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Tag: Afghanistan

Influencer occidentali banalizzano la brutale realtà dell’Afghanistan

blue News, 10 novembre 2025, di Lea Oetiker

Sempre più influencer occidentali si recano in Afghanistan e nei loro video mostrano il lato ospitale del Paese. Gli osservatori criticano il fatto che il regime repressivo dei talebani venga ignorato.

Bevono tè con i talebani, sorridono alla macchina fotografica per foto e video, nuotano in laghi blu turchese o addirittura hanno appuntamenti con i combattenti della milizia.

Sempre più influencer – tra cui molte giovani donne – si recano in Afghanistan. I loro filmati ottengono centinaia di migliaia, a volte addirittura milioni, di visualizzazioni.

Anche il travel influencer Harry Jaggard ha visitato l’Afghanistan. Nei suoi video, descrive il Paese come il suo numero uno e sottolinea l’eccezionale cordialità della gente. I suoi contributi sono accolti con grande incoraggiamento e reazioni entusiaste nei commenti.

Da quando, quattro anni fa, i militanti islamisti talebani hanno ripreso il potere a Kabul, un numero impressionante di influencer dei Paesi occidentali è stato attirato in Afghanistan.

C’è anche un calcolo dietro questo fenomeno: mentre i giornalisti e gli osservatori dei diritti umani sono raramente ammessi nel Paese, gli influencer diffondono immagini che banalizzano, o addirittura normalizzano, il regime.

«Il turismo porta molti benefici a un Paese»
«Gli afghani sono calorosi e ospitali e non vedono l’ora di accogliere turisti di altri Paesi e interagire con loro», ha dichiarato il viceministro del turismo Quadratullah Jamal in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Associated Press (AP) all’inizio di giugno.

«Il turismo porta molti benefici a un Paese. Li abbiamo considerati e vogliamo che il nostro Paese li sfrutti appieno».

Il turismo è un’importante fonte di reddito per molti Paesi. In Afghanistan però l’isolamento internazionale, dovuto principalmente alle rigide restrizioni imposte dai talebani sulle donne, ha portato gran parte dei 41 milioni di abitanti a vivere in povertà.

Dato che è difficile attrarre investitori stranieri, il Governo riconosce comunque chiaramente il grande potenziale economico del turismo.

9.000 turisti nel 2024
«Attualmente stiamo generando entrate significative da questo settore e speriamo che continui a crescere in futuro», ha dichiarato Jamal. Che ha inoltre sottolineato che la spesa dei visitatori raggiunge più fasce della popolazione rispetto alle entrate provenienti da altri settori.

Sebbene il numero di visitatori sia ancora basso, è in aumento. L’anno scorso quasi 9.000 turisti stranieri hanno visitato l’Afghanistan, mentre nei primi tre mesi di quest’anno sono stati quasi 3.000, ha detto Jamal.

In Afghanistan esistono anche regole chiare per i turisti. Ad esempio è vietato avvicinare o filmare le donne. Molti utenti esprimono anche critiche nei video postati dai viaggiatori e dagli influencer sui social network, soprattutto in considerazione del fatto che il governo del Paese continua a discriminare massicciamente metà della popolazione.

Le donne sono ancora oppresse
Da quando i talebani hanno preso il potere, molti diritti fondamentali delle donne sono stati drasticamente limitati o completamente vietati. Le donne sono in gran parte bandite dalla vita pubblica e la loro libertà di movimento è fortemente ridotta.

Dall’introduzione della legge sulla virtù, avvenuta al più tardi nel 2024, sono in vigore codici di abbigliamento restrittivi e le donne possono uscire di casa solo completamente velate e accompagnate da un uomo.

Inoltre, non possono più andare a scuola a partire dalla sesta classe. Anche i saloni di bellezza sono stati chiusi. Studiare? Vietato. Lavorare? Quasi impossibile.

Non possono praticare sport, guidare, cantare o parlare ad alta voce in pubblico. La legge vieta anche agli autisti dei mezzi pubblici di trasportare le donne senza una scorta maschile.

Alla fine di dicembre 2024, i talebani hanno preso un’altra decisione controversa: un nuovo decreto vieta l’installazione di finestre negli edifici residenziali attraverso le quali si possano vedere le aree utilizzate dalle donne.

In futuro, i nuovi edifici non potranno più avere aperture che consentano di vedere cortili, cucine, pozzi dei vicini o altri luoghi solitamente frequentati dalle donne.

Regole anche per gli uomini
Le regole valgono anche per gli uomini: ad esempio, secondo la legge della virtù, devono indossare pantaloni al ginocchio e barba. Sono vietate le relazioni omosessuali, l’adulterio e il gioco d’azzardo, così come la produzione e la visione di video o immagini che ritraggono esseri viventi. Anche le preghiere mancate e la disobbedienza ai genitori possono essere punite.

Chiunque violi queste rigide regole deve aspettarsi avvertimenti, multe, carcere o altre sanzioni. Persino la morte.

Inoltre, i talebani hanno bloccato o severamente limitato l’accesso a internet in Afghanistan in diverse occasioni, tra cui nel settembre e nell’ottobre 2025. La ragione ufficiale addotta per l’interruzione è stata quella di impedire contenuti immorali.

Il DFAE sconsiglia di recarsi in Afghanistan
«I viaggi in Afghanistan e i soggiorni di qualsiasi tipo nel Paese sono sconsigliati a causa degli elevati rischi per la sicurezza», scrive una portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) su richiesta di blue News. La valutazione della situazione sarà riesaminata costantemente e, se necessario, modificata.

«I viaggiatori decidono la pianificazione e l’esecuzione di un viaggio sotto la propria responsabilità», prosegue. «Devono essere consapevoli che la Svizzera ha solo possibilità molto limitate – e a seconda della situazione, nessuna – di fornire assistenza nelle aree di crisi o di sostenere la loro partenza», ha dichiarato il portavoce a blue News.

Secondo gli attuali consigli di viaggio del DFAE, «la situazione rimane fragile e instabile. Combattimenti e attacchi possono avvenire ovunque e in qualsiasi momento. In tutto il Paese vi sono elevati rischi per la sicurezza: attacchi missilistici, attacchi terroristici, rapimenti e attacchi criminali violenti, tra cui stupri e rapine a mano armata».

Secondo le informazioni, i cittadini stranieri sono sempre più nel mirino delle autorità. Gli arresti avvengono sempre più spesso per sospette violazioni della legge o per non aver rispettato le tradizioni locali.

«In caso di rapimento, le autorità locali sono responsabili; il DFAE e le sue ambasciate e consolati all’estero hanno un’influenza limitata», ha dichiarato il portavoce.

«Alcune cose non mi sembravano moralmente giuste»
Perché le persone vogliono ancora recarsi in Afghanistan? Molti riferiscono di voler semplicemente vedere il Paese di persona.

Una turista ha raccontato all’AP che lei e il suo compagno hanno passato circa un anno a pensare di attraversare l’Afghanistan come parte di un viaggio in camper dal Regno Unito al Giappone. «Alcune cose non mi sembravano moralmente giuste», ha detto.

Ma una volta qui, hanno riferito di un popolo caldo, ospitale e accogliente e di paesaggi bellissimi. Non hanno avuto l’impressione che la loro presenza rappresentasse una forma di sostegno ai talebani. «Viaggiando si mettono i soldi nelle mani della gente e non del Governo», ha detto il turista.

La tiktoker che ha avuto un appuntamento con un talebano ha anche detto a «Der Spiegel» che con i suoi video voleva soprattutto mostrare i lati belli dell’Afghanistan, perché il Paese è troppo spesso associato alla violenza e ad altri aspetti negativi.

Gli influencer sono accecati dai talebani
Questo «turismo delle catastrofi non solo distorce sistematicamente la realtà sul campo, ma si prende anche gioco delle persone che devono vivere sotto un regime brutale», ha dichiarato a «Der Spiegel» la scrittrice tedesco-afghana Mina Jawad.

Gli influencer che viaggiano nel Paese non parlano la lingua locale e hanno poca idea dei costumi, delle tradizioni e del carattere del regime talebano. Questo permette ai talebani di elogiarsi come protettori delle donne.

Alcuni influencer si lasciano accecare dall’apparenza ingannevole e dipingono un quadro che fa comodo solo a chi è al potere: l’Afghanistan sembra essere un Paese tradizionalista, ma sicuro.

«Si tratta di travisamenti grotteschi, ma è proprio così che funziona la logica dei social media», dice Jawad. Molti di questi video le ricordano i diari di viaggio coloniali in cui i visitatori occidentali esplorano il «selvaggio Afghanistan».

Sotto i talebani il turismo è promosso da influencer occidentali


Aumentano i viaggiatori che scelgono l’Afghanistan, spinti dal fascino dell’esotico e dai racconti degli influencer. Ma ogni scatto condiviso rischia di oscurare la verità di un paese dove alle donne è negato tutto

Lucia Bellinello, Wired, 8 novembre 2025

Paesaggi mozzafiato. Cime coperte di neve e una natura incontaminata. Non siamo in Svizzera, ma tra le montagne dell’Afghanistan. Uno dei paesi meno liberi al mondo, dove il governo dei talebani ha abolito tutti i diritti politici e civili, introducendo di fatto l’apartheid di genere per le donne.

Cosa ci fanno degli influencer occidentali in Afghanistan?

Nonostante le gravi violazioni che hanno portato il governo dei talebani a non essere riconosciuto da nessuna nazione al mondo, ad eccezione della Russia, si sta registrando un curioso aumento degli influencer occidentali che visitano il paese. E che raccontano sui social una realtà edulcorata, fatta di paesaggi pittoreschi ed “esperienze culturali autentiche”, senza però menzionare le barbare condizioni di vita alle quali sono costrette le donne.

In alcuni casi, dietro a questi contenuti che diventano virali ci sarebbe la mano del governo locale, che sta cercando di attrarre turismo, denaro e legittimazione internazionale proprio grazie alla potenza del web. Una pratica che in parte ricorda quella del tourismwashing adottata da Israele, che di recente ha portato dieci influencer a Gaza per diffondere propaganda proprio da quei luoghi dove la stampa internazionale da quasi due anni non può più entrare.

Il turismo (e il tourismwashing) in aumento

Sebbene il numero di visitatori in Afghanistan sia ancora limitato, le cifre sono in aumento. Secondo le dichiarazioni del viceministro del Turismo Qudratullah Jamal, nel 2024 i visitatori stranieri sono stati quasi 9mila; circa 3mila nei primi tre mesi del 2025. Per fare un confronto, nel 2022 erano stati 2.300.

La guerra in Afghanistan lanciata dagli Stati Uniti nel 2001 dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle ha tenuto i turisti alla larga per molti anni. Il ritiro delle truppe americane e la salita al potere dei talebani, nell’agosto del 2021, hanno spinto il paese nel caos e migliaia di afghani alla fuga. Ma con la fine dell’insurrezione, lo spargimento di sangue si è in parte placato. E anche se i paesi occidentali continuano a sconsigliare i viaggi nell’Emirato islamico, c’è chi si avventura lo stesso. I turisti stranieri arrivano in aereo, in moto, in camper e persino in bicicletta. Arrivano da soli o accompagnati. E il governo talebano è molto felice di accoglierli.

“Attualmente ricaviamo un fatturato considerevole da questo settore e speriamo che cresca ulteriormente”, ha detto il vice ministro del turismo Qudratullah Jamal.

“Il 95% dei turisti ha un’opinione negativa dell’Afghanistan a causa delle informazioni errate diffuse dai media”, ha dichiarato Khobaib Ghofran, portavoce del ministero dell’Informazione e della Cultura di Kabul. E così si cerca di invertire questa tendenza.

Il governo talebano infatti promuove il turismo sui propri siti ufficiali e sui social network. E le agenzie turistiche locali (circa tremila) hanno lanciato campagne promozionali per farsi conoscere all’estero, talvolta con pubblicità di dubbio gusto.

Un video che calpesta la dignità di chi ha vissuto la violenza talebana

Ad esempio, ha fatto scalpore un video in cui si vedono tre uomini inginocchiati e con la testa coperta. Dietro di loro c’è un plotone di esecuzione con i fucili in mano. “Abbiamo un messaggio per l’America”, dice uno degli uomini in piedi, togliendo il sacco nero dalla testa di uno degli ostaggi. Da sotto il sacco spunta il sorriso sornione di un ragazzo occidentale, che dice, ridendo: “Welcome to Afghanistan”. L’agghiacciante spot pubblicitario è stato girato da un operatore turistico afghano-americano, Yosaf Aryubi, che vive tra la California e la capitale afghana Kabul. Con quel video, ha detto, voleva prendere in giro il modo in cui la maggior parte degli occidentali vede l’Afghanistan.

Di recente, poi, un influencer di viaggi britannico ha sollevato un polverone per aver incoraggiato altri viaggiatori a partecipare a un tour per soli uomini in Afghanistan, dove secondo lui si mangiano i migliori kebab del mondo e ci sono montagne maestose che fanno impallidire le Alpi svizzere. Nella caption di un video pubblicato sul suo profilo Instagram, seguito da 150mila persone, l’influencer ha scritto: “Dimentica Ibiza o Marbella, perché non vai in Afghanistan con gli amici quest’estate?”.

Per attrarre i turisti e dare l’impressione di stabilità, infatti, i talebani si affidano anche a youtuber e influencer, molti dei quali parlano di un paese sicuro, pittoresco e accogliente. Nella vita reale, però, la situazione è molto più complessa. Soprattutto per le donne.

La condizione delle donne in Afghanistan

L’Afghanistan è un paese che ha completamente escluso le donne dalla vita pubblica, vietando loro di frequentare scuole, università e spazi pubblici. Non possono lavorare in moltissimi settori e sono costrette a uscire di casa con il capo coperto e solo se accompagnate da un uomo. Con la chiusura delle palestre femminili e dei saloni di bellezza, gli spazi dove le donne possono incontrarsi al di fuori della propria casa sono sempre più limitati. Ma proprio per lanciare un segnale di apertura verso i visitatori stranieri, l’unico hotel a cinque stelle del paese, il Serena, dopo mesi di chiusura ha riaperto la spa e il salone femminile per le donne straniere. Per accedere ai servizi, le clienti devono mostrare il passaporto. Le locali invece non possono entrare.

“Le Nazioni Unite hanno definito l’Afghanistan sotto i talebani come un paese dove vige l’apartheid di genere”, ha detto Elaine Pearson, direttrice Asia di Human Rights Watch. E la corte penale internazionale ha addirittura emesso dei mandati di arresto contro due leader talebani per la persecuzione delle donne e delle ragazze.

L’isolamento dell’Afghanistan sulla scena internazionale, dovuto in larga parte alle gravi violazioni dei diritti umani, non ha fatto che peggiorare le condizioni di vita delle persone. Secondo Human Rights Watch, su una popolazione di 40 milioni di abitanti, più della metà nel 2024 ha avuto bisogno di assistenza umanitaria urgente; 12,4 milioni di persone sono affette da carenza alimentare e quasi tre milioni soffrono la fame in maniera grave.

La perdita del sostegno internazionale ha colpito duramente anche il sistema sanitario e molti programmi umanitari sono stati chiusi per mancanza di fondi. Inoltre, un rapporto del consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite segnala la presenza di gruppi terroristici, considerati un potenziale fattore di instabilità nella regione.

La Farnesina sconsiglia i viaggi in Afghanistan a qualsiasi titolo e avverte che il rischio attentati in tutto il paese resta elevato.

Il punto di vista delle viaggiatrici occidentali

Tra gli influencer che negli ultimi anni hanno avuto la possibilità di visitare questa terra ci sono anche delle donne. Come Zoe Stephen, una travel vlogger britannica con migliaia di follower su Instagram, che sotto ai suoi post scrive: “La sicurezza è relativa. Può essere molto più sicuro viaggiare in Afghanistan che viaggiare in alcune capitali europee. Naturalmente, ci sono problemi e rischi specifici di cui bisogna tener conto”. E aggiunge: “Ogni volta che visito l’Afghanistan mi rendo sempre più conto di quanto i media siano polarizzati su questo paese, che non è solo la somma della sua politica. Non è che qui sia davvero così folle o pericoloso, ma è che la normalità e la quotidianità non fanno notizia”.

L’attivista e studiosa afghana Orzala Nemat, ricercatrice ospite presso il think tank londinese Royal United Services Institute (Rusi), ha definito preoccupante l’ondata di influencer stranieri in Afghanistan. “Quello che vediamo è una versione edulcorata e censurata del paese, che cancella la brutale realtà a cui sono costrette le donne sotto il regime talebano”, ha detto.

“In un momento in cui le ragazze e le donne afghane sono private dei loro diritti più elementari, è profondamente preoccupante e inaccettabile vedere qualcuno che si reca in Afghanistan e fa lobby a favore dei talebani”, ha affermato Niloofar Naeimi, attivista per i diritti umani che si occupa delle questioni relative alle donne afghane.

Di opinione contraria invece la turista franco-peruviana Ilary Gomez, che con il suo compagno britannico ha visitato l’Afghanistan in camper. “Alcune cose non mi sono sembrate moralmente giuste”, ha detto. Ma ha aggiunto di non credere che la loro presenza abbia rappresentato una forma di sostegno ai talebani. “Viaggiando si mettono i soldi nelle mani delle persone, non del governo”, ha argomentato Gomez.

Chi sono i turisti che visitano l’Afghanistan

Secondo quanto riferito dai funzionari locali, i visitatori stranieri provengono perlopiù da Cina, Russia, Irlanda, Polonia, Canada, Taiwan, Germania, Francia, Pakistan, Estonia e Svezia.

Molti si avventurano nel distretto di Bamiyan, a ovest di Kabul, per vedere i resti delle statue del Buddha, scolpite nelle rocce più di 1.600 anni fa e demolite all’inizio del 2001 dai talebani per motivi ideologici. La maggior parte delle visite avviene senza particolari problemi, ma in questo luogo nella primavera 2024 tre turisti spagnoli sono stati uccisi nel primo attacco mortale contro turisti stranieri da quando i talebani hanno ripreso il potere.

Un altro argomento sensibile è la distruzione dei reperti archeologici e delle opere d’arte antiche compiuta dai talebani all’inizio del 2001 nel museo nazionale dell’Afghanistan, a Kabul, uno dei luoghi più visitati dai turisti.

Un dilemma morale e la questione sicurezza

Il problema, dunque, non è mostrare le bellezze dell’Afghanistan, la sua storia millenaria o l’accoglienza della gente. Il vero problema, dicono gli esperti, è quello che non viene raccontato, ovvero la difficile quotidianità alla quale sono costrette le persone che vivono sotto un regime autoritario che impone l’apartheid di genere, reprime ogni forma di dissenso e limita diritti civili, politici e giuridici.

“Non è che si vogliano incolpare solo gli influencer. Il problema è la comunicazione superficiale fatta sui social”, ha commentato a Wired Eleonora Sacco, esperta di viaggi, fondatrice di Kukushka Tours, un operatore turistico specializzato in viaggi responsabili. “Gli influencer ovviamente hanno bisogno di fare visualizzazioni e contenuti accattivanti; dall’altro lato c’è un pubblico grandissimo che intercetta quei messaggi senza conoscere il contesto del paese. Di per sé magari non si tratta sempre di contenuti falsi o inesatti, ma se letti senza contesto portano a dei messaggi fuorvianti. Ciò non vuol dire che non si possa viaggiare in maniera sicura, o che non esistano zone relativamente sicure in paesi come l’Afghanistan o l’Iraq. Si può viaggiare in maniera sicura se sei nelle mani giuste, se sai dove stai andando, se hai buoni contatti, se conosci il contesto. Bisogna sempre tenere un comportamento e un abbigliamento adeguati, bisogna avere rispetto e comprensione delle usanze locali. Tutte cose che non si riescono a comunicare in un reel di venti secondi su Instagram”.

Se da un lato non è corretto accusare tutti coloro che visitano l’Afghanistan di simpatizzare con i talebani, bisogna ricordare che ogni immagine, ogni reel, ogni post contribuisce a costruire o distorcere la percezione di un luogo. E che non si è esenti dal rischio di contribuire, anche inconsapevolmente, a una campagna di propaganda per ripulire l’immagine di un paese dove le libertà e i diritti vengono gravemente calpestati ogni giorno. La domanda, allora, non è più soltanto “dove andiamo”, ma “che storia scegliamo di raccontare”. Perché viaggiare non è solo un privilegio, ma è un’azione che ha un impatto. Può generare conoscenza reciproca, empatia, solidarietà. Può portare benefici economici alle comunità o, al contrario, alimentare pratiche dannose che snaturano luoghi e tradizioni e, in alcuni casi, finanziare chi abusa del potere.

La differenza sta nel compiere scelte etiche e consapevoli, domandandosi sempre chi trae beneficio dalla nostra partenza.

I popoli dell’Afghanistan e del Pakistan hanno dolori e nemici comuni

 

I popoli dell’Afghanistan e del Pakistan sono intrappolati nello stesso circolo vizioso – vittime delle loro élite dominanti, militari e clericali che usano la religione e la guerra per il potere e il profitto. È tempo che i popoli di entrambi i paesi riconoscano il loro comune dolore, i loro nemici e il loro destino e si liberino dalle catene dell’estremismo e dello sfruttamento che le hanno ridotte in schiavitù per generazioni.

Keyvan, New Politics, 8 novembre 2025

Il 29 ottobre scorso l’Associated Press ha riferito del fallimento dei colloqui di pace tra il governo pakistano e il regime talebano tenutisi in Turchia; nel frattempo, è stato programmato un altro incontro. È ironico vedere due partiti guerrafondai parlare di pace – e ancora più ironico che il governo pakistano, che ha una lunga storia nella promozione e accoglienza di ogni tipo di fazione terroristica islamista, ora presenti un piano antiterrorismo ai talebani, che sono una sua creazione, e viceversa.

Le tensioni si sono riacutizzate quando il Pakistan ha effettuato attacchi aerei nel cuore di Kabul, vicino a piazza Macroryan, sostenendo di aver preso di mira Noor Wali Mehsud, il capo del Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP). Successivamente è emersa una registrazione audio di Mehsud, non verificata, dalla quale sembrava fosse vivo. Zabiullah Mujahid, portavoce ufficiale dei talebani, ha respinto le notizie su X, sostenendo che “va tutto bene” – mentre chiaramente non c’è nulla che vada bene. I talebani hanno reagito attaccando diversi posti di blocco dell’esercito pakistano lungo il confine e spingendo il Pakistan ad attacchi nei quali hanno perso la vita molti civili a Kandahar, Helmand, Paktika e ancora una volta a Kabul.

Il Pakistan ha affermato che i suoi attacchi avevano come obiettivo i militanti del TTP, presumibilmente protetti dai talebani afghani e sostenuti dalle agenzie indiane. Tuttavia, secondo un rapporto della BBC News pubblicato il 18 ottobre, che citava l’Afghan Cricket Board, tra i morti c’erano diversi civili – tra cui tre giocatori di cricket afghani e altre cinque persone – mentre altri sette sono rimasti feriti.

Ho partecipato alla cerimonia funebre di un parente della provincia di Parwan, ucciso nella seconda ondata di attacchi aerei su Kabul. Shakir, 22 anni, lavorava come conducente di tricicli per un’azienda che noleggia stoviglie. Aveva lasciato il suo villaggio a 13 anni per lavorare come addetto alle pulizie perché il loro piccolo appezzamento di terra non era sufficiente a mantenere la famiglia. Probabilmente né Shakir né la sua famiglia avevano mai sentito parlare del TTP né saprebbero dire qual è la capitale del Pakistan – eppure hanno perso il capofamiglia a causa del conflitto tra due mostri.

Il popolo pakistano si trova ad affrontare una tragedia simile. Ogni giorno civili perdono la vita in attentati suicidi, vittime delle stesse politiche alimentate dai gruppi fondamentalisti afghani e pakistani. I popoli di entrambi i paesi sono stati usati come carne da macello nelle guerre sporche degli Stati Uniti e della NATO, dell’ex Unione Sovietica, della Russia moderna e delle potenze regionali, nonché nei giochi di potere di generali e figure religiose.

Il fondamentalismo del Pakistan

La lunga storia d’amore del Pakistan con il fondamentalismo risale all’epoca di Zulfikar Ali Bhutto (1971-1977), una figura contraddittoria che indossava un berretto in stile Mao Zedong per far credere di avere ideali socialisti e allo stesso tempo si alleava con gruppi islamici. Durante il suo governo, il Pakistan addestrò gli afghani “Ikhwani” seguaci dell’ideologia egiziana dei Fratelli Musulmani, in seguito usati dalla CIA durante la Guerra Fredda. Bhutto inviò personaggi come Ahmad Shah Massoud e Gulbuddin Hekmatyar per destabilizzare il regime laico di Daud Khan, il primo reggente repubblicano dell’Afghanistan.

Il sanguinoso colpo di stato dell’aprile 1978 in Afghanistan, sostenuto dall’URSS, e la successiva occupazione sovietica – che commise alcuni dei crimini più efferati in nome del socialismo, del comunismo e dell’internazionalismo – fornirono al governo pakistano e alla CIA una comoda scusa per armare e alimentare ulteriormente i gruppi fondamentalisti islamici afghani. In seguito, per risentimento, questi gruppi divennero noti tra gli afghani come i “sette asini”, a causa della loro dipendenza dall’ISI pakistano. L’Unione Sovietica fece deragliare il potenziale percorso dell’Afghanistan verso la democrazia installando le sue fazioni fantoccio – Khalq e Parcham – durante gli anni ’70 e ’80. Oggi, la Federazione Russa sostiene ancora una volta i talebani, riconoscendo il loro regime e firmando accordi per “combattere l’Isis,” anche se in realtà cerca di trascinare i talebani nella propria sfera di influenza per allontanarli da Stati Uniti e NATO.

Il progetto fondamentalista si è espanso notevolmente nel 1978, sotto il dittatore militare Zia-ul-Haq. Il numero di collegi islamici (madrase) in Pakistan è salito alle stelle, passando da 700 negli anni ’70 a 40.000 negli anni 2000, generosamente finanziati dalla CIA e dalle monarchie arabe. Queste madrase hanno prodotto migliaia di jihadisti ed esportato estremismo in tutta la regione.

Il Pakistan ospita la più grande madrasa del mondo islamico, la Jamia Darul Uloom Haqqania, ad Akora Khattak, conosciuta come “Università della Jihad”, che segue la rigida ideologia Deobandi, radicata in un movimento un tempo incoraggiato dal Raj britannico per indebolire la resistenza laica e rivoluzionaria. La maggior parte dei leader talebani hanno studiato in questa madrasa e da essa ha preso il nome la Rete Haqqani.
Benazir Bhutto e il suo ministro degli interni (1993–1996), Naseerullah Babar, hanno ammesso con orgoglio il loro ruolo nella creazione dei talebani come loro rappresentanti. Umar Khan Ali Sherzai, console generale del Pakistan in Afghanistan durante il primo governo dei talebani, si vantò in seguito di aver contribuito all’insediamento del mullah Omar e di aver applicato ordini discriminatori, come quello di costringere i sikh afghani a indossare distintivi gialli.

L’Afghanistan sfruttato per decenni

Per decenni, le élite politiche e militari del Pakistan hanno trattato l’Afghanistan come una mucca da mungere. Durante la Guerra Fredda, l’establishment pakistano sottrasse un’enorme quota dei fondi e delle armi inviati dalla CIA e dai suoi alleati ai mujaheddin afghani. Durante la guerra civile degli anni ’90, l’equipaggiamento militare venne introdotto clandestinamente in Pakistan. Un tempo, tutti i finanziamenti delle ONG internazionali per l’Afghanistan passavano attraverso le banche pakistane, riversando milioni di dollari nella sua debole economia. Dopo l’11 settembre, il Pakistan ha guadagnato miliardi per aver concesso basi aeree e rotte di rifornimento alle forze statunitensi e della NATO. Prima del ritiro, gli Stati Uniti e la NATO hanno donato al Pakistan armamenti per un valore di 7 miliardi di dollari. Il governo pakistano ha guadagnato miliardi in più ospitando rifugiati afghani, facilitando le evacuazioni ed elaborando i visti, che ora costano agli afghani da 400 fino a 1.800 dollari sottobanco.

Il governo pakistano e i gruppi fondamentalisti godono da tempo di un rapporto reciprocamente vantaggioso, rafforzandosi a vicenda per reprimere il proprio popolo. Quando i talebani sono tornati al potere nell’agosto 2021, molti liberali pakistani hanno festeggiato. Ma la loro “vittoria” ha presto avvelenato entrambi i paesi.

In Afghanistan, le ragazze non possono andare a scuola, le donne non possono lavorare e i musicisti non possono esprimersi con la loro arte. In Pakistan accade qualcosa di simile: gli studenti sono stati massacrati, musicisti come Ali Haider e Haroon Bacha sono fuggiti per salvarsi la vita e gli attacchi estremisti sono diventati routine.
Mentre gli afghani sprofondano sempre più nella povertà a causa della guerra e della repressione, i pakistani non hanno di che sostentarsi a causa dello strangolamento economico inflitto dal FMI e altre istituzioni finanziarie.

I popoli dell’Afghanistan e del Pakistan sono intrappolati nello stesso circolo vizioso, vittime delle loro élite dominanti, militari e clericali che usano la religione e la guerra per il potere e il profitto. È tempo che i popoli di entrambi i paesi riconoscano il loro comune dolore, i loro nemici e il loro destino e si liberino dalle catene dell’estremismo e dello sfruttamento che le hanno ridotte in schiavitù per generazioni.

L’inno come arma di propaganda talebana


شفق همراه ,  Khalid Mohammadi, 7 novembre 2025

Il canto è un potente strumento di propaganda tra le forze talebane e i loro sostenitori. Oltre a usare il canto come mezzo per risollevare il morale delle loro truppe e trasmettere i loro messaggi ideologici, i talebani lo usano anche per minacciare altri paesi (tra cui Pakistan, Iran e Stati Uniti). Sebbene i talebani considerino la musica haram e proibita, cantare senza musica è diventato uno dei modi più efficaci per promuovere le opinioni del gruppo e mantenere vivo lo spirito militante tra le loro forze negli ultimi trent’anni.

Le canzoni talebane fanno parte della macchina “psicologica e propagandistica” del gruppo. I talebani sfruttano l’impatto del canto, del ritmo e della ripetizione possibili con i canti come mezzo per evocare “eccitazione e lealtà” e rafforzare il senso di solidarietà tra i loro combattenti. Di fatto l’inno per i talebani gioca lo stesso ruolo della musica militare per gli eserciti moderni. Questo semplice metodo ha aiutato i talebani a mantenere alto il morale delle loro forze durante lunghi anni di guerra e pressione.

Di recente, in una base militare talebana, un gruppo di cantanti ha intonato una poesia in lingua pashtu che avvertiva che la bandiera bianca dell'”Emirato Islamico dei Talebani” sarebbe stata issata a Lahore, in Pakistan. Parte della canzone recita: “Se non alzassi la bandiera bianca a Lahore, non sarei un bambino afghano. Se non vi lasciassi scappare, non sarei un bambino afghano”. La canzone è stata eseguita tra alti ufficiali talebani e molti militari in uniforme, e il pubblico l’ha ascoltata con entusiasmo. Alcune parti della canzone viene utilizzato un linguaggio offensivo esplicito nei confronti del Pakistan. Questa canzone anti-Pakistana è stata recitata in una delle basi militari talebane dopo essere passata attraverso i filtri del Ministero dell’Informazione e della Cultura.

La canzone è diventata popolare non solo lì ma anche sui social network e si è rapidamente diffusa tra i talebani e i loro fan sulla piattaforma X (ex Twitter).
Nel ripubblicarla, diversi utenti talebani hanno rimosso le parti offensive della canzone, evidenziando solo le parti che mettevano in guardia da un possibile attacco al Paese.

L’inno, scritto in pashtu e minaccioso per il Pakistan, giunge mentre le tensioni tra i talebani e Islamabad si sono intensificate negli ultimi mesi. (…)

Simboli di potere e onore

La minaccia attraverso il canto non si limita solo al Pakistan. A metà mese di quest’anno, Hamdullah Fattrat, il vice portavoce dei talebani, ha pubblicato una canzone sul suo account X in cui i membri talebani minacciavano gli Stati Uniti di attacchi suicidi, in risposta alle parole di Donald Trump che ha chiesto ai talebani di restituire la base di Bagram a Washington. Nel video si vedono quattro membri talebani cantare canzoni all’interno di una macchina Land Cruiser, dichiarando di essere pronti ad arruolarsi per compiere attacchi suicidi contro gli Stati Uniti.

Nella mentalità dei talebani, gli attacchi suicidi e le squadre suicide sono un simbolo di potere e onore. Hanno ripetutamente utilizzato queste forze per minacciare i loro avversari. Durante la guerra con gli Stati Uniti e la NATO, gli attacchi suicidi sono stati uno degli strumenti principali dei talebani, e ora il gruppo crede che, facendo nuovamente affidamento sullo stesso strumento, possa dimostrare la sua potenza contro i paesi della regione.
Due anni fa, quando le tensioni sui diritti idrici del fiume Helmand tra il governo talebano e l’Iran crescevano, una canzone talebana recitava: “Abbiamo il governo e il potere e riformeremo l’Iran. Il nostro leader Mullah Yaqub riformerà Teheran. Daremo il via a una grande e sanguinosa rivoluzione in Iran”. La canzone si riferiva agli attentatori suicidi talebani pronti a sacrificare la propria vita per il governo talebano.

Le minacce verbali e le canzoni di propaganda contro Iran, Pakistan e persino Stati Uniti dimostrano che i talebani non hanno abbandonato la letteratura jihadista e di guerra come parte della loro identità. Durante i quattro anni di ristabilimento dei talebani, le minacce di attacchi militari o suicidi attraverso le canzoni sono state ripetute più volte, e sembra che questa tendenza continuerà in futuro, data l’accettazione di tali produzioni da parte di alti dirigenti talebani.

Cento anni di propaganda attraverso gli inni

Durante i primi giorni del regime talebano, negli anni ’90, la stazione radio “Voice of Sharia” ha svolto un ruolo importante nella trasmissione di canzoni di propaganda. I talebani usavano la radio per trasmettere canzoni di guerra e di contenuto religioso per diffondere le proprie opinioni tra la gente. Con la caduta del governo talebano in seguito all’attacco della coalizione guidata dagli Stati Uniti nel 2001, questa tendenza si è interrotta per un po’; ma i talebani, tornati sul campo di battaglia con il supporto dell’esercito e dell’agenzia di intelligence militare pakistana (ISI), hanno fatto ancora una volta della canzone il loro principale strumento di propaganda.

Negli anni successivi, canzoni talebane con slogan come “lotta contro l’occupazione”, “jihad” e “stabilire la legge islamica” iniziarono a circolare tra la gente. Con l’aumento dell’accesso ai telefoni cellulari, queste canzoni vennero trasmesse tramite Bluetooth e WhatsApp tra combattenti e sostenitori talebani, svolgendo un ruolo importante nel rafforzare il loro spirito combattivo. I talebani producevano canzoni con risorse e spese minime, ma il loro impatto fu di gran lunga superiore a quello della propaganda ufficiale del governo repubblicano, prodotta con ingenti budget e attrezzature moderne.

Dopo la caduta della repubblica e il ritorno al potere dei Talebani, il gruppo ha preso il controllo dei media statali, tra cui la Radio e la Televisione Afghana. Da allora, i Talebani sono stati in grado di registrare e trasmettere le loro canzoni di propaganda con una qualità superiore utilizzando strutture all’avanguardia. Negli ultimi quattro anni, il Ministero dell’Informazione e della Cultura dei Talebani ha tenuto diversi recital di poesia, in cui alti funzionari, forze talebane e sostenitori hanno elogiato la guerra ventennale, i leader del gruppo e i Talebani. Molte di queste canzoni sono distribuite attraverso i media statali e i social media controllati dai Talebani.

Con il ritorno dei Talebani, il Ministero dell’Informazione e della Cultura del gruppo ha lanciato un programma per raccogliere e archiviare le più di 10.000 canzoni e naat [liriche] composte durante la guerra il cui contenuto principale è l’elogio della guerra dei Talebani, delle figure chiave del gruppo e degli attacchi esplosivi e suicidi.

Negli ultimi anni, i Talebani hanno utilizzato le canzoni come parte della loro guerra psicologica e della propaganda nello spazio digitale. Le loro canzoni, accompagnate da immagini del campo di battaglia, bandiere bianche e i volti delle loro truppe, vengono pubblicate su reti come X, Telegram, TikTok e YouTube, video prodotti con elementi essenziali ma carichi di emotività per avere un impatto psicologico sul pubblico.
Sono anche considerati una sorta di guerra psicologica contro gli oppositori e i “nemici” dei Talebani. Al contrario, l’opposizione ai Talebani non beneficia di un meccanismo di propaganda così coerente ed efficace e, nel campo di battaglia delle narrazioni, i Talebani hanno mantenuto la loro superiorità.

Con l’espansione delle attività culturali dei Talebani, il canto ha superato il livello militare ed è diventato parte integrante dell’atmosfera sociale dell’Afghanistan. Nelle scuole, negli istituti religiosi e nelle università, le canzoni di propaganda talebane hanno sostituito musica, inni e canti nazionali. Bambini e adolescenti sono esposti quotidianamente a parole come “jihad”, “martirio” e “nemico” e, di conseguenza, le menti delle nuove generazioni sono plasmate dall’ideologia del regime talebano.
Il canto è diventato parte integrante anche delle cerimonie ufficiali durante i programmi governativi, le occasioni religiose e le riunioni pubbliche. In questo modo, i Talebani non solo hanno ampliato il loro apparato di propaganda, ma hanno anche utilizzato le canzoni come strumento di ingegneria culturale della società e di riproduzione dell’identità collettiva.

Nel sistema di propaganda talebano, l’inno non è solo un canto religioso o culturale, ma uno strumento per ricostruire il potere, un tentativo di legittimare ideologicamente e mantenere alto il morale di forze che sono cresciute per anni in un clima di guerra, jihad e “nemicizzazione”.

“SHELTER FOR WOMEN”

HAWCA, Report, ottobre 2025

Shelter for women” è un progetto gestito dalle donne di HAWCA e sostenuto dal CISDA. Questo è l’ultimo report che ci hanno inviato per tenerci aggiornate sull’iniziativa

Avviata nell’aprile 2022, questa iniziativa mira a offrire rifugio alle donne che subiscono abusi domestici, puntando a dare loro potere dotandole delle competenze per una vita indipendente ed economicamente autosufficiente con corsi educativi e professionali.

Negli ultimi 6 mesi il progetto ha ospitato con successo cinque donne e i loro nove figli, fornendo loro un ambiente sicuro, assistenza medica, sostentamento e corsi di formazione.

Operando come rifugio per le donne, questa iniziativa deve affrontare numerose sfide, in particolare per gli ostacoli posti dal governo autoproclamato, che ignora apertamente i diritti delle donne in modo riprovevole. La difficile situazione delle donne afghane sottolinea l’urgente necessità di tali iniziative per fornire rifugio e sostegno di fronte alle avversità.

Sfide del progetto

Operare nell’attuale panorama politico dominato dall’autoproclamato governo talebano pone sfide significative per il progetto Shelter for Women, con conseguenti ostacoli tecnici e di sicurezza.

L’ostacolo principale deriva dall’opposizione del governo talebano, che ha una posizione diffidente nei confronti delle organizzazioni umanitarie, percependole come canali di influenza straniera e perciò negando il ruolo fondamentale che queste organizzazioni svolgono nel sostenere la comunità, in particolare nell’affrontare questioni come la violenza contro le donne.

Il governo complica la realizzazione del progetto imponendo restrizioni alle iniziative rivolte alle donne, così minando la loro partecipazione attiva. Anche le organizzazioni con cui collaboriamo hanno rivelato ostacoli analoghi messi in atto dal governo, soprattutto ostacoli burocratici che impediscono risposte urgenti ai bisogni delle donne emarginate, pretendendo molteplici permessi e autorizzazioni per l’intervento.

Nonostante ciò, la nostra organizzazione rimane risoluta nell’impiegare diverse strategie per affrontare le problematiche delle donne, opponendosi agli ostacoli opposti al sostegno e all’assistenza.

Gli sforzi per salvaguardare le donne all’interno delle case sicure hanno finora prodotto risultati positivi, tuttavia il rischio di essere scoperte dai Talebani rappresenta una minaccia incombente. Perciò sono state implementate le misure di sicurezza: è stato necessario cambiare l’ubicazione del rifugio e affittare una nuova casa per consentire al progetto di continuare nella sua missione.

Siamo molto soddisfatte dei notevoli progressi nel nostro centro di accoglienza per donne, un faro di speranza in mezzo alla chiusura delle istituzioni educative e all’incertezza politica. Le donne hanno mostrato un notevole entusiasmo per i corsi educativi e professionali.

Degno di nota tra queste iniziative è il nostro programma di cucito, che ha conferito alle partecipanti competenze preziose, favorendo l’autosufficienza e l’indipendenza.

Corso di cucito per donne

Nel corso degli ultimi tre anni, tutti i giorni è stato condotto un corso di cucito esclusivamente per le donne residenti nella casa protetta. Le partecipanti hanno dimostrato un eccezionale livello di interesse nell’affinare le proprie capacità, convinte della possibilità che la conoscenza delle tecniche consentirà loro di trovare idee innovative e di conoscere la richiesta del mercato, come percorso significativo verso la loro emancipazione economica.

Le dimensioni ridotte della classe hanno consentito di fornire un’attenzione personalizzata a ogni allieva, soddisfacendo le esigenze individuali e affrontando eventuali dubbi o problemi.

Con la pesante responsabilità di dotare queste donne delle competenze necessarie per avviare piccole attività di cucito casalinghe entro i limiti di tempo previsti dal programma, l’insegnante si è sforzata di svolgere un corso completo, che comprende modelli di abbigliamento e tecniche di cucito che vanno dall’arte di tagliare e confezionare abiti da sposa e per occasioni celebrative al confezionamento di indumenti di abbigliamento quotidiano, un insieme di competenze diversificate e pertinenti alle richieste del mercato per fornire loro i mezzi per generare il proprio reddito una volta entrate nel mercato lavorativo.

Trasmettendo conoscenze, competenze e opportunità di sviluppo professionale, il progetto dà a queste donne la possibilità di liberarsi dall’oppressione subita e di prendere il controllo del proprio destino, e le studentesse sono orgogliose dei loro notevoli progressi ottenuti in breve tempo.

Il loro senso di responsabilità, generosità ed empatia è davvero ammirevole e profondamente apprezzato. Dimostra che questo progetto non solo le ha rafforzate economicamente, ma ha anche rafforzato il loro senso di solidarietà e l’impegno sociale.

Corso di alfabetizzazione per donne

L’istruzione è un diritto fondamentale intrinseco di ogni individuo e, nell’ambito di questo progetto, il nostro team ha dedicato sforzi essenziali per fornire opportunità educative alle donne afghane.

Alle donne iscritte a questi corsi viene offerta l’alfabetizzazione dai livelli elementari a quelli medi, con un’enfasi particolare sulla personalizzazione del curriculum per soddisfare le loro esigenze specifiche.

Il curriculum dei corsi comprende un ampio spettro di materie, partendo dagli elementi fondamentali come la padronanza dell’alfabeto, cruciale per le persone che necessitano di un’alfabetizzazione di base. Ma il progetto offre anche alle donne con livelli di alfabetizzazione più elevati la possibilità di affinare ulteriormente le proprie capacità.

Per tutta la durata del corso, alle partecipanti è stata fornita una serie di risorse educative, tra cui libri scolastici, letteratura e poesia e materiali didattici supplementari adattati alle esigenze specifiche, garantendo un’esperienza di apprendimento completa e arricchente.

La valutazione dopo sei mesi di frequenza ha rivelato un risultato notevole: le donne hanno acquisito in modo coerente e sostenibile competenze di alfabetizzazione, dimostrando un incrollabile entusiasmo per il loro percorso educativo. La loro capacità di leggere e scrivere testi ha evocato un profondo senso di soddisfazione e gioia, sottolineando il valore dell’istruzione sulle loro vite.

Per migliorare le problematiche educative e mentali delle donne, l’insegnante ha inserito una nuova attività nel corso: ogni donna scriverà la propria storia che poi verrà letta in classe da loro stesse. Dopo la lettura, le donne si sentiranno libere e sollevate.

Le attività hanno avuto un impatto molto positivo sul morale delle donne, rendendole più attive, fiduciose e motivate ad apprendere, trasformando la classe in un ambiente vivace e stimolante.

Attività per bambini

La presenza di bambini tra i beneficiari del rifugio ha evidenziato la necessità di creare un ambiente consono, promuovendo quotidianamente le loro capacità. Nel corso degli ultimi tre anni le lezioni si sono svolte con regolarità dalle 9:00 alle 16:00, offrendo un ambiente strutturato e favorevole alle loro esigenze educative e di sviluppo.

All’interno delle classi appositamente progettate, che fungono sia da spazio educativo che protettivo, i giovani studenti hanno corsi di alfabetizzazione e istruzione.

I bambini che frequentano questo centro hanno mostrato un notevole entusiasmo per la pittura e per l’apprendimento, dimostrando una notevole attitudine alla comprensione rapida e all’acquisizione di competenze. Il loro vivo interesse testimonia l’efficacia dei programmi educativi nell’ambito del progetto.

Per contribuire a migliorare il loro benessere emotivo sono stati acquistati giocattoli e oggetti didattici, rendendo la loro classe più colorata e piacevole, e sono state realizzate attività ricreative, come puzzle e giochi all’aperto. Queste attività sono state pensate per aiutare i bambini ad esprimersi, a ritrovare le proprie energie e a provare emozioni positive. Le circostanze difficili e dure che hanno sopportato li hanno resi tristi, quindi creare momenti di gioia e di gioco è essenziale.

Attività aggiuntive

Negli ultimi sei mesi, le donne si sono impegnate anche in una serie di attività diverse e arricchenti che hanno rafforzato sia le loro capacità che il morale.

Uno dei momenti salienti è stata la celebrazione della Giornata degli insegnanti, che è stata per loro un’esperienza incredibilmente gioiosa e memorabile. In questo giorno, le donne hanno preparato pasti deliziosi e speciali, indossato abiti nuovi e belli, ascoltato la musica, suonato strumenti e ballato.

Oltre a questo evento, sono state organizzate diverse altre attività, tra cui:

• Laboratori di arti e mestieri: le donne hanno creato pezzi artistici utilizzando materiali semplici, valorizzando la loro creatività e abilità manuali.

• Piccoli progetti di giardinaggio: curando un piccolo giardino all’interno del rifugio, le donne hanno acquisito esperienza nella cura delle piante e si sono divertite con la natura.

• Giochi e gare di gruppo: sono stati organizzati giochi educativi e divertenti per promuovere il lavoro di squadra e la gioia tra le donne.

• Sessioni di discussione e consulenza: le donne hanno avuto l’opportunità di condividere le loro sfide ed esperienze, beneficiando del sostegno sociale e psicologico.

Queste attività non solo hanno fornito momenti di felicità ed energia, ma hanno anche contribuito in modo significativo ad aumentare la fiducia in loro stesse, le abilità e la creatività.

Chi sono le beneficiarie del progetto

Fatima, 36 anni, vive nel rifugio con i suoi due figli, Marwa di 14 anni e Maihan di 9. Si sposò all’età di 19 anni con il suo consenso e, sebbene suo marito facesse fatica a provvedere al cibo, la coppia era soddisfatta della loro vita insieme.

Il rapporto con la suocera e il cognato non era facile: veniva sempre umiliata e costretta a svolgere lavori faticosi nonostante fosse malata, causando liti quotidiane, ma sopportava per non turbare il marito.

La vita di Fatima divenne insopportabile quando suo marito morì in un incidente stradale. Sua suocera e suo cognato non solo la umiliavano, ma la picchiavano. Affinché sposasse suo cognato, cosa che lei rifiutava, la chiusero in una stanza per giorni senza cibo e acqua. Per salvarsi fuggì a casa di parenti che la portarono al rifugio di HAWCA, dove ha trovato sostegno e supporto.

Shamsia, 27 anni, con tre bambini. Aveva solo 15 anni quando si sposò con un uomo di 51 anni, sacrificando la propria felicità per il bene dei suoi genitori. Lei e suo marito hanno avuto tre figlie di 11, 10 e 9 anni. Fin dall’inizio del loro matrimonio, il marito fu duro e fanatico, insistendo che lei avesse bisogno del suo permesso anche per andare dal medico.

Il marito era ansioso di avere un figlio maschio, poiché era l’unico maschio nella sua famiglia di sei sorelle, perciò quando Shamsia rimase incinta e scoprì di portare in grembo una bambina, fu picchiata e indotta ad abortire. Ma nonostante i ripetuti tentativi, l’ostetrica non riuscì a farla abortire poiché il bambino era di diversi mesi.

Nell’arco di tre anni rimase incinta tre volte ma diede alla luce tre figlie. Suo marito continuava a picchiarla e insultarla, oltre a non mostrare amore per le sue figlie, alle quali faceva del male anche fisicamente.

Incapace di sopportare il dolore, l’umiliazione e gli abusi, Shamsia lasciò la casa con le sue tre figlie e andò a casa di un’amica ma fu costretta a cercare rifugio in un ambiente sicuro per proteggere se stessa e le figlie.

Bibi Hawa, 30 anni, due bambini. All’età di 14 anni fu costretta dai fratelli a sposare, senza il suo consenso, un uomo più anziano. Le sue cognate la trattavano male, non le permettevano nemmeno di piangere e intervenivano ogni volta che la vedevano parlare con un’altra donna, impedendole di condividere i suoi problemi. Dopo essersi sposata, scoprì che suo marito aveva un’altra moglie e dei figli della sua stessa età.

Fin dall’inizio dovette affrontare numerose difficoltà e si considerò fortunata di non essere diventata madre presto. Rimase con suo marito per anni, nonostante il suo disinteresse per lui, senza poterlo lasciare perché non aveva amici che la aiutassero. Diede alla luce due figli e per molto tempo rimase con lui esclusivamente per il loro bene. Tuttavia suo marito era duro e lascivo, fissava le altre ragazze e voleva sposarsi per la terza volta. Tutto cio’ non faceva altro che aumentare l’odio per lui.

Fortunatamente, con l’aiuto di un’amica, riuscì a scappare e venire al rifugio di HAWCA, cercando di divorziare dal marito ed essere libera da lui per sempre.

Sharaf Gul è una donna di 36 anni. Ha tre figli, due maschi di 9 e 6 anni e una figlia di 10 anni. Suo marito morì prima della nascita del suo quarto figlio. Dopo la morte, suo suocero, che era giovane, mise gli occhi su di lei. All’inizio pensava che fosse gentile per renderla felice, ma presto si rese conto che aveva cattive intenzioni. Non poteva dirlo alla suocera perché sapeva che sarebbe stata incolpata e la sua situazione sarebbe peggiorata. Iniziò a vivere con cautela, chiudendosi con i suoi figli in una stanza quando non c’era nessun altro.

Tuttavia, il comportamento di suo suocero peggiorò nel corso degli anni e una notte entrò nella sua stanza mentre dormiva e tentò di violentarla. Alle sue urla la suocera si svegliò e, invece di offrirle aiuto, si unì al pestaggio del marito con tale violenza da costringerla a malapena a stare in piedi.

Decise allora di salvare se stessa e i suoi figli dall’inferno in cui viveva. Appena la sua salute migliorò, fece finta di andare dal medico con i suoi figli e invece andò a casa della sorella e successivamente con l’aiuto di amici, al rifugio HAWCA, dove attualmente risiede.

Bibi Hamida è una donna di 40 anni che lotta con coraggio contro le difficoltà della vita, dando priorità alla sicurezza di suo figlio. Dopo la morte del marito, il figlio di suo cognato la violentò e la mise incinta. Quando i suoi suoceri lo scoprirono, la chiusero in una stanza buia, la privarono di una corretta alimentazione e le impedirono di incontrare altre persone fino al parto.

I suoi suoceri volevano portarle via il bambino senza il suo consenso, ma lei si oppose coraggiosamente. Suo suocero la picchiò e cercò di prenderle il bambino con la forza e, non riuscendoci, dopo alcuni giorni la portarono in un luogo lontano e la abbandonarono.

Nonostante tutte le sue difficoltà, Hamida ha fatto tutto il possibile per prendersi cura del suo bambino e ha quindi cercato rifugio da noi.

Hamida è determinata non solo a chiedere giustizia alla madre e al suocero, ma anche all’uomo che l’ha violentata. Partecipa attivamente a tutti i programmi di HAWCA e si interessa a ogni opportunità per essere istruita, in modo da poter realizzare i suoi obiettivi.

Fustigazioni pubbliche: una “pratica criminale” ampiamente applicata dai talebani

I talebani fustigano oltre 240 persone, tra cui donne e bambini, in tre mesi, secondo quanto riportato dall’ONU

KabulNow, 29 ottobre 2025
Secondo un nuovo rapporto della missione delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA), tra luglio e settembre di quest’anno i talebani hanno frustato pubblicamente almeno 242 persone in tutto l’Afghanistan, tra cui 48 donne, un ragazzo e due ragazze.

Il rapporto, pubblicato martedì 28 ottobre, ha evidenziato uno dei più grandi episodi di fustigazione pubblica, avvenuto il 13 agosto nella provincia di Sar-e-Pol, nel nord dell’Afghanistan. Ventuno persone sono state fustigate in pubblico, ricevendo tra le 21 e le 39 frustate ciascuna, e sono state anche condannate a pene detentive.

Secondo il rapporto, gli individui sono stati puniti per una serie di presunti reati, tra cui la fuga dalle proprie case, conversazioni telefoniche con persone del sesso opposto, furto, adulterio e omicidio.

Dal loro ritorno al potere nel 2021, i Talebani hanno sistematicamente ripristinato le punizioni pubbliche, tra cui fustigazioni ed esecuzioni, applicando un’interpretazione rigorosa della Sharia. Negli ultimi quattro anni, il gruppo ha eseguito almeno 11 esecuzioni pubbliche per omicidio in tutto l’Afghanistan.

Queste pratiche hanno attirato critiche da parte delle Nazioni Unite, delle organizzazioni per i diritti umani e degli attivisti, i quali sostengono che tali punizioni violano gli standard internazionali sui diritti umani e la dignità umana fondamentale.

Organizzazioni internazionali per i diritti umani, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch, hanno esortato i Talebani a porre immediatamente fine alla “pratica criminale” della fustigazione pubblica e di tutte le altre forme di punizione corporale. Hanno inoltre criticato il sistema giudiziario e le pratiche dei Talebani, sostenendo che non garantiscono processi equi e che gli imputati non hanno accesso all’assistenza legale.

I talebani, tuttavia, sostengono di applicare la legge della Sharia in Afghanistan, accusando altri paesi e organizzazioni di non avere una comprensione sufficiente o di avere pregiudizi nei confronti dell’Islam.

Sempre più difficile l’accesso alle informazioni in Afghanistan

Elina Qalam, 8AM Media, 5 novembre 2025

Diversi giornalisti in esilio dall’Afghanistan affermano che ottenere accesso alle informazioni dall’interno del Paese è diventata una delle maggiori sfide per la loro attività giornalistica. Aggiungono che, con le crescenti restrizioni imposte dai Talebani agli utenti dei media e dei social media, il processo di acquisizione di informazioni per i media in esilio è diventato sempre più difficile. Questi giornalisti sottolineano che la mancanza di informazioni accurate e tempestive ha creato seri ostacoli nella preparazione dei notiziari e nello svolgimento del loro lavoro quotidiano. Secondo loro, molte fonti si rifiutano di condividere informazioni per timore di arresti o persecuzioni da parte dei Talebani.

Alcuni di questi giornalisti hanno dichiarato all’Hasht-e Subh Daily che senza la presenza di organi di informazione attivi in ​​esilio, molti degli atti di repressione, delle violazioni dei diritti umani e dei crimini dei talebani non sarebbero mai stati denunciati. Sebbene Internet abbia trasformato il mondo in un “piccolo villaggio”, consentendo il contatto con fonti interne all’Afghanistan, affermano che ottenere informazioni rimane estremamente difficile.

Hussain Roustapour, uno dei giornalisti in esilio, afferma che raccogliere informazioni da fonti interne all’Afghanistan è diventato uno dei compiti più difficili dalla presa del potere da parte dei talebani. Aggiunge che i talebani considerano i media liberi un nemico ideologico e non solo hanno imposto una pesante censura alle testate nazionali, ma hanno anche diffuso una tale paura tra i cittadini che non osano più collaborare con i media indipendenti.

Roustapour afferma: “In molti casi, abbiamo parlato con persone che sono state aggredite direttamente o le cui famiglie hanno subito violenze, ma non osano condividere i dettagli. Dicono solo che è successo qualcosa e, quando chiediamo maggiori dettagli, rimangono in silenzio”.

Arezo Ghafoori, un’altra giornalista in esilio, afferma di avere difficoltà a ottenere informazioni credibili da fonti interne all’Afghanistan. A suo avviso, raccogliere e riportare informazioni dall’interno del Paese è estremamente pericoloso sia per il giornalista che per la fonte sotto il regime talebano. Aggiunge: “Fare giornalismo in esilio comporta sempre minacce e pressioni da parte dei talebani. Queste minacce sono solitamente rivolte attraverso le famiglie, e comportano intimidazioni o minacce di arresto. Alcuni di noi hanno persino temuto di tornare in Afghanistan”.

Omid Pouya, un altro giornalista in esilio, afferma che raccogliere informazioni dall’interno dell’Afghanistan è diventato estremamente difficile perché le fonti locali sono sotto la repressione e la pressione dei talebani. Nonostante queste sfide, aggiunge, i media indipendenti si impegnano a garantire che la verità non venga nascosta e che il mondo rimanga informato sulla situazione in Afghanistan. Secondo lui, tali sforzi impediscono che il popolo afghano venga dimenticato dalla comunità internazionale.

Afferma: “La sfida di accedere alle informazioni tramite Internet è iniziata quando l’Afghanistan è sprofondato in un buco nero il 15 agosto 2021. Molti giornalisti sono stati costretti a fuggire, ma trasferire informazioni dall’interno all’esterno rimane estremamente difficile. La comunità internazionale ha accettato la realtà che l’Afghanistan non è più sotto l’egida della verità libera a livello globale”.

Fereshta Khorshid, un’altra giornalista che collabora con organi di stampa in esilio, afferma che, nelle condizioni attuali, fare reportage per giornalisti in esilio non è meno pericoloso che andare su un campo di battaglia. Sottolinea che verificare le fonti e raccogliere informazioni dall’interno dell’Afghanistan è diventato un compito estremamente difficile. Secondo lei, la maggior parte delle fonti si rifiuta di fornire dettagli per paura di essere arrestata o molestata dai talebani.

Aggiunge: “Accedere alle informazioni è diventato molto difficile. In alcuni casi, decidiamo persino di non trattare determinati argomenti. Ad esempio, per un rapporto che richiede di parlare con quattro persone, ne contattiamo otto, perché solo una o due potrebbero rispondere. D’altra parte, non abbiamo accesso al campo né alcuna protezione”.

Nonostante l’aumento del numero di organi di informazione in esilio in Afghanistan negli ultimi quattro anni, l’accesso alle informazioni dall’interno del Paese rimane una delle sfide più serie e difficili per i giornalisti.

Diverse organizzazioni di supporto ai media affermano che i Talebani non solo hanno limitato l’accesso alle informazioni, ma hanno anche sottoposto giornalisti e fonti di informazione a forti pressioni attraverso minacce, arresti, torture e intimidazioni. Questa situazione ha di fatto eliminato lo spazio per i media indipendenti, costringendo i giornalisti all’autocensura o all’esilio.

Mujeeb Khelwatgar, responsabile dell’NAI in esilio, afferma che dal ritorno dei talebani al potere, l’Afghanistan ha registrato la peggiore regressione nell’accesso alle informazioni. Sottolinea che il “diritto di accesso alle informazioni” è praticamente scomparso in Afghanistan, poiché i talebani condividono solo informazioni in linea con i loro interessi e la narrativa ufficiale.

Khelwatgar aggiunge: “A mio avviso, il diritto di accesso alle informazioni in Afghanistan non esiste più. I talebani gestiscono e condividono con i media solo ciò che vogliono. Le organizzazioni indipendenti e i giornalisti non hanno accesso a informazioni reali e vitali. Stiamo assistendo alla completa interruzione del ciclo di informazione libera nel Paese”.

Hamid Pezhman, direttore di Radio Ava-e Hindukush in esilio, afferma che i media al di fuori dell’Afghanistan si trovano ad affrontare gravi carenze di risorse e numerose difficoltà nel produrre reportage accurati. Osserva inoltre che mantenere la neutralità nelle condizioni attuali è difficile e che i giornalisti devono scegliere tra il silenzio e l’atteggiamento critico.

Sotto grave censura

Pezhman afferma: “Zabihullah Mujahid risponde solo alle domande che gli sono state fornite in anticipo ed evita quelle provocatorie. Collabora solo con noti organi di stampa affiliati a reti internazionali e non può essere ritenuto responsabile in tutti gli ambiti. Questo di per sé rappresenta una sfida importante per i media al di fuori dell’Afghanistan”.

Dal ritorno al potere dei Talebani, il mondo dei media afghani è sotto il controllo rigoroso e sistematico del gruppo. I giornalisti subiscono minacce, intimidazioni, arresti, torture e censura, mentre ai media è consentito pubblicare solo contenuti in linea con l’ideologia e le politiche dei Talebani.

Secondo le statistiche disponibili, solo nel primo anno di governo talebano, su 543 organi di stampa attivi, almeno 231 sono stati chiusi. Reporter Senza Frontiere ha inoltre annunciato che nell’ultimo anno sono state chiuse 12 reti televisive e sono stati registrati 181 casi di violazione dei diritti dei media, tra cui l’arresto di oltre 50 giornalisti.

Uno studio recente dell’Università di Lipsia, in Germania, ha rilevato che il 71% dei giornalisti in Afghanistan pratica regolarmente l’autocensura, principalmente per “proteggere la vita di colleghi e familiari“. Inoltre, il 90% dei giornalisti ha confermato di essersi astenuto dal pubblicare determinati articoli per salvaguardare le proprie fonti.

Anche la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha riferito che dalla presa del potere da parte dei talebani fino alla fine di settembre 2024, almeno 256 giornalisti sono stati arrestati arbitrariamente e torturati.

 

L’ONU sospende le operazioni di soccorso

L’ONU sospende le operazioni di soccorso al confine tra Afghanistan e Iran
Siyar Sirat, AMU Tv, 5 novembre 2025L?
Le Nazioni Unite e i suoi partner umanitari hanno sospeso le loro operazioni a Islam Qala, un importante valico di frontiera tra Afghanistan e Iran, a seguito delle nuove restrizioni imposte dai talebani che impediscono alle donne che lavorano con le Nazioni Unite e le ONG di operare nel sito, ha confermato mercoledì ad Amu la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA).

La sospensione avviene in un momento in cui il numero di afghani deportati o rimpatriati dall’Iran è in forte aumento, molti dei quali in condizioni umanitarie disastrose. Secondo le Nazioni Unite, oltre il 60% di coloro che arrivano a Islam Qala sono donne e bambini, e quasi un terzo delle famiglie che rientrano è guidato da donne.

“Queste restrizioni creano sia sfide operative immediate che rischi aggiuntivi per i rimpatriati, in particolare donne e ragazze”, ha affermato l’UNAMA in una dichiarazione condivisa con Amu. “Senza personale femminile, non possiamo assistere collettivamente donne e bambini che tornano in patria in condizioni di dignità e rispetto”.

Agenzie delle Nazioni Unite e ONG hanno operato a Islam Qala per fornire servizi essenziali ai rimpatriati, tra cui cibo, assistenza medica, supporto psicosociale e trasporto di emergenza. L’esclusione del personale femminile da queste attività ha di fatto paralizzato molte componenti della risposta umanitaria che tengono conto delle differenze di genere.

Un nuovo livello di restrizioni

Il valico di frontiera è stato un punto di ingresso umanitario cruciale, soprattutto da quando il Pakistan ha avviato una campagna di deportazioni di massa contro i cittadini afghani privi di documenti a ottobre. Anche l’Iran ha continuato le deportazioni, rimpatriando migliaia di afghani ogni settimana.

Sebbene i talebani abbiano ripetutamente imposto divieti alle donne afghane di lavorare con ONG e Nazioni Unite dal dicembre 2022, le agenzie umanitarie sono riuscite in molti casi a negoziare esenzioni, in particolare in settori come la sanità e l’istruzione, o per lavori che coinvolgono donne e bambini. L’applicazione del divieto ai valichi di frontiera segna un nuovo livello di restrizione, che colpisce uno dei gruppi più vulnerabili: le famiglie sfollate che fanno ritorno dalle loro case.

“I partner umanitari delle Nazioni Unite e delle ONG stanno collaborando con le autorità de facto e sperano che si trovino soluzioni che consentano di riprendere tutte le operazioni in modo sicuro, culturalmente sensibile e basato sui principi”, si legge nella dichiarazione.

I gruppi per i diritti umani e le organizzazioni umanitarie denunciano da tempo che i divieti imposti dai talebani alle donne di lavorare non solo violano i principi umanitari internazionali, ma limitano anche gravemente la fornitura di aiuti in un paese in cui più di due terzi della popolazione dipende da qualche forma di assistenza.

La situazione a Islam Qala rischia ora di aggravare la crisi umanitaria, poiché migliaia di rimpatriati, molti dei quali non hanno casa, cibo o mezzi di sostentamento, si trovano ad affrontare un futuro incerto nell’Afghanistan occidentale.

La generazione Z in Afghanistan

La trasformazione dell’identità e il futuro della generazione Z in Afghanistan: tra due mondi, alla ricerca del domani

Shafayee Shafayee, 8AM media, 4 novembre 2025

Fatima ha diciassette anni. Quattro anni fa, ogni mattina sedeva in classe accanto alle sue amiche, disegnando silenziosamente mappe nella sua mente, mappe che la portavano a un sogno: diventare medico e curare i malati. Ora, passa la maggior parte del tempo a guardare fuori dalla finestra della sua stanza, a osservare una strada che non ha più il diritto di percorrere. È una degli 1,4 milioni di ragazze afghane a cui è stato vietato di frequentare la scuola dal ritorno al potere dei talebani. Questa non è solo la storia di una ragazza; è la storia di un’intera generazione intrappolata nella frattura della storia, una generazione che un tempo ha assaporato la libertà, ha avuto accesso a internet e al mondo esterno, e poi, da un giorno all’altro, è stata ripiombata in un’oscurità medievale che nemmeno i loro genitori avevano mai sperimentato appieno.

Una nazione giovane, un vecchio regime

Ovunque si vada in Afghanistan, si vedono giovani. L’età media nel paese è di soli diciassette anni, il che significa che la maggior parte degli afghani sono studenti o alle soglie del mondo del lavoro. Circa il 43% dei 42 milioni di abitanti dell’Afghanistan ha meno di quindici anni, oltre 20 milioni di giovani vite che avrebbero dovuto essere la forza trainante del futuro della nazione, ma che ora sono intrappolate nella disperazione e nella miseria. Questa non è una statistica che può essere trascurata. Nessun altro paese della regione ha una popolazione così giovane. Avrebbe potuto essere la risorsa più grande dell’Afghanistan: una vasta forza lavoro, una creatività sconfinata, un’energia illimitata. Invece, è diventata la sfida più scoraggiante del paese.

L’Afghanistan è una terra gravata dalla memoria, eppure abitata da giovani spensierati. Un paese dove secoli di guerra, geografia e destino hanno gravato pesantemente sulle sue spalle, ora ospita una generazione che non appartiene né interamente al passato né al futuro. La Generazione Z in Afghanistan si trova a cavallo tra due mondi, tra tecnologia e tradizione, esilio e patria, silenzio e resistenza, alla ricerca di un nuovo significato dell’esistenza. Questa generazione, che costituisce quasi il 60% della popolazione, è cresciuta tra esplosioni ed esodo, ed è diventata maggiorenne nell’era digitale, in preda a una crisi d’identità. Sono cresciuti in un paese dove le scuole sono state bruciate ma i social media sono ancora vivi; dove i libri sono scarsi, ma gli smartphone si trovano in quasi ogni casa. Lo scontro tra queste due realtà ha creato per loro due narrazioni di vita parallele: una confinata entro confini, segnata da paura e restrizioni; l’altra sconfinata, esistente nel regno virtuale, definita da immaginazione e libertà.

Questi giovani non possono essere paragonati alla generazione dei loro genitori. Sono cresciuti nel ventennio sperimentale della Repubblica, un periodo che, nonostante la corruzione e il caos, ha concesso un breve respiro di libertà. Dal 2002 al 2021, oltre 3,8 milioni di ragazze hanno frequentato la scuola per la prima volta. Questa cifra non è solo un numero; rappresenta milioni di famiglie che, per la prima volta, hanno visto le proprie figlie imparare a leggere e scrivere e, soprattutto, a sognare.

Un tempo le università erano piene di donne. Più di 100.000 studentesse erano iscritte in università pubbliche e private in tutto l’Afghanistan. Oltre 2.400 donne erano docenti. A Kabul, Herat e Mazar-e-Sharif, giovani donne camminavano per le strade con i libri sottobraccio, uno spettacolo che ora sembra un sogno lontano. Questa generazione è cresciuta con i cellulari e internet. Erano attive su Instagram e Facebook, guardavano serie televisive turche e indiane e ascoltavano musica. Il loro mondo si estendeva ben oltre le montagne dell’Hindu Kush.

Caduta libera

E poi, tutto è crollato. Il 15 agosto 2021, il giorno in cui i talebani sono entrati a Kabul, inizialmente avevano promesso che questa volta sarebbe stato diverso. Ma una promessa dopo l’altra è stata infranta. Le scuole femminili oltre la sesta elementare sono state chiuse. Le università sono state prima soggette a restrizioni, poi completamente chiuse. Alle donne è stato impedito di lavorare nelle organizzazioni internazionali. Persino i parchi sono diventati off-limits per loro.

Per ordine del leader supremo dei talebani, le porte delle scuole sono state chiuse a 1,4 milioni di ragazze. Mille giorni di istruzione negata significano tre miliardi di ore di apprendimento perse, tempo che non tornerà mai più. Questa tragedia non riguarda solo le ragazze. I ragazzi, che avrebbero dovuto crescere e imparare insieme alle loro sorelle e compagne di classe, ora assistono alla distruzione di metà della loro società. Sanno che senza la partecipazione delle donne, l’Afghanistan non ha futuro.

Oltre i confini dell’Afghanistan, si sta svolgendo un’altra storia. Milioni di giovani afghani fuggiti dal Paese ora vagano per terre straniere. Oltre 2,6 milioni di rifugiati afghani sono ufficialmente registrati, di cui 2,2 milioni residenti solo in Iran e Pakistan. Ma la realtà è ancora più cupa. Si stima che circa tre milioni di afghani vivano in Iran e forse un altro milione risieda illegalmente in Pakistan e in altri Paesi. Questa generazione in esilio vive con una doppia identità, né pienamente afghana né pienamente appartenente alle nazioni ospitanti. La loro lingua è il dari o il pashtu, ma parlata con un accento che non si sente più a Kabul. La loro cultura rimane afghana, ma si fonde con quella delle società in cui ora vivono. In esilio, nei campi profughi in Pakistan e Iran, o nelle stanze silenziose dell’Europa, stanno costruendo una nuova lingua. Una lingua in cui dolore e speranza si intrecciano. Una lingua globale, ma radicata nella sofferenza locale.

L’opportunità strategica dimenticata

La Generazione Z in Afghanistan non è solo un fenomeno culturale; rappresenta una questione strategica per il futuro della nazione. In un mondo in cui le trasformazioni politiche sono plasmate dai movimenti sociali, questa generazione potrebbe diventare il principale agente di cambiamento o la più grande vittima del silenzio. Nonostante l’accesso alla tecnologia e alle reti globali, rimane priva di supporto strutturale e politico. Nessun programma nazionale di istruzione o sviluppo è stato progettato per comprenderli o rafforzarli.

Mentre il resto del mondo investe nell’istruzione digitale e nell’imprenditorialità giovanile, l’Afghanistan sta tragicamente perdendo il suo “motore del cambiamento”. Ogni giovane che fugge dal Paese e ogni ragazza a cui viene negata l’istruzione distruggono un pezzo del futuro della nazione.

Il costo che tutti pagano

Le conseguenze di questa catastrofe vanno ben oltre i singoli individui. Una società che perde metà del suo potenziale umano è condannata alla povertà e all’arretratezza. Come può esistere un sistema sanitario se non si formano medici donne? Come può funzionare un’economia quando a metà della forza lavoro è impedito di partecipare? Ma al di là dell’economia, questa è una tragedia umana. Ogni ragazza privata dell’istruzione oggi è un’insegnante, un medico, un ingegnere o un leader perso domani. E ogni ragazzo che cresce senza la presenza delle ragazze impara che le donne valgono meno, perpetuando un ciclo infinito di discriminazione.

Un futuro incerto

La domanda ora è: quale destino attende questa generazione nel futuro dell’Afghanistan? Coloro che studiano nelle scuole segrete diventeranno un giorno i leader di un movimento per il cambiamento? Coloro che vivono in esilio torneranno per ricostruire la loro patria? O questa generazione rimarrà sospesa per sempre tra due mondi?

La storia ci ha insegnato che nessun regime può reprimere i suoi giovani all’infinito. I sovietici hanno imparato questa lezione in Afghanistan. La Repubblica, nonostante tutti i suoi difetti, è riuscita a mantenere viva la speranza. E ora i talebani devono rendersi conto che non possono mettere a tacere 20 milioni di giovani per sempre.

Fatima è ancora seduta dietro la finestra, eppure lei e milioni di persone come lei rimangono luci tremolanti nell’oscurità. Le loro voci potrebbero non essere udite oggi, ma la storia dell’Afghanistan dimostra che queste scintille alla fine si trasformano in incendi che nessuno può spegnere.

La domanda non è se il cambiamento avverrà, ma quando e a quale costo.

Alla fine, il futuro dell’Afghanistan non sarà plasmato dai suoi politici dai capelli grigi, ma dalle menti e dai cuori della Generazione Z. Se ne avessero la possibilità, potrebbero riscrivere la storia, una storia fondata non sul sangue e sulla guerra, ma sulla conoscenza e sulla coesistenza.

Nota: questo articolo si basa su dati delle Nazioni Unite, dell’UNICEF, della Banca Mondiale e su rapporti di organizzazioni per i diritti umani.

 

Comunicato Hawca. Terremoto in Afghanistan: servono aiuti

Hawca, Cisda, 4 novembre 2025

Un potente terremoto di magnitudo 6,3 ha colpito le regioni settentrionali dell’Afghanistan, in particolare le province di Samangan e Balkh, nelle prime ore di lunedì 12 Aqrab (3 novembre). Secondo le prime stime, più di 50 persone hanno perso la vita e oltre 550 sono rimaste ferite.

Questo tragico evento ha causato un grave disagio psicologico ed emotivo tra le comunità colpite. Il numero di feriti è molto elevato, mentre i servizi medici rimangono insufficienti. Molte famiglie hanno perso le loro case di fango e argilla e attualmente affrontano il gelo senza alcun riparo. Testimoni riferiscono che i bambini rischiano di morire di freddo.

Il nostro rappresentante sul campo è riuscito a raggiungere la zona con grande difficoltà, poiché le strade sono state danneggiate dal terremoto. Ci ha riferito che le persone, soprattutto donne e bambini, hanno urgente bisogno di indumenti caldi, rifugi temporanei, medicine, cibo e acqua potabile.

Fonti locali indicano che il governo non è stato finora in grado di adottare misure efficaci, poiché le attrezzature necessarie per la pulizia delle strade non sono disponibili. Inoltre, l’elettricità importata è stata interrotta e persino l’ospedale provinciale di Samangan ha subito danni, con gravi ripercussioni sui servizi sanitari.

In queste difficili circostanze, senza un’assistenza immediata per donne e bambini, si prevede che il numero delle vittime aumenterà drasticamente.

Invitiamo sinceramente la comunità internazionale, le organizzazioni umanitarie e i nostri partner ad agire con urgenza e a fornire supporto per soddisfare i bisogni immediati della popolazione colpita.

Il vostro sostegno e la vostra solidarietà sono la speranza per la sopravvivenza di queste persone colpite dal disastro.

Team di Hawca

PER AIUTARE LE POPOLAZIONI COLPITE DAL TERREMOTO FAI UN BONIFICO BANCARIO A CISDA

Beneficiario:
COORDINAMENTO ITALIANO SOSTEGNO DONNEAFGHANE ONLUS*
BANCA POPOLARE ETICA – Filiale di Milano
IBAN: IT74Y0501801600000011136660
Causale: terremoto Afghanistan

*Attenzione: in base alle nuove normative bancarie il nome del beneficiario del bonifico deve corrispondere esattamente all’intestatario del conto per cui va scritto come indicato sopra (donneafghane tutto attaccato e onlus invece di ETS)