Processo di pace a rischio, la Turchia ora chiede lo scioglimento delle Sdf
Il manifesto, 13 settembre 2025, di Tiziano Saccucci
Il governo turco ha annunciato lunedì una riunione di gabinetto convocata da Recep Tayyip Erdogan. Sul tavolo il futuro delle Forze democratiche siriane (Sdf), l’alleanza curdo-araba che ha guidato la resistenza contro l’Isis. Ankara continua a considerare le Sdf un’emanazione del Pkk, definito «organizzazione terroristica». Giovedì il portavoce del ministero della difesa turco, Zeki Aktürk, ha ribadito che il mancato disarmo delle Sdf «mina l’integrità siriana e la nostra sicurezza nazionale».
AL CENTRO dell’irritazione turca c’è l’accordo firmato a marzo tra Mazloum Abdi, comandante delle Sdf, e il presidente ad interim siriano Ahmed al-Sharaa: un primo passo verso l’integrazione delle istituzioni della Siria del nord-est nel nuovo assetto post-Assad. L’intesa è rimasta però lettera morta, bloccata dall’intransigenza di Damasco e le ingerenze di Ankara, che considera lo scioglimento delle forze curde come l’unico esito accettabile.
Il leader nazionalista Devlet Bahçeli, alleato imprescindibile di Erdogan, ha invocato un’azione militare diretta contro le Sdf se non accetteranno lo scioglimento. Un déjà vu: dal 2016 la Turchia ha condotto tre operazioni militari nel nord della Siria, costringendo centinaia di migliaia di civili curdi alla fuga. Intervistato su Hürriyet, Bahçeli ha chiesto esplicitamente ad Abdullah Öcalan di «fare un nuovo appello» che includa anche le forze curde in Siria e le associazioni curde in Europa: «In quanto fondatore del Pkk e unico promotore del suo scioglimento, sarebbe opportuno che Öcalan ricordasse che l’appello del 27 febbraio riguarda anche la branca siriana e quella europea».
Dietro l’appello di Bahçeli si intravede la consueta ossessione securitaria: liquidare l’esperienza dell’Amministrazione autonoma democratica della Siria del nord-est come minaccia esistenziale per la Turchia. «Non possiamo permettere che restino un problema di sicurezza» ha scandito, rimettendo il destino della regione «alla decisione del nostro presidente Erdogan».
LA REPLICA CURDA è arrivata con un’intervista a JinTV di Pervin Buldan, deputata del partito Dem, che negli ultimi mesi ha incontrato più volte Öcalan: «Un’operazione turca o la cancellazione delle conquiste dei curdi in Siria provocherebbe devastazione anche tra i curdi in Turchia. Nessuno lo accetterebbe, soprattutto Öcalan». Buldan ha rivelato che il leader curdo ha più volte definito la Siria del nord-est e il Rojava come una «linea rossa». «Con noi – ha spiegato Buldan – Öcalan ha parlato soprattutto di politica turca, ma con la delegazione statale ha discusso apertamente della Siria».
La strategia del governo ad interim di al-Shaara per uscire dal pantano sembra configurarsi ancora una volta come un tentativo di divisione del fronte curdo. L’Enks, coalizione vicina al Partito democratico del Kurdistan della famiglia Barzani, secondo diverse fonti avrebbe ricevuto un nuovo invito a Damasco: un tentativo di indicare nell’Enks l’interlocutore curdo privilegiato del governo. Il portavoce dell’Enks, Faysal Yusuf, pur senza confermare l’invito ha affermato che ogni loro azione sarà in linea con il principio di unità del fronte curdo.
Lo stesso Masoud Barzani, storico leader del Kdp, secondo un report di Rudaw avrebbe inviato un messaggio a diverse tribù siriane: in caso di aggressione al Rojava, «l’intera forza peshmerga del Kurdistan verrà a Qamishlo, e io stesso sarò tra loro». Resta difficile credere che, in caso di intervento turco, le Sdf possano contare sul sostegno della famiglia Barzani, legata a doppio filo, politicamente ed economicamente, ad Ankara.
«NON VOGLIAMO la divisione della Siria, ma una pace giusta», ha detto Salih Muslim, figura di spicco del Rojava, a margine di una conferenza con organizzazioni progressiste del mondo arabo, organizzata dall’Unione Patriottica del Kurdistan (Puk) a Sulaymaniyya. «Non accetteremo mai un ritorno a un sistema completamente centralizzato in Siria, né alle condizioni esistenti prima del 2011 – ha affermato Muslim – Se il nuovo governo siriano si rifiuta di riconoscere il decentramento, saremo costretti a chiedere l’indipendenza».
Lascia un commento