonte informata, che ha parlato con “Zan Times” in condizione di anonimato, afferma che un consiglio di studiosi che riceveva ordini diretti dalla leadership talebana è responsabile della revisione del materiale accademico e della determinazione di quali siano conformi o meno alla legge della Sharia e al sistema politico dei talebani.

I corsi vietati

L’appendice a una delle direttive elenca le 18 materie accademiche che le università sono tenute a rimuovere dai loro programmi di studio. La maggior parte riguarda il diritto costituzionale, i sistemi politici, i diritti umani o le questioni femminili. Tra queste:

1 Diritto costituzionale dell’Afghanistan
2 Movimenti politici islamici
3 Buona governance
4 Sistemi elettorali
5 Sistema politico dell’Afghanistan
6 Sociologia politica dell’Afghanistan
7 Genere e sviluppo
8 Diritti umani e democrazia
9 Analisi della Costituzione dell’Afghanistan
10 Globalizzazione e sviluppo
11 Storia delle religioni
12 Sociologia delle donne
13 Filosofia morale
14 Molestie sessuali
15 Diversità occupazionale paritaria di genere
16 Leadership di piccoli gruppi
17 Comunicazioni di genere
18 Il ruolo delle donne nella comunicazione pubblica

L’appendice elenca anche altre 201 materie che devono essere insegnate con un approccio “critico e orientato alla riforma”. Tra queste, corsi come Protocollo diplomatico ed etichetta; Politica e governo negli Stati Uniti; Politica estera delle grandi potenze; ​​Demografia; Sociologia della religione; Lotta alla corruzione amministrativa; Sistemi educativi familiari; Filosofia islamica; ed Ermeneutica.

Libri proibiti e le loro università

I talebani hanno ritenuto che questi titoli fossero “contrari alla Sharia e alle politiche dell’Emirato Islamico” e ne hanno formalmente vietato l’uso come materiale didattico.

I funzionari hanno anche incaricato altre università pubbliche e private di sottoporre i loro programmi di studio e il materiale didattico per la valutazione. Si prevede che il numero totale di libri proibiti aumenterà una volta completate queste revisioni. Le restrizioni non si applicano solo alle università sottoposte a valutazione. Fonti interne all’università confermano che l’elenco dei libri proibiti è stato diffuso a livello nazionale, con istruzioni esplicite che questi testi non devono essere assegnati agli studenti.

L’Afghanistan ha storicamente letto libri pubblicati da editori iraniani. Pertanto, le pubblicazioni iraniane costituiscono la quota maggiore delle opere vietate, inclusi i libri pubblicati dall’Università di Teheran, dalla SAMT (la casa editrice accademica iraniana), dall’Islamic Republic of Iran Broadcasting (IRIB) e da altre case editrici iraniane. Seguono per numero di libri vietati le opere pubblicate in Afghanistan, i libri senza un editore ufficiale e gli appunti e i capitoli preparati dai docenti. Una quota minore include materiali stampati da agenzie statunitensi come USAID e USIP, dall’Asia Foundation e da alcuni editori dei paesi arabi.

Le autrici costituiscono una quota consistente della lista dei libri proibiti. Almeno 140 dei libri proibiti sono scritti da donne. Un membro del gruppo che recensisce libri ha dichiarato alla BBC Persian che “non è consentito insegnare libri scritti da donne”.

La talebanizzazione delle università afghane

Considerato l’attuale approccio dei talebani alle istituzioni educative, il regime sembra determinato a trasformare le università afghane in seminari religiosi progettati dai talebani.

Durante un incontro privato, lo sceicco Ziaur Rahman Aryoubi, viceministro per gli affari accademici presso il Ministero dell’istruzione superiore dei talebani, ha affermato che negli ultimi 20 anni le università sono state “promotrici dei valori occidentali” e pertanto “devono essere riformate o eliminate”, ha riferito una fonte ben informata al Zan Times.

Diversi professori temono che alcune discipline come diritto, scienze politiche e sociologia possano essere eliminate completamente dal sistema di istruzione superiore a causa della sfiducia dei talebani nei loro confronti. Prevedono inoltre che l’elenco dei libri proibiti si allungherà man mano che i talebani richiederanno programmi e materiali didattici ad altre università pubbliche e private.

Vietando i libri di testo standard e imponendo ai professori di produrre autonomamente i propri appunti (capitoli) per verificarne l’allineamento con le politiche talebane, gli accademici temono che, sebbene i titoli dei corsi e le liste di lettura possano tecnicamente rimanere relativamente indenni, i loro contenuti principali vengano talibanizzati. Sembra che queste direttive segnino solo l’inizio di un processo radicale, che proseguirà con determinazione e la rigorosa supervisione di un consiglio di religiosi di cui la leadership talebana si fida.

Di fatto, i talebani stanno cercando di trasformare le università afghane in madrase religiose.

Sharif Ghazniwal è lo pseudonimo di un ex professore universitario di Kabul.