Francesco Brusa – Uikionlus 7 november 2017
“Abbiamo sempre considerato la speranza più importante della vittoria. Ma ora, alcune nostre battaglie, le stiamo vincendo”. Un’intervista a Ceren Karlıdaĝ, giornalista, femminista, tra le protagoniste dell’esperienza della rivista Sujin Gazete.
Abbiamo incontrato Ceren Karlıdaĝ a Diyarbakır, “capitale” della regione turca a maggioranza curda e teatro di alcuni fra i più violenti scontri fra lo stato turco e il PKK nonché di bombardamenti nella città vecchia (“Sur”) che hanno cambiato per sempre l’aspetto del luogo e la vita dei suoi residenti. Proprio qui Ceren e le sue compagne avevano stabilito la sede di Sujin Gazete , agenzia di stampa e sito di giornalismo composto da sole donne il cui accesso è stato recentemente bloccato dal governo attraverso decreti emanati sotto lo stato di emergenza.
Sujin Gazete è un collettivo di informazione con un orientamento esplicitamente femminista. Cosa significa essere “femminista” in un contesto come quello dove abitate?
Il femminismo, inteso come movimento storicamente sviluppatosi in Europa e nei paesi “occidentali”, è qualcosa che sentiamo come ideologicamente molto vicino a noi. Ma, trovandoci appunto nel contesto mediorientale, abbiamo dovuto reinterpretarlo. In generale, ci pare che troppo spesso le questioni femministe si rinchiudano in un ambito eccessivamente élitistico o accademico e finiscano con l’avere poca presa sulla realtà. Per noi invece è doveroso partire da questo assunto: il femminismo è la “ribellione delle donne”, nel senso che consiste nella presa di coscienza di come la donna sia stata e sia ancora un soggetto oppresso, e il movimento si pone quindi come la prima ribellione delle donne nella storia.
L’ideologia cui ci rifacciamo maggiormente è allora la Jineologia [Jin un curdo significa donna], linea di pensiero creata da Abdullah Öcalan la quale sta ora giocando un ruolo fondamentale nella rivoluzione del Rojava. A mio modo di vedere la Jineologia sviluppa, discostandosene, il femminismo odierno in due direzioni principali: verso un approccio più olistico a tutta la sfera delle scienze sociali, da una parte, e verso una connessione più pregnante con la vita quotidiana della popolazione curda, dall’altra. Crediamo che la mentalità maschile dominante sia una mentalità essenzialmente distruttiva, che tende alla disgregazione dell’esistente. Sia in senso materiale, quindi con atti di violenza contro il corpo della donna, contro l’ecologia, etc., sia in senso simbolico e di pensiero, con la separazione delle teorie, anche quelle alternative o “dissidenti”, in diverse correnti che non comunicano fra loro (come nel caso del femminismo stesso). Ecco, la Jineologia si sforza di essere il più possibile inclusiva pur nel tentativo di ribaltare il pensiero dominante in ogni suo aspetto.
Come si può mettere in pratica tali principi?
Se parliamo del Kurdistan, dobbiamo tenere presente che parliamo di quattro contesti diversi e che ciascuno di essi è o è stato un territorio colonizzato da altre potenze. Sopratutto in Siria e qui in Turchia i curdi e le donne vivevano in una situazione che non gli consentiva di prendere parola nella società, che non permetteva alcuna partecipazione. Una rivoluzione “femminile”, come quella in atto nel Rojava, non è qualcosa che avviene da un giorno all’altro ma è un processo lungo, preparato da 30 anni di lotte e auto-organizzazione. Ecco allora che per le donne una delle esigenze primarie è stata la ricerca di spazi di autonomia e libertà in cui “negare il maschio”, nel senso di provare a pensare al di fuori dei canoni della “mascolinità”. Da qui si sono verificate varie “rotture” con le istituzioni vigenti: le donne hanno creato il proprio esercito, le proprie associazioni, i propri partiti politici.