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Autore: Anna Santarello

“SOTTO UN CIELO DI STOFFA” di Cristiana Cella

locandina sottouncielodistoffa roma 1 212x300ROMA – Via Ostiense 152b   presso Comunità di base di San Paolo

Sabato 25 novembre 2017   ore 17,30

Intervengono: l’autrice Cristiana Cella
Nazifa Mersa Hussain, mediatrice linguistica
Stefano Galieni, associazione Diritti e Frontiere (Adif)
Modera: Mimmo Schiattone, CdB San Paolo

Nel corso della serata sarà esposto il reportage fotografico a cura di
Morteza Khaleghi, artista filmaker
Mohammed Khavari, fotografo

 

 

 

 

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IL TRIBUNALE DEI POPOLI convocato a Palermo sulle responsabilità nei crimini commessi contro il popolo migrante da Governo italiano e UE

Tribunale popoli image001 300x198 300x198Apprendiamo che, mentre tante donne, tanti bambini e tanti uomini vengono torturati o lasciati morire nelle carceri libiche, annegano nel Mediterraneo, o raggiungono le coste italiane già senza vita, il Ministro degli interni, Marco Minniti, viene invitato a Palermo da “La Repubblica”, a discutere di migrazioni e accoglienza, durante una festa.

Noi crediamo, invece, che il Governo italiano, qui rappresentato dal Ministro Minniti, e l’Unione europea, debbano essere convocate in ben altre sedi, per accertare le responsabilità nei crimini commessi contro il popolo dei migranti.

Comunichiamo al Ministro Minniti che le organizzazioni siciliane firmatarie hanno convocato il Tribunale Permanente dei Popoli per aprire una indagine sui crimini in cui il governo italiano è coinvolto nell’ambito delle recenti politiche fondate sugli accordi coi paesi di origine e transito dei migranti, espressione della politica delle frontiere dettata dall’Unione europea.

Si tratta di crimini e responsabilità complesse ma dimostrabili che sentiamo il dovere di indagare adesso. Per questo abbiamo fatto richiesta al Tribunale Permanente dei Popoli di realizzare, nell’ambito della Sessione sui diritti delle persone migranti e rifugiate, inaugurata a Barcellona nel mese di luglio 2017, una sessione sulle politiche di frontiera promosse dal governo italiano.

La sessione si terrà dal 18 al 20 dicembre 2017 a Palermo, capitale della cultura dell’accoglienza. In questa occasione testimoni ed esperti sono chiamati a presentare le loro analisi e prove alla giuria internazionale convocata da questo Tribunale.

Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) è una istituzione fondata nel 1979 da Lelio Basso, come strumento di visibilità e presa di parola per quei popoli vittime di violazioni dei diritti fondamentali enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli (Algeri, 1976), marginalizzati dal diritto internazionale, che con i suoi esperti da tutto il mondo esaminando cause e modalità di tali violazioni, denuncia all’opinione pubblica mondiale i loro autori.

Rete di associazioni per il TPP

per adesioni e contatti: palermotpp@gmail.com

CISDA aderisce

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(Codice 003) – Per proteggere l’identità della vittima HAWCA utilizza un numero di codice anziché il nome originale

da Hawca, 12 novembre 2017

codice 003 immagine 212x300Sono circa 15 anni che mi sono sposata. Poco dopo il matrimonio ho saputo che mio marito amava un’altra donna. Lui appartiene a una famiglia di agricoltori, ma era innamorato della figlia di un ricco proprietario che aveva respinto la sua proposta di matrimonio. Ogni notte parlava di lei e di come era dolce e bella.

Dopo due anni di matrimonio ha perso la ragione e sono rimasta tutta sola con i miei figli. Poichè non riesce a provvedere al mantenimento mio e dei miei figli, sono 13 anni che vivo accampata nella casa dei miei suoceri. Come se non bastasse, mio suocero mi costringe a chiedere l’elemosina e a guadagnare per lui. Io mi vergogno, preferirei lavorare nelle case degli altri, lavare i loro panni ecc. piuttosto che chiedere l’elemosina. Molte volte ho pensato di suicidarmi, ma quando guardavo negli occhi i miei figli non potevo farlo.

Adesso è un mese che mio marito è scomparso e nessuno si preoccupa di trovarlo. Voglio liberarmi da questa situazione miserabile. Mio suocero dovrebbe o permettermi di andare a vivere con i miei parenti o farmi divorziare

Procedura:

Il suo caso è stato preso in carica da HAWCA e dall’avvocato di difesa, che l’ha presentato al procuratore generale per la soppressione della violenza nei confronti delle donne. Il padre è stato convocato dal procuratore generale EVAW e poiché non si è presentato vi è stato costretto dalla polizia. Al termine della procedura il suocero ha promesso di lasciarla vivere con i suoi parenti lasciandole portare anche i suoi figli e tutte le sue cose.

 

Shaesta Waiz, prima pilota ‘afghana’… e poi ci sono le vittime.

Cisda, 15 novembre 2017

donna pilota 150x150In Afghanistan ci sono decine di migliaia di vittime, vittime di brutali fondamentalisti, signori della guerra e della droga, vittime dell’occupazione americana, vittime di una guerra che si trascina da quarant’anni senza sosta.

Di giustizia in Afghanistan non si può parlare: i fondamentalisti e i signori della guerra siedono in parlamento, con il sostegno economico e politico degli Stati Uniti. Si sono dati un’amnistia anni fa, per coprire genocidi e violenze contro la popolazione inerme, commessi soprattutto dal 1992 al 1996.
Genocidi e violenze documentate da decine di rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch e dalle Associazioni Afghane che si occupano di Giustizia, come il Saajs.

Ma la violenza peggiore che si possa immaginare è vedere i propri aguzzini esercitare un potere illimitato e continuare a governare un paese allo sfascio.
L’Occidente ha delle responsabilità enormi nel legittimare questi aguzzini e negare giustizia alle vittime. Lo facciamo sfacciatamente, alterando la verità, sputando in faccia a chi chiede giustizia.
Lo abbiamo fatto osannando Massoud, un criminale che in Europa è stato fatto passare per eroe mentre aveva sulla coscienza l’assassinio brutale di decine di migliaia di civili inermi.
Lo facciamo considerando “campioni dei diritti umani” persone come Fawzia Koofi, una parlamentare afghana che è un’attiva trafficante di droga insieme alla sua orrenda famiglia.

Un altro mostruoso criminale islamista come Rabbani è stato definito “uomo di Pace”, qui in Italia. E abbiamo permesso il rientro in patria del “macellaio di Kabul” Hekmatyar, assurto al potere su ordine degli Stati Uniti.

E ancora oggi ci tocca leggere di Shaesta Waiz, e ingoiare la storiella della profuga afghana che vive rifugiata in America ed è diventata pilota! (v. www.repubblica.it/esteri, www.tolonews.com/afghanistan, aa.com.tr).

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Il 15 novembre a Roma presidio per Nuriyeh e Semih…

di Gianni Sartori, Rete Kurdistan Italia, 14 novembre 2017

nuriye gulmen semih ozakca 630x325 300x155Il 15 novembre a Roma presidio per Nuriyeh e Semih e per la fine dello «stato d’emergenza» in Turchia mentre continuano gli arresti di avvocati. Intanto la Corte europea per i diritti dell’uomo e Federica Mogherini tacciono. Il 17 novembre nel carcere di Sincan (Ankara) si terrà la quarta udienza del processo all’accademica Nuriye Gulmen e al maestro elementare Semih Ozakca.
Per il 15 novembre – ore 17 – cioè due giorni prima, il «Comitato italiano per il rispetto dei diritti umani, della libertà di espressione e per la fine dello stato di emergenza» ha indetto a Roma davanti all’ambasciata turca un presidio di solidarietà con i due insegnanti turchi in sciopero della fame dal 9 marzo e per «denunciare la brutalità del regime turco guidato dall’AKP di Erdoğan».

Un breve riepilogo. In seguito al tentato golpe – vero o presunto ? – del luglio 2016, oltre 150mila funzionari pubblici (fra cui migliaia di accademici universitari) venivano licenziati. Contemporaneamente finivano in carcere circa 3mila giornalisti (180 sono tuttora dietro le sbarre) ma anche avvocati, musicisti (vedi quelli di Grup Yorum) e centinaia di militanti di sinistra.
La protesta di Nuriye e Semih aveva lo scopo di riottenere il posto di lavoro da cui ingiustamente erano stati allontanati. La risposta del governo è stata quella di sottoporli prima a 27 custodie cautelari, poi all’arresto (22 maggio) con l’accusa surreale di «appartenenza ad associazione terrorista». Visto che nonostante l’arresto non desistevano dai loro propositi, li hanno rinchiusi nell’ospedale della prigione di Sincan, in attesa della prima udienza del 14 settembre presso la Corte di Ankara. Dove però non sono mai arrivati. A giustificazione veniva invocata una presunta «scarsità delle forze di polizia atte a vigilare sui due imputati». Imputati che già allora erano “allettati” per evidenti ragioni.

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I Giuristi democratici chiedono l’immediato rilascio dell’avv. turco Selcuk Kozagacli

Redazione Associazione Nazionale Giuristi Democratici 9 novembre 2017

gdL’Associazione Giuristi Democratici riporta con apprensione che nel tardo pomeriggio di oggi è stato arrestato ad Istanbul il nostro collega e compagno avv. Selcuk Kozagacli.

Le notizie sul suo arresto sono ancora del tutto frammentarie, e ancor di più sono formalmente sconosciuti i capi di imputazione, dato che nel vigore dello stato di emergenza la repressione antiterroristica dà facoltà di trattenere l’arrestato per ben 14 giorni senza alcuna ufficializzazione delle ragioni dell’’arresto.

Non è difficile, però, arguire che l’arresto del collega sia strettamente collegato con l’arresto di altri 16 colleghi tra Ankara e Istanbul  facenti parte dell’associazione sorella CHD e del gruppo HHB (l’Ufficio degli Avvocati del Popolo) di cui egli è il presidente, oltre che con l’arresto, e per fortuna il rilascio dopo pochi giorni di altri 6 colleghi smirnioti, tra cui la vicepresidente di CHD avv. Nergiz Tuba Aslan.

Come spesso accade in Turchia, l’arresto era stato anticipato da una violenta campagna stampa contro il nostro collega, portata avanti dai più oltranzisti tabloid filo governativi, nei quali l’avv. KOZAGACLI era stato accusato persino di aver convinto allo sciopero della fame ad oltranza  i suoi noti assistiti Nuriye e Semih, gli insegnanti, recentemente incarcerati con l’accusa di partecipazione in organizzazione terroristica, da mesi in lotta per la revoca dei decreti emergenziali che li licenziarono in quanto indagati in un processo penale, che si stanno lentamente spegnendo, la prima nella sezione carceraria del principale ospedale di Ankara, il secondo, dopo il suo recente rilascio, nel suo letto.

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Jineolojî: dal concetto alla teoria – Dalla teoria alla pratica e strutture permanenti per la rivoluzione delle donne

Andrea Benario 12 novembre 2017 Retekurdistan

jineology 680x325Negli ultimi anni il termine e il concetto di Jineolojî – una scienza alternativa della donna – sono stati presentati e discussi in molti forum. In molti Paesi è condivisa l’esigenza di sviluppare una scienza alternativa da un punto di vista delle donne. Perché la logica scientifica patriarcale che definisce il sapere come potere e la scienza come un dominio orientato a governare, controllare, sfruttare per il profitto di una minoranza la natura, le persone e la società, mettono a confronto l’equilibrio ecologico, il genere umano e l’umanità nel 21° secolo con la questione dell’esistenza. Come via d’uscita da questo sistema la Jineolojî segue l’impostazione di dare nuova consapevolezza e di scoprire, ripensare, discutere e mettere in rete saperi e prospettive per il cambiamento sociale e il movimento delle donne a livello mondiale. Invece di una presunta »oggettività scientifica«, dietro la quale i potenti celano i loro interessi per il proprio profitto, la Jineolojî dichiara apertamente il suo obiettivo di fondare una scienza con forme e contenuti che rafforzi le lotte di liberazione delle donne ed è utile e necessaria per la costruzione di una società democratica, ecologica basata sulla liberazione delle donne.

Con la rivoluzione nel Rojava la Jineolojî ha ottenuto una nuova dimensione pratica. Inizialmente la Jineolojî è stata inserita nei programmi formativi delle accademie alternative. In questo modo, oltre alle attiviste del movimento delle donne, anche collaboratrici e collaboratori dell’amministrazione autonoma democratica, delle comuni, insegnanti, lavoratrici e lavoratori del settore della sanità e della giustizia, fino a componenti delle forze di autodifesa HPC-HPJ, Asayîş e YPG-YPJ hanno potuto conoscere i contenuti e il concetto della Jineolojî. Nei licei di Efrîn e Kobanê e nelle scuole secondarie si è iniziato ad insegnare la materia Jineolojî nell’ambito del piano di studi generale. Allo stesso tempo per lo scambio di saperi tra donne sono stati costruiti gruppi tematici, di lavoro e di discussione. Per analizzare in modo più approfondito problemi ed esigenze delle donne, è stato avviato uno studio sociologico delle donne e della società nel Rojava.
Si tratta in particolare di formulare le domande: quali effetti ha la rivoluzione sulla vita quotidiana delle donne? In che misura finora è stato possibile trasformare i successi ottenuti nella difesa fisica in una rivoluzione culturale e sociale? Che effetti hanno le nuove strutture di autogoverno di democrazia dal basso e il nuovo sistema dell’istruzione sulla vita delle donne nelle famiglie e nelle comuni? Bastano comuni, cooperative, accademie e forze di autodifesa delle donne per il rispetto dei diritti delle donne e a superare il sessismo e il patriarcato? Quali sono le esigenze economiche e i problemi di salute delle donne? Come possiamo rafforzare la forza individuale e collettiva delle donne per realizzare e difendere la rivoluzione delle donne in tutti gli ambiti della vita e della società?

Attraverso il lavoro di formazione e discussione nelle comuni e nelle accademie viene creata una base per stabilire la Jineolojî come una scienza che viene alimentata attraverso la pratica della rivoluzione nel Rojava e allo stesso tempo dalla rivoluzione viene messa davanti a compiti nuovi. Per essere all’altezza di questi compiti è necessario coinvolgere donne di diverse generazioni, di diverse culture e aree della società nei lavori della Jineolojî.
Le molteplici nozioni, pensieri e idee delle donne in questo modo possono diventare fonte di ispirazione nella ricerca di soluzioni per il superamento di sessismo, povertà e ingiustizia. È evidente che una trasformazione sociale nella quale si vuole superare qualsiasi forma di dominio ed etero-direzione, non si può raggiungere in poco tempo con qualche piccolo progetto. Questo richiede piuttosto una pratica seria, determinata e strutture permanenti che possano essere adattate alle esigenze. In questo senso l’accademia di Jineolojî nel Rojava passo per passo tesse la sua rete di gruppi di lavoro locali, centri di ricerca e della facoltà di Jineolojî all’università del Rojava. Questo processo viene simboleggiato attraverso il logo dell’accademia di Jineolojî: una madre antenata con un fuso nella mano – con il lavoro delle mani e della testa unire sostanze presenti in natura e trasformarle abilmente in un filo dal quale si possono tessere nuove stoffe o anche intrecciarle con altre, perché nascano nuove reti e filoni di sviluppo che si consolidano, allungano, elaborano.

La prima pietra per un’organizzazione duratura dei lavori di Jineolojî nel Rojava è stata posata nell’estate del 2016 con un workshop per un nuovo contratto sociale di donne e con programmi formativi bimestrali di Jineolojî a Dêrîk. Così sono stati creati i presupposti per la fondazione di comitati regionali di Jineolojî in tutti e tre i cantoni. Dalla primavera del 2017 va avanti costantemente la costruzione di Jinwar – il primo villaggio di donne ecologico nel Rojava – per dare alle donne nuovi impulsi per forme di vita collettive e portare anche in questo ambito la teoria della Jineolojî in sintonia con la vita. Alla fine dell’estate del 2017 ora ad Efrîn e Dêrîk sono stati inaugurati centri di ricerca di Jineolojî e la facoltà di Jineolojî all’università del Rojava a Qamişlo. Cosa significano questi nuovi passi?

Centro di Ricerca Jineolojî per il cantone di Efrîn

Attualmente la situazione della sicurezza ad Efrîn è tesa. Non passa in giorno senza che villaggi del cantone o anche la stessa città di Efrîn vengano colpiti e bombardati dall’esercito turco. Ma ciononostante il processo di costruzione sociale continua. Un esempio di questo è l’apertura del primo centro di ricerca di Jineolojî nel cantone di Efrîn che è stato festeggiato con una sentita partecipazione della popolazione con grande entusiasmo il 16 agosto 2017.

Le donne che hanno contribuito alla costruzione del centro e ora coordinano il lavoro quotidiano, per la maggior parte hanno studio all’università di Efrîn o nelle scuole professionali secondarie. Tra loro ci sono studentesse delle facoltà di letteratura e lingua curda, arti figurative, economia e storia. Inoltre tutte in precedenza hanno preso parte a programmi formativi di Jineolojî della durata di diversi giorni.

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Curdi in Turchia: la lotta delle donne fra giornalismo e jineologia

Francesco BrusaUikionlus 7 november 2017

Curdi in Turchia la lotta delle donne fra giornalismo e jineologia 1024x679 599x275 1“Abbiamo sempre considerato la speranza più importante della vittoria. Ma ora, alcune nostre battaglie, le stiamo vincendo”. Un’intervista a Ceren Karlıdaĝ, giornalista, femminista, tra le protagoniste dell’esperienza della rivista Sujin Gazete.

Abbiamo incontrato Ceren Karlıdaĝ a Diyarbakır, “capitale” della regione turca a maggioranza curda e teatro di alcuni fra i più violenti scontri fra lo stato turco e il PKK nonché di bombardamenti nella città vecchia (“Sur”) che hanno cambiato per sempre l’aspetto del luogo e la vita dei suoi residenti. Proprio qui Ceren e le sue compagne avevano stabilito la sede di Sujin Gazete , agenzia di stampa e sito di giornalismo composto da sole donne il cui accesso è stato recentemente bloccato dal governo attraverso decreti emanati sotto lo stato di emergenza.

Sujin Gazete è un collettivo di informazione con un orientamento esplicitamente femminista. Cosa significa essere “femminista” in un contesto come quello dove abitate?

Il femminismo, inteso come movimento storicamente sviluppatosi in Europa e nei paesi “occidentali”, è qualcosa che sentiamo come ideologicamente molto vicino a noi. Ma, trovandoci appunto nel contesto mediorientale, abbiamo dovuto reinterpretarlo. In generale, ci pare che troppo spesso le questioni femministe si rinchiudano in un ambito eccessivamente élitistico o accademico e finiscano con l’avere poca presa sulla realtà. Per noi invece è doveroso partire da questo assunto: il femminismo è la “ribellione delle donne”, nel senso che consiste nella presa di coscienza di come la donna sia stata e sia ancora un soggetto oppresso, e il movimento si pone quindi come la prima ribellione delle donne nella storia.

L’ideologia cui ci rifacciamo maggiormente è allora la Jineologia [Jin un curdo significa donna], linea di pensiero creata da Abdullah Öcalan la quale sta ora giocando un ruolo fondamentale nella rivoluzione del Rojava. A mio modo di vedere la Jineologia sviluppa, discostandosene, il femminismo odierno in due direzioni principali: verso un approccio più olistico a tutta la sfera delle scienze sociali, da una parte, e verso una connessione più pregnante con la vita quotidiana della popolazione curda, dall’altra. Crediamo che la mentalità maschile dominante sia una mentalità essenzialmente distruttiva, che tende alla disgregazione dell’esistente. Sia in senso materiale, quindi con atti di violenza contro il corpo della donna, contro l’ecologia, etc., sia in senso simbolico e di pensiero, con la separazione delle teorie, anche quelle alternative o “dissidenti”, in diverse correnti che non comunicano fra loro (come nel caso del femminismo stesso). Ecco, la Jineologia si sforza di essere il più possibile inclusiva pur nel tentativo di ribaltare il pensiero dominante in ogni suo aspetto.

Come si può mettere in pratica tali principi?

Se parliamo del Kurdistan, dobbiamo tenere presente che parliamo di quattro contesti diversi e che ciascuno di essi è o è stato un territorio colonizzato da altre potenze. Sopratutto in Siria e qui in Turchia i curdi e le donne vivevano in una situazione che non gli consentiva di prendere parola nella società, che non permetteva alcuna partecipazione. Una rivoluzione “femminile”, come quella in atto nel Rojava, non è qualcosa che avviene da un giorno all’altro ma è un processo lungo, preparato da 30 anni di lotte e auto-organizzazione. Ecco allora che per le donne una delle esigenze primarie è stata la ricerca di spazi di autonomia e libertà in cui “negare il maschio”, nel senso di provare a pensare al di fuori dei canoni della “mascolinità”. Da qui si sono verificate varie “rotture” con le istituzioni vigenti: le donne hanno creato il proprio esercito, le proprie associazioni, i propri partiti politici.

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Afghanistan: Le vittime di un terribile mese di violenze devono avere giustizia

Amnesty International UTCUTC 31 ottobre 2017

campo profughi1 300x225In risposta ad un’ondata di attacchi nell’ultimo mese di gruppi armati in Afghanistan che hanno deliberatamente colpito civili, incluse minoranze religiose, Horia Mosadiq Ricercatore di Amnesty International in Afghanistan ha detto:

“Il bombardamento di oggi è la più grande tragedia che possa accadere alla gente in Afghanistan in quello che è stato un mese tra i più sanguinari. Il deliberato obiettivo di civili è un crimine di guerra. Le vittime di questa ondata terribile di violenza non devono essere ridotte ad oggetto di pietà. Esse meritano giustizia. Coloro che sono responsabili di questi crimini devono essere perseguiti e puniti con processi equi per far finire la cultura dell’impunità per queste atrocità.

Le autorità afghane hanno una responsabilità a fare ciò che possono per proteggere i civili dagli attacchi di gruppi armati. Condanne ufficiali non bastano.

L’inesorabile violenza in Afghanistan mostra come il paese non sia sicuro. I paesi europei che hanno forzatamente rimpatriato afghani, in violazione della legge internazionale, devono fronteggiare questa realtà. Rimandando indietro le persone, le mettono in pericolo.”

Traduzione a cura del CISDA

Nome in codice 002 (Per proteggere l’identità delle vittime HAWCA usa codici invece dei nomi).

HAWCA NEWS – 4 novembre 2017

code 003 300x200Nell’ambito della campagna raccolta fondi per il progetto  “Assistenza Legale per donne vittime di violenza” ecco una storia pubblicata sul sito di HAWCA.

“Sei mesi fa mia madre è morta di cancro, mio padre è un tossico dipendente, io sono la figlia maggiore così devo assumermi tutte le responsabilità della famiglia. Un giorno sono andata a Kabul con la mia famiglia per una festa di matrimonio. Alla fine della festa mio fratello ed il marito di mia sorella se ne sono tornati a casa senza avvisarmi, io sono rientrata a casa dopo tre giorni.

Dopo 15 giorni mio fratello e mio cognato hanno portato un bambino a casa e quando ho chiesto chi era mi hanno risposto di farmi i fatti miei e di stare  tranquilla. Mi hanno preso il cellulare e mi hanno detto di non parlar a nessuno del bambino. Mi sono cominciata a preoccupare per mio fratello, che è giovane ed incapace di distinguere il bene dal male.

Una notte parlavano con i loro amici del bambino ed allora ho saputo che lo avevano rapito. Prima che potessi andare a denunciare il fatto, la nostra casa è stata circondata dalla polizia ed io accusata del rapimento, così mi hanno arrestata e messa in prigione.”

Intervento:

Il legale di Hawca è andato dalla ragazza, si è fatto carico del caso e l’ha difesa in tribunale.

Il legale ha cominciato subito ad investigare, a raccogliere informazioni sul caso. Dopo molte indagini è stato in grado di dimostrare che la ragazza era innocente e che non aveva avuto niente a che fare con il rapimento.

Dopo tutte le udienze il tribunale ha condannato 6 rapitori a 20 anni di reclusione e la nostra cliente è stata rilasciata immediatamente.

Dopo il rilascio mia mostrato la sua gratitudine ad HAWCA ed ai donatori del progetto “Assistenza Legale per donne vittime di violenza“ per averla aiutata.

Traduzione a cura del CISDA