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Autore: Anna Santarello

“Fermare la guerra della Turchia ai Curdi! Rompere il silenzio”

Glyn Harries e Mark Campbell  – 4 febbraio 2016 Londra

demo poster 1024x768Appello di Peace in Kurdistan Campain 

“Fermare la guerra della Turchia ai Curdi! Rompere il silenzio”

Dopo la Prima Guerra Mondiale le potenze imperialiste, inclusa la Gran Bretagna, scelsero  di negare una patria ai curdi nel Medio Oriente, un popolo ora composto da 40 milioni di persone, che hanno sofferto persecuzioni, razzismo e massacri in Turchia, Iraq, Iran e Siria. Negli anni ’80 e ’90 una lotta disperata per l’autonomia, condotta dal PKK (Partito Democratico dei Lavoratori) ha visto morire 30.000 curdi uccisi dallo stato turco, centinaia di villaggi bombardati e rasi al suolo, e causato 3 milioni di  rifugiati, di cui oltre 100.000 nel Regno Unito.
Negli anni recenti il movimento curdo ha deciso che il nazionalismo non è una soluzione per il problema curdo né per il problemi dei popoli del Medio Oriente e ha scelto di lottare pacificamente, dove possibile, per l’autonomia negli stati dove vivono.

In Siria il PYD (Partito Democratico Unitario) si muoveva per la realizzazione di una nuova società democratica quando sono stati attaccati dall’ISIS, ma mentre le milizie curde del YPG/YPJ hanno respinto lentamente indietro l’ISIS, è emerso che la Turchia aiutava l’ISIS fornendo armi e rifornimenti ai loro combattenti attraverso il confine, mentre allo stesso tempo iniziava massicci bombardamenti contro i combattenti curdi in Iraq.

In Turchia il movimento curdo ha preso una decisione storica di formare un partito con la Sinistra turca, l’HDP (Partito Democratico del Popolo), che ha politiche genuinamente democratiche per tutta la società turca, e di partecipare alle elezioni come partito. Due volte nel 2015 hanno superato la soglia del 10% per ottenere seggi nel parlamento turco e impedito al partito fascista AKP del presidente Erdogan la maggioranza che lui disperatamente voleva per poter diventare presidente a vita.

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Tempi bui per le donne afghane

di Ezatullah Niazi – Institute for War and Peace Reporting – ripreso da Rawa News – 21 febbraio 2916

ghor public lashing girl adultery warlords afghanistanPunizioni contro le donne inflitte da tribunali tribali

Nella provincia orientale di Nangarhar le donne sono sempre più spesso vittime di procedure di giustizia sommaria: è questa la denuncia portata da alcuni intervenuti al dibattito organizzato da IWPR (Institute for War and Peace Reporting) nella capitale della provincia, Jalalabad.

Testimoni raccontano che nella provincia operano tribunali tribali, attivi specialmente nelle aree più remote, che spesso imfliggono alle donne punizioni brutali, come lapidazioni, mutilazioni, pestaggi e matrimoni forzati. Sebbene dalla caduta del regime talebano nel 2001 sia stato fatto qualche progresso nel campo dei diritti delle donne, c’è ora il pericolo di tornare indietro.

Hashima Sharif, direttrice della sezione per i diritti delle donne nell’ufficio regionale dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission (AIHRC), afferma che il sistema giudiziario della provincia è corrotto e simili abusi [perpetrati da tribunali tribali] sistematicamente non vengono puniti.

Ricorda il caso di una donna di un villaggio remoto della provincia di Nangarhar che è stata costretta a sposarsi per sette volte con uomini differenti, partorendo un bambinio con ciascuno, finché era stata data indietro al primo marito.
Un’altra storia raccontata da Hashima Sharif è quella di una donna condannata ai lavori forzati per avere partorito cinque femmine: è accaduto in un villaggio del distretto di Bati Kot, provincia di Nangarhar.

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Il programma ONU “Eliminazione della violenza contro le donne” in Afghanistan

Dal sito di OPAWC

La conferenza sul programma ONU – Eliminare la violenza contro le donne

OPAWC 300x74Alcune attiviste di OPAWC (Organization of Promoting Afghan Women’s Capabilities) hanno partecipato lo scorso 31 dicembre 2015 alla Conferenza sulle iniziative per il programma internazionale ONU intitolato Eliminare la violenza contro le donne (EVAW, Elimination of Violence Against Women) e sul loro impatto sulla società.

La conferenza era organizzata da HAWCA (Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan) insieme alla Commissione Europea e all’associazione internazionale Womankind. Sono intervenuti vari avvocati e giustisti, il forum Head of Family e vari membri di istituzioni e associazioni legali di Kabul e delle province.

Ciascun partecipante ha relazionato sul tipo di violenza di cui si occupa. La discussione si è animata su diverse questioni aperte, tra cui:

  • il rapporto problematico tra le istituzioni non governative e il governo afgano circa i programmi per rendere più autonome e capaci le donne;
  • le azioni concrete intraprese per eliminare la violenza contro le donne;
  • il ruolo negativo della società nell’incoraggiare episodi di violenza contro le donne;
  • la difficoltà a fare applicare il programma sulla Eliminazione delle violenze contro le donne;
  • l’impatto sulla comunità del programma per l’Eliminazione della violenza contro le donne.

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Le forze USA in Afghanistan

The Guardian – Reuters – 13 febbraio 2016

apache helicopter 006 300x180I militari USA continueranno ad assistere e formare l’esercito afgano, ma le forze speciali USA sono state impegnate in operazioni sul terreno nella provincia di Helmand

“I militari USA non torneranno in Afghanistan con un ruolo attivo nella guerra contro i talebani, nonostante sia molto probabile che ci aspetti un altro anno di aspra guerra”, ha affermato sabato scorso il comandante uscente delle forze internazionali, generale John Campbell.

Ma le unità speciali delle forze USA hanno recentemente combattuto sul terreno nella provincia meridionale di Helmand, particolarmente instabile, dove il mese scorso è rimasto ucciso un Berretto Verde e i talebani stringono la loro presa sul governo locale.

Nella provincia sono stati inviati altri 500 soldati americani, per appoggiare i militari afgani che hanno stentato nell’ultimo periodo a mantenere il controllo di centri distrettuali come Sangin e Marjah. Anche se formalmente il loro ruolo resta formalmente quello di assistere e istruire.

“La missione non è cambiata” ha sottolineato Campbell davanti ai giornalisti a Kabul in quella che può essere la sua ultima conferenza stampa prima di passare l’incarico al generale John Nicholson a marzo. Ma ha aggiunto che comunque i militari americani devono essere sempre legittimati a difendersi e possono essere chiamati a supporto di operazioni di guerra con l’aviazione, se necessario.

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L’8 marzo delle donne curde

Pubblichiamo l’appello per l’8 marzo del KJA, Kongreya Jinen Azad – Congresso delle libere donne curde

8marzo 300x300Care donne di tutto il mondo,

eredi del movimento mondiale della donne, la donne curde lottano per la libertà, a prezzo di grandi sacrifici, e la loro lotta continuato a fare progressi contro la mentalità dominante maschile da 40 anni.

Facciamo appello a tutte le donne del mondo perché ci offrano la loro solidarietà e si uniscano a noi nella lotta per questo 8 marzo, il giorno della lotta e della resistenza delle donne.

Oggi lo Stato turco sta commettendo massacri brutali e adottando misure specifiche per distruggere le donne, la loro volontà e i loro corpi, e annientare la prospettiva di nazioni democratiche e regioni di autogoverno che sta emergendo, fondata sulla volontà di uguaglianza e libertà.

Il prossimo 8 marzo 2016 noi vogliamo denunciare questi attacchi della Turchia in uno sforzo congiunto e comune dei movimenti delle donne di tutto il mondo. Noi donne del KJA commemoreremo la tradizionale giornata internazionale della lotta delle donne con una serie di iniziative che si terranno tra il 1° marzo e l’8 marzo.

L’anno scorso avevamo organizzato eventi e attività in 240 distretti e città diverse. Quest’anno, segnato dalla crescente resistenza e sempre più dura lotta, celebreremo l’8 marzo con ancora maggiore entusiasmo. Come donne del KJA, dedichiamo questo 8 marzo alla gloriosa resistenza delle donne in tutto il mondo e in particolare le tre compagne curde Seve, Pakize e Fatma, massacrate a Silopi lo scorso 5 gennaio, e tutte le donne che hanno perso la vita per difendere la libertà. L’8 marzo di quest’anno sarà celebrato sotto lo slogan “Costruiamo la nostra autonomia e lavoriamo per la rivoluzione con lo spirito di resistenza che avevano le nostre compagne Sakine, Ekin, Seve!”. Il nostro programma, disteso su una settimana, comincerà il 1° marzo a Silopi e finirà l’8 marzo a Diyarbakır.

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KURDISTAN: Cizre, rigettare l’orrore

Blog di E. Campofreda, 12/2/2016

Cizre 300x200Il corpo di ragazza, seminudo e maculato di sangue, sta su un impiantito di mattoncini. Già rigido, la vita è volata via, oltre le macchie rosse che s’intravvedono su un fianco, sul petto. Via dall’enorme grumo rappreso di lato. La foto è stata lanciata su un social network. Le due mimetiche turche, di poliziotto e militare, che osservano il cadavere potrebbero essere indossate da chi è giunto dopo, a “lavoro compiuto”. Oppure firmano direttamente il misfatto.

Kurdi di Cizre che finiscono i loro giorni così ce n’è molti, fra l’indifferenza dei potenti della terra. Certo altrove, non distante, negli stati liquefatti di Siria e Iraq, si sparisce in egual modo con un’imposizione della morte diventata incubo giornaliero.

Ma questo non sminuisce i crimini che il militarismo di Ankara ha ripreso a diffondere con meticolosa, spietata pianificazione. Uccisioni efferate di persone catturate e seviziate, istillando sofferenza e godendo sadicamente della stessa, come fanno i peggiori aguzzini della storia. E’ l’infamia che sempre più la ‘geopolitica del cinismo’ mette in mostra in molti scenari.

Questo è il sud-est turco, ma non è l’unico. Anzi. Si dirà che nei secoli quella che ora definiamo geopolitica, e un tempo era espansionismo, conquista imperiale, invasione, colonizzazione e cento altri termini dell’incontro-scontro fra popoli nei territori più vari, s’è sempre macchiata di nefandezze. Egualmente non giustifica l’attuale necrostoria che ogni premier rifugge con la litanìa di quel “mai più” e che invece prosegue.

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Afghanistan, nel 2015 undicimila vittime tra morti e feriti: è record

Tgcomm24 – 14 febbraio 2016

TGcomm24 300x169Il rapporto dell’Onu sulle tragiche conseguenze dei combattimenti nel Paese dice che i bambini pagano un prezzo altissimo: uno su 4 del totale è un minore.
Il numero delle vittime civili nel conflitto in Afghanistan è stato lo scorso anno il più alto mai registrato ufficialmente: 11.002. Il dato emerge dal rapporto annuale 2015 dell’Onu sulla protezione dei civili nei conflitti armati. Il documento mostra che l’aumento dei combattimenti dentro o intorno ai centri abitati, insieme all’azione dei kamikaze e ad altri attacchi nelle principali città, è stato nel 2015 tra le cause principali delle stragi.

I bambini hanno pagato un prezzo particolarmente alto: tra tutte le vittime, uno su quattro è un minore, il 14% in più rispetto all’anno prima. Prezzo pesante anche per le donne, aumentate del 37%: una su dieci. Le donne vengono prese di mira soprattutto per reati di ordine morale: le esecuzioni e le frustate sono una “tendenza preoccupante” nel Paese, sempre secondo l’Onu. E sulle 11.002 vittime totali 3.545 sono i morti, con un aumento del quattro per cento sul 2014, gli altri i feriti. Il rapporto sottolinea che l’offensiva talebana sui centri urbani ha “un’alta probabilità di danneggiare i civili”.

“Constatando questo incremento – ha commentato il responsabile dell’Unama, Nicholas Haysom – dobbiamo ripetere che il prezzo che pagano i civili è totalmente inaccettabile. E dobbiamo rivolgere un pressante appello a coloro che infliggono queste sofferenze al popolo afghano ad adottare misure concrete per proteggere la popolazione civile e a mettere un punto finale in questo 2016 alle uccisioni e alle menomazioni dei civili”.

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Quel traffico di droga dimenticato che finanzia il terrorismo nel mondo

La Stampa – Antonio Maria Costa* – 10/2/2016

1 461 300x200Il Califfato tra Siria e Iraq è al centro dei commerci di stupefacenti verso l’Europa. Da Boko Haram in Nigeria ai taleban in Afghanistan i gruppi islamisti si arricchiscono

Le camicie nere jihadiste mirano a creare una teocrazia (califfato) dall’Africa occidentale all’Asia orientale, grazie a una potenza di fuoco e una strategia operativa capaci di sopravvivere alla reazione militare delle grandi potenze. Quali le fonti di finanziamento sulle quali contano? Recenti notizie mostrano una strategia economica che sfrutta la centralità del califfato fra i traffici globali di droga.

Il primo allarme proviene dal Centro per l’Analisi delle Operazioni marittime, di Lisbona.

In breve, il terrorismo approfitta del fatto che «il traffico marittimo in Europa non è controllato». Nel solo Mediterraneo migliaia di navi transitano mensilmente, molte provenienti da, o dirette verso aree controllate da gruppi affiliati all’Isis. Mentre l’attenzione è concentrata sui barconi stipati di migranti, non c’è sorveglianza sui mercantili che trasportano merci legali, certo – ma anche tanta droga e molto materiale bellico. Solo a gennaio 540 navi sono entrate nei porti europei, dopo avere sostato in Siria, Libia e Libano per ragioni sospette. Un tipico caso preoccupante: settimane addietro una nave di 76 metri, partita da Golchuk (Turchia), ha sostato a Misurata (Libia), per poi spegnere il transponder per diverse ore prima di approdare a Pozzallo, in Sicilia.

EST11GR1X 1455051110 20160209215308 kbOH 680x545LaStampa.itLE ROTTE TERRESTRI

Il secondo allarme proviene dal Pentagono, dove l’Africa Command ora riconosce che il Sahara rappresenta un altro buco nero nei meccanismi di controllo dei traffici aerei e terrestri. Infatti, data la carenza di controllo, nell’Africa occidentale sono emersi due snodi di commerci illeciti, nei golfi di Guinea e del Benin, dove la droga transatlantica approda prima di attraversare il Sahara grazie al coinvolgimento dei jihadisti di Aqim in Mali e Mauritania, Boko Haram in Nigeria, e Ansar-al-Sharia in Libia. Animano il traffico i cocainomani europei (5 milioni), che ne sniffano 150 tonnellate per un valore di 40 miliardi di dollari.

UN FIUME DI EROINA

La terza notizia proviene dalle Nazioni Unite: nel 2015 la produzione di oppio in Afghanistan, pur se in declino, si è mantenuta sulle 3 mila tonnellate che, trasformate in eroina, è consumata da 3 milioni di tossicodipendenti dall’Atlantico agli Urali, per un valore complessivo di oltre 35 miliardi di dollari l’anno. A beneficiarne in Afghanistan sono i Talebani, Al Qaeda e Haqqani e poi, nei Paesi di transito, l’Isis in Siria/Iraq, Hezbollah in Libano e Al-Shabaab in Somalia. Secondo i servizi anti-narcotici russi, l’eroina che transita attraverso i territori controllati dal califfato, genera «un miliardo di dollari l’anno».

LE ANFETAMINE

L’ultima notizia concerne le droghe sintetiche, soprattutto le anfetamine che, un tempo prodotte in Olanda e poi in Bulgaria, sono trafficate attraverso Turchia, Siria e Iraq, per finire soprattutto in Arabia Saudita, un paese che da solo confisca una maggiore quantità di captagone (il narcotico preferito localmente) del resto del mondo: 10 tonnellate l’anno. Se si considera che il volume di droga sequestrato in loco rappresenta circa il 10% del mercato nazionale, si conclude che un centinaio di tonnellate di anfetamine sono consumate annualmente in Arabia Saudita. I servizi segreti saudi confermano il coinvolgimento dell’Isis, mentre altri gruppi estremisti curano la coltivazione del cannabis nella valle della Bekaa, tra Siria e Libano, per l’esportazione nel Golfo – e in Europa.

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Report sulle attività della Casa Protetta di Kabul gestito da HAWCA

HAWCA – febbraio 2016

HAWCA LAC 300x169Da più di 10 anni HAWCA gestisce il Centro di Protezione delle Donne. Negli ultimi anni sono state accolte e protette centinaia di donne che nella loro vita hanno subito violenze e che hanno chiesto protezione ricevendo il supporto del Centro. Sono state ricevute le vittime di ogni tipo di violenza come lo stupro, il rapimento, i matrimoni precoci, i matrimoni forzati, ecc.

Il centro può ospitare 50 donne che possono essere accolte insieme ai loro figli. Il Centro dispone di un asilo per i bambini con servizi come TV, giocattoli, libri e giochi.

Sintesi

Il centro di protezione delle donne di HAWCA ha continuato ad essere attivo come al solito e molte donne hanno trovato ospitalità. Nel corso degli ultimi mesi, novembre, dicembre e gennaio, le attività sono state attuate come previsto. In questo periodo 34 casi sono stati accolti al Centro beneficiando dei suoi servizi. Di questi 34 casi, 11 sono stati ospitati nel precedente trimestre e 23 casi sono stati registrati di recente. Oltre alle donne sono stati ospitati complessivamente 13 bambini così, complessivamente sono state ospitate 47 persone. A tutti i 47 beneficiari sono stati forniti beni primari quali cibo, detersivi e materiale igienico. La maggior parte dei beneficiari hanno partecipato a corsi di alfabetizzazione e uso del computer e ora la maggior parte di loro sono in grado di leggere e scrivere.

Per aumentare la consapevolezza dei propri diritti, ogni settimana viene tenuto un programma di formazione. Il Centro organizza anche programmi di educazione sanitaria. Gli argomenti trattati durante queste attività riguardano le pratiche per il divorzio, la separazione, i diversi tipi di separazione (Tafriq), i diritti delle donne e dei bambini ecc. Spesso gli argomenti vengono ripetuti per i nuovi casi che arrivano al Centro di Protezione delle Donne che non conoscono gli argomenti citati.

Il medico del Centro fornisce le nozioni di base affinché le donne e i bambini si prendano cura della delle loro mani, il corpo, l’ambiente, la salute, come praticare iniezioni, come avere bambini sani etc.

In questo periodo il Centro ha dato il benvenuto alla nascita di un nuovo bambino che è molto sano.

Obiettivi:

In questo periodo 34 donne e 13 bambini sono stati accolti nel nostro Centro di protezione delle donne. Tutti i beneficiari hanno ricevuto assistenza legale e 23 casi sono stati risolti.

  • Attivare le vittime a diventare indipendenti e autosufficienti attraverso corsi di formazione e di alfabetizzazione, sui diritti umani, sull’educazione alla salute e alle competenze professionali, sulla lingua inglese e l’uso del computer.
  • Assistenza legale e intervento di alcuni dei beneficiari che possono avere problemi legali;
  • Fornire servizi sanitari a tutti i beneficiari che possono ammalarsi durante il loro soggiorno nel Centro.
  • Questo progetto è anche una risposta alla necessità di emergenza per quelle donne che hanno bisogno di protezione urgente.

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Report sulle attività degli orfanotrofi di Kabul gestiti da AFCECO

AFCECO – 7 febbraio 2016

AFCECO 300x225Nel 2011 gli orfanotrofi di AFCECO hanno visto una forte espansione, ma purtroppo negli anni più recenti i progetti sono stati ridimensionati a causa della mancanza di fondi. Nel 2014 il numero di orfanotrofi è stato ridotto a due, con un totale di 150 bambini ospiti. I due orfanotrofi rimasti sono il Mehan, per le bambine, e il Sitara, per i bambini.

Ora AFCECO è gestita da un gruppo di studenti universitari, tutti cresciuti nei propri orafontrofi. Manizha Rahimi, che si è laureata l’anno scorso, è la direttrice. Andeisha Farid è la presidente e fa un lavoro di supervisione del gruppo partecipando alle riunioni e indirizzando il team. Anche tutto lo staff amministrativo di AFCECO è formato da studenti universitari che studiano in diverse università.

I bambini che vivono negli orfanotrofi di AFCECO seguono diversi programmi. Sono tutti iscritti alle scuole pubbliche con orari differenti a seconda che seguano il turno mattutino o pomeridiano. Quasi la metà delle bambine e diversi bambini frequentano il conservatorio, dove studiano musica a livello professionale.

I programmi dell’orfanotrofio sono i seguenti.

Attività extra curricolari: i bambini seguono diversi corsi nei quali studiano diverse discipline fondamentali come scienze naturali, scienze sociali, inglese, informatica. I bambini sono ora in vacanza per tre mesi (N.d.T.: in Afghanistan l’equivalente delle vacanze estive italiane si fa in inverno) e AFCECO ha organizzato per loro un’“accademia invernale” per impegnare sia i bambini sia gli studenti universitari in una serie di attività culturali, artistiche, tecnologiche e formative.

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