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Autore: Anna Santarello

Sprechi americani: 9 caproni italiani da cashmere, 6 milioni

Bliz quotidiano di Sergio Carli – 25 gennaio 2016

capre da cashmereSprechi Usa: ci fanno impallidire. Spesi dai militari american 6 milioni di dollari per portare in aereo 9 maschi di capra italiana da cashmere in Afghanistan

NEW YORK – Sprechi americani, alla faccia, quelli in Italia impallidiscono. È il caso del cashmere da produrre con capre italiane da allevare in Afghanistan, portate in aereo al modico prezzo di 6 milioni di dollari.

Era un progetto affascinante degli alti comandi militari americani, quelli costituiti in quella potentissima burocrazia che occupa l’enorme palazzone noto come Pentagono, a Washington. Purtroppo il piano è fallito negli sprechi e ne hanno parlato anche in Senato, in una udienza pubblica, nell’imbarazzo generale.

Usa Today lo ha messo on line e il sito specializzato in temi di sicurezza e affari militari, Mother Jones, lo ha raccontato così:
“Come il Governo Usa ha scoppiato milioni di dollari portando in aereo capre da cashmere in Afghanistan a spese dei contribuenti”.

La storia è stata riferita da John Sopko, Ispettore generale speciale per controllare gli sprechi effettuati con la ricostruzione in Afghanistan, chiamato a testimoniare in una udienza del Senato. Tema: una analisi degli sforzi compiuti dal ministero della difesa per sviluppare l’economia in Afghanistan al costo di oltre 800 milioni di dollari.

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Ma l’Occidente ha capito chi è davvero Erdogan?

Il Sole 24 Ore di Alberto Negri – 23 GENNAIO 2016

2016 01 23T165848Z 347780380 GF20000104491 RTRMADP 3 USA TURKEY BIDEN kBGG 672x351IlSole24Ore WebCome riciclare Erdogan? Per condurre questa operazione Obama ha scelto il suo vice Biden che un anno fa aveva accusato il presidente turco di essere connivente con l’Isis, per poi scusarsi sia pure con qualche incertezza. C’è da chiedersi se gli Stati Uniti, l’Europa, il cosiddetto Occidente, esistano ancora come nozione politica, morale o anche soltanto geografica. Più di un dubbio viene spontaneo dopo la visita del vicepresidente americano Joe Biden in Turchia.

Biden sostiene che gli Stati Uniti sono pronti a fare la guerra con la Turchia contro il Califfato. Anche i sassi della provincia di Antiochia sanno che Erodgan ha fatto passare migliaia di terroristi sull’”autostrada della Jihad” per abbattere Assad.
E tutti abbiamo visto che gli Stati Uniti ben poco hanno fatto per combattere l’Isis negli ultimi due anni, al punto che non avevano neppure opposto un’obiezione quando il Califfato aveva conquistato Mosul nel giugno 2014. Se non avessero tagliato la testa a un cittadino americano, sollevando l’ira dell’opinione pubblica, Washington avrebbe lasciato fare.

È comprensibile che gli americani cerchino adesso di recuperare un alleato della Nato, lo stesso che peraltro ha esitato mesi prima di concedere la base aerea di Incirlik per i raid contro lo Stato Islamico e quando lo ha fatto ha preferito bombardare i curdi del Pkk e anche quelli siriani piuttosto dei jihadisti.

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APPELLO AI DOCENTI UNIVERSITARI PER IL KURDISTAN

Da UIKI onlus

accademics 599x275 300x138Care Accademiche e Scienziate Italiane,
Cari Accademici e Scienziati Italiani,

Come ben sapete, il governo dell’AKP, per mettere a tacere tutti coloro i quali non condividono le crudeltà e i massacri che sta commettendo e sta attaccando tutte e tutti con ogni mezzo.

Gli accademici e le accademiche che hanno firmato questo appello sono stati minacciati il giorno stesso dal Presidente Recep T. Erdogan, che ha fatto aprire procedimenti penali contro i loro e ne sollevati dall’incarico e arrestati alcuni.

Chiediamo a tutte le accademiche e a tutti accademici italiani di firmare questo appello e di manifestare la propria solidarietà con gli accademici e le accademiche in Turchia.

Con preghiera di massima divulgazione per la raccolta una campagna di raccolta firme.

Inviare le adesioni a: info@retekurdistan.it

UIKI Onlus & Rete Kurdistan


APPELLO (Firmato dal 1128 Accademic* in Turchia)

Noi, gli accademici e le accademiche e gli scienziati e le scienziate di questo paese non saremo parte di questo crimine!

Lo Stato turco, a Sur, Silvan, Nusaybin, Cizre e in molte altre località, attraverso coprifuoco della durata di settimane, condanna i suoi cittadini e le sue cittadine a morire di fame e di sete. In condizioni di guerra, interi quartieri e città vengono attaccati con armi pesanti. Vengono violate e abrogate praticamente tutte le libertà civili che sono garantite dalla Costituzione turca e dalle Convenzioni Internazionali: Il diritto alla vita, all’incolumità fisica, alla libertà, all’essere al sicuro dagli abusi, in particolare il divieto di tortura e maltrattamenti.

Questo modo di procedere violento, messo in pratica in modo mirato e sistematico, manca di qualsiasi fondamento giuridico. Non è solo una grave ingerenza nell’ordinamento giuridico, ma lede le normative internazionali come il Diritto Internazionale, che sono vincolanti per la Turchia.

Chiediamo allo Stato di mettere immediatamente fine a questa politica di annientamento ed espulsione nei confronti dell’intera popolazione della regione, che è rivolta essenzialmente contro la popolazione curda. Tutti i coprifuoco devono essere immediatamente revocati. Gli autori e i responsabili di violazioni di diritti umani debbono renderne conto. I danni materiali e immateriali lamentati dalla popolazione vanno documentati e risarciti. A questo scopo chiediamo che osservatori indipendenti nazionali e internazionali abbiano libero accesso alle zone distrutte per poter valutare e documentare la situazione sul posto.

Invitiamo il governo a creare le condizioni per una soluzione pacifica del conflitto. A questo scopo il governo deve presentare una roadmap che renda possibile un negoziato e che tenga conto delle richieste e della rappresentanza politica del movimento curdo. Per coinvolgere l’opinione pubblica in questo processo, al negoziato debbono essere ammessi osservatori indipendenti provenienti dalla popolazione. Con questo manifestiamo la nostra disponibilità a prendere parte di nostra libera volontà al processo di pace. Ci opponiamo a tutte le misure repressive mirate all’oppressione dell’opposizione sociale.

Chiediamo l’immediata cessazione della repressione dello Stato contro le cittadine e i cittadini. Come accademici e accademiche e scienziati e scienziate, affermiamo che non saremo parte di questi crimini e prenderemo iniziativa nei partiti politici, in parlamento e nei confronti dell’opinione pubblica internazionale, fino a quando le nostre richieste troveranno ascolto.

Nome Cognome e Titolo: ………………..

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I tribunali del deserto talebani

Da Rawa News e Afghanistan Today

badghis man executed publicly jan14 16Notizia di questi giorni è che nella provincia di Badghis, nel nord-ovest dell’Afghanistan, i talebani hanno giustiziato pubblicamente un uomo accusato di adulterio, Abdul Ahad. È accaduto nel distretto Qadis, all’inizio di gennaio 2016.

Non è la prima volta che un uomo viene ucciso per ordine dei cosiddetti “tribunali del deserto” talebani, ma in questo distretto i talebani risultano uccidere ogni anno decine di uomini giudicati in questi “processi”.

Il governatore di Qadis, Mirza Ali, ha confermato il fatto e ha detto che Abdul Ahad è stato giustiziato con un colpo di pistola. Ha aggiunto che la polizia sta investigando sull’incidente.

I tribunal del deserto sono molto più numerosi di quanto in Occidente si immagini. Occupano lo spazio lasciato vacante dallo Stato nelle province più remote, come Badghis nel nord-ovest e Ghazni nel sud-ovest.
“La corruzione e la mancanza di istituzioni giudiziarie statali hanno lasciato un vuoto di cui hanno approfittato i talebani” diceva nel 2011 Muhammad Ali Ahmadi, governatore di Ghazni.

Non c’è regolarità nelle udienze di questi tribunali, né la “corte” si riunisce in una sede. I talebani arrivano in moto e portano i loro “tribunali mobili”: prendono in considerazione i casi e le dispute locali e in pochissimo tempo arrivano a un giudizio ed eseguono la punizione.

Giornalisti afgani sotto attacco

I talebani prendono di mira chi li critica dai media afgani

Da The Guardian – 30 dicembre 2015

bambino giornaliJawed Kohistani non si è sorpreso che qualcuno lo volesse morto. Nello scorso novembre, i servizi segreti afgani gli avevano mandato una lettera avvisandolo che alcuni criminali stavano programmando di uccidere lui e altri analisti politici, tra cui il noto editorialista Ahmad Saeedi.

Ricevuta la lettera, il 24 novembre Kohistani ha chiamato Saeedi per metterlo subito in guardia, ma la chiamata è rimasta senza risposta: era già troppo tardi. Qualche minuto prima, Saeedi aspettava in macchina che la moglie uscisse dal dentista. Stava armeggiando con la radio quando alzando lo sguardo aveva visto un giovane uomo ben rasato e ben vestito, su una moto, che puntava una pistola con il silenziatore contro di lui. In un attimo, l’uomo gli ha sparato due colpi in faccia.

Saaedi si è salvato, anche se ha danni permanenti alla vista e all’udito. In un’intervista con il “Guardian” il giorno dopo il suo rientro a Kabul dal ricovero in India, dove era stato sottoposto a vari interventi chirurgici e trapianti, diceva: “Quando sono stato colpito, mi trovavo a meno di 100 metri dal ministero degli Interni. Chi mi ha voluto colpire è nel governo”. Una pallottola gli è rimasta conficcata nello zigomo.

L’attentato contro Saeedi fa parte di una serie di attacchi contro noti analisti politici, giornalisti e commentatori mediatici di Kabul. Mentre Saeedi punta il dito contro quella che lui chiama una “quinta colonna” di simpatizzanti dei talebani all’interno del governo, Kohistani, che fa spesso ricorso a fonti interne al mondo delle fazioni armate, crede che dietro gli attentati ci sia la rete Haqqani affiliata ai talebani. “Hanno più paura di noi che dei generali dell’esercito” dice.

Due settimane dopo l’attentato a Saeedi è stata la volta di Kohistani. Il giornalista è riuscito a scampare l’attentato grazie ai suoi vicini, che avevano notato tre uomini con il volto coperto stare in agguato nel suo giardino e li avevano cacciati armi alla mano.

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Il 40% dei bambini afgani non può andare a scuola

Secondo il rapporto dell’UNICEF dell’11 gennaio 2016, il 40% dei bambini afgani non ha accesso all’istruzione scolastica.

Da RAWA News e UNICEF

afghan students hang coats walls kabul 300x200Le giacche degli alunni fuori da una scuola a Kabul

Le stime dell’UNICEF dicono che circa 24 milioni di bambini in Paesi devastati da guerre e conflitti non hanno accesso all’istruzione scolastica. La proporzione maggiore di bambini che non vanno a scuola spetta al Sud Sudan, con il 51% della popolazione in età scolare, seguito dal Niger (47%), dal Sudan (41%) e dall’Afghanistan (40%).

“Quando non possono andare a scuola, i bambini sono maggiormente soggetti ad abusi, sfruttamento, reclutamento forzato nelle milizie armate” afferma Jo Bourne, responsabile capo del dipartimento dell’UNICEF per l’educazione. “La scuola fornisce ai bambini la conoscenza e le abilità per ricostruire le loro comunità quando la guerra è finita, e a breve termine offre loro la stabilità e il contesto migliore per fare fronte ai traumi di cui fanno esperienza” aggiunge Bourne.

L’educazione è uno dei settori delle organizzazioni umanitarie che riceve i maggiori finanziamenti. Nel 2014 ha raccolto il 2% di tutti gli aiuti umanitari. L’ONU sostiene che nelle zone affette da conflitti, per essere efficace il finanziamento per l’educazione deve essere decuplicato.

Le trappole alla cooperazione italiana in Afghanistan

koofi paymazar koofaab school students classrooms 300x130Nel corso degli ultimo mese il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) è stato impegnato in un’azione di controinformazione su una questione chiave degli aiuti italiani alla ricostruzione e normalizzazione in Afghanistan.

La campagna di controinformazione ha avuto origine nello scorso dicembre, a seguito della pubblicazione sul sito di RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) di un articolo di denuncia contro Fawzia Koofi, eminente deputata del Parlamento afgano, e la sua famiglia, che è stata ed è tuttora un referente importante per vari progetti di cooperazione internazionale in Afghanistan.

Secondo il report di RAWA, estremamente circostanziato, la famiglia di Fawzia Koofi è coinvolta in traffici di droga e vari crimini, tra cui detrazione di fondi che avrebbero dovuto essere destinati a scuole e alla ricostruzione di villaggi colpiti da calamità naturali. Il report è in inglese e può essere letto attraverso questo link.

koofi fowziaFawzia Koofi

Poiché tra i progetti citati nel report di RAWA ne compare uno finanziato dalla Cooperazione italiana, il CISDA ha ritenuto doveroso approfondire la questione e, dopo una consultazione generale tra le sue attiviste, ha deciso di prendere posizione con una serie di azioni. Ricordiamo che il CISDA collabora con RAWA da più di quindici anni e riconosce questa associazione come testimone lucida e pienamente affidabile della situazione in Afghanistan, oltre che intelligente e coraggioso soggetto politico democratico.

Il progetto italiano si intitola “Rendere effettiva la tutela giuridica delle donne in Afghanistan” ed è promosso dalla Città di Torino e sostenuto dalla direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo della Farnesina. Principale beneficiario è l’organizzazione afghana SSSPO (Social Safety and Social Protection Organization) rappresentato da Ghazalan Koofi e appoggiato da Fawzia Koofi in qualità di presidente della commissione parlamentare afgana per i diritti delle donne, i diritti umani e la società civile.

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Hambastagi incontra i partiti e i movimenti turchi e curdi attivi nel campo dei diritti umani

Manifestazione HDP 300x203Manifestazione del Partito HDP ad Istanbul

G. Geretto Attivista CISDA, 10 gennaio 2016

Lo scorso Novembre 2015, Ubaid Ahmed, portavoce del Solidarity Party of Afghanistan, Hambastagi, si è recato in Turchia e nel Kurdistan turco per una serie di incontri politici con diversi rappresentanti politici turchi e curdi e membri della società civile attivi nel campo dei diritti umani.

Lo scopo di questa visita, promossa dal Cisda, è stato il rafforzamento dei legami politici tra il partito della solidarietà afgano, Hambastagi – l’unico partito democratico e laico in Afghanistan – e i protagonisti della scena politica turca e curda che da decenni si battono per la difesa dei diritti delle donne e delle minoranze nel paese, in particolare, per i diritti del popolo curdo.

Nel corso di una conferenza stampa a Istanbul alla quale hanno preso parte gli esponenti delle principali forze politiche democratiche e filo-curde [1], Ubaid Ahmed si è confrontato sui molti punti di convergenza che caratterizzano lo scenario di Turchia e Afghanistan. Ertuğrul Kürkçü, co-presidente del People’s Democratic Congress, ha affermato che il successo dellʼHDP non è limitato alla lotta del popolo curdo ma piuttosto allʼunione di forze di tutti i movimenti e partiti rivoluzionari di sinistra in Turchia. Pertanto, lʼHDP rappresenta un modello unico, senza precedenti nella storia del paese. Questo è un tema di rilievo anche per l’Afghanistan, paese nel quale, a causa della divisione etnica e delle conseguenti discriminazioni è difficile far emergere un sentimento nazionale. Per questo SPA, il Solidarity Party of Afghanistan, mira a creare unʼunità nazionale che superi ogni divisione etnica e garantisca protezione a tutte le minoranze.

Ubaid Tuncel 300x189Ubaid Ahmed e Sebahat Tuncel

I diversi interventi nel corso della conferenza hanno ripercorso le tappe degli ultimi mesi in Turchia, a partire dai successi elettorali di giugno del partito HDP che hanno ridato speranza a tutte le forze democratiche nel paese oppresse dalla politica di repressione del regime autoritario di Erdogan, fino agli attentati fomentati dal partito governativo AKP che hanno di fatto avuto l’obiettivo di arrestare i processi di pace iniziati nel 2013 con il discorso di Newroz di Ocalan. Secondo Sebahat Tuncel, intervenuta a nome del partito HDP, la risoluzione della questione curda, attraverso un accordo di pace, è lʼunica soluzione a questa crisi profonda che attraversa il paese. La guerra in medio-oriente si sta allargando anche in Europa, per questo, sottolinea la Tuncel, la costruzione di relazioni pacifiche con il movimento curdo (che combatte lʼISIS) è chiave in tutti i paesi coinvolti.

Altra tappa di Ubaid Ahmed è stato l’incontro nella sede HDP con il “Free Women Congress” e del “Democratic Regions Party”(DBP) che ha consolidato una alleanza in un comune destino di resistenza. Queste le parole di Ceylan Bagriyanik: ʻʻPer noi la storia di resistenza del popolo afghano è molto importante. Il sistema capitalista ha preso piede in tutto il mondo opprimendo le forze democratiche rivoluzionarie. I nostri due paesi, lʼAfghanistan e il Kurdistan, condividono lo stesso destino. Queste similitudini (lotta, cultura, resistenza, storia) ci costringono a trovare una via alternativa e unire le forze con tutti i movimenti democratici rivoluzionari nel mondo. Il modello che abbiamo sviluppato in Kurdistan – i cui valori, il rispetto dei diritti umani, sono universali – può essere applicato in qualsiasi parte del mondo, non solamente in Kurdistan. La solidarietà di Hambastagi e del popolo afghano significa molto per noi. La vittoria in Kurdistan, sarà una vittoria anche per il popolo afghano.ʼʼ

Già nel 2013 Ceylan Bagriyanik aveva incontrato Malalai Joya a Diyarbairk, in occasione di una conferenza sulle donne. RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) è sin da allora divenuta per il Free Women Congress un punto di riferimento sul tema della promozione del ruolo attivo delle donne nella sfera sociale e politica. Per Ceylan il progetto avanzato da Ocalan del governo autonomo, sperimentato in Kurdistan, ha reso possibile la presenza delle donne nella leadership politica ed è il cuore della loro lotta.

 

 

[1] Ertuğrul Kürkçü (rappresentante del People’s Democratic Party HDP e co-presidente del People’s Democratic Congress HDK); Figen Yuksekdag (HDP), Sebahat Tuncel (HDP) e Kamuran Yuksek (Kurdish Democratic Regions Party DBP)

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VITE PREZIOSE – LA LUNGA NOTTE AFGHANA

C. Cella, 8 gennaio 2015

Il paese

2118312793 copy‘L’Afghanistan sta precipitando, giorno dopo giorno, in un buio sempre più profondo.’, dice Najia Maral , direttrice esecutiva di Hawca, all’incontro con gli sponsor di Vite Preziose. Ci racconta il suo paese.

Il peggioramento delle condizioni di vita, negli ultimi due anni, è stato continuo e progressivo. E, di conseguenza, cresce la violenza, in particolare contro le donne. La mancanza totale di sicurezza, l’assenza di lavoro, l’aumento della povertà e della tossicodipendenza, formano una catena che ha come vittima finale sempre la donna. Gli uomini non hanno speranze, né lavoro, si rifugiano nella droga e diventano sempre più violenti. I tossicodipendenti continuano ad aumentare, sono ormai quasi 3 milioni.

‘Le leggi contro il traffico di droga ci sono ma nessuno le applica. Anzi. Il coinvolgimento nel ricco business di chi ha in mano il potere, fuori e dentro il governo, è forte. C’è perfino un Ministro, che dovrebbe occuparsi di stroncare il traffico.  Ma noi diciamo che è un ‘Ministro per l’implementazione della droga’. Il traffico di oppio e eroina, in questi 14 anni di presenza Nato e americana, è schizzato alle stelle e questo dovrebbe porci qualche interrogativo sulle responsabilità di chi ha occupato il paese.’

Molte regioni sono in mano ai talebani, presenti ormai in 34 province, nel Sud, nel Nord e in parte dell’Ovest, controllano la maggior parte dei distretti afghani, e qui, la violenza contro le donne aumenta in modo esponenziale. Ci sono diversi gruppi che, a volte si combattono, e a volte si alleano, per il controllo del territorio. L’attività dei talebani è in aumento in tutto il paese, con attentati continui, anche nella capitale, e offensive militari. Nell’ultimo anno si sta affermando anche la presenza  di Daesh che cerca di sottrarre territorio e militanti ai gruppi talebani, spesso in conflitto tra loro. Alcuni talebani passano all’Is, altri cercano di eliminarli.

Tra questi gruppi, talebani o Daesh che siano, non c’è alcuna differenza dal punto di vista della mentalità, dei mezzi e degli scopi. Le bandiere diverse non cambiano la sostanza. Hanno solo diversi sponsor, come i paesi del Golfo, Pakistan o Iran. Ognuno muove le sue pedine nel gioco. L’aumento degli scontri tra loro, però, coinvolge, ancora di più, la popolazione civile e crescono i rifugiati interni che scappano dalle zone di guerra.
Non è difficile, né per i talebani né per lo Stato Islamico, reclutare combattenti. Il loro alleato più prezioso è la miseria. Combattere diventa l’unica risorsa per sopravvivere. Pagano bene, specialmente l’IS. E gioca anche la delusione dell’intervento occidentale e dell’alto numero di vittime civili che ha provocato. Il Governo è instabile, con un debole controllo sul territorio e un esercito inconsistente.  Le fazioni rivali, a un anno dalle elezioni, stanno ancora contendendosi i Ministeri e alcuni restano vacanti.

Chiediamo quali siano le speranze, in questa difficile situazione, per i gruppi che continuano a combattere per un Afghanistan democratico e laico, per chi, come loro, continua a resistere, nonostante tutto.

Gli americani non se ne andranno mai completamente, resteranno ben saldi nelle loro basi, ma questo cambia poco.  Il loro governo fantoccio, formato da jhadi e warlords, resterà al potere. Finché il Governo del paese non sarà accessibile alle forze democratiche, le cose non cambieranno. Partiti, organizzazioni e singole persone democratiche ci sono in Afghanistan ma, in questo momento, non hanno alcuno spazio. Avrebbero bisogno di unirsi e di essere sostenuti, ma nessuno dei paesi che hanno occupato l’Afghanistan, o che hanno avuto influenza nel paese, ha mai dato una chance a questi gruppi. Nessuno li ha mai nemmeno considerati come interlocutori. Hanno sempre preferito sostenere, armare e finanziare i gruppi fondamentalisti, perché sono più corruttibili e obbedienti e servono meglio i loro interessi. Sono pedine migliori e più controllabili in un paese, geo-politicamente strategico, che è ormai fonte di traffici miliardari. Nessuno ha interesse che L’Afghanistan diventi libero e democratico. Questa è la situazione ed è, per ora, impossibile, per noi, cambiarla.

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Nessuna giustizia per Rukhshana, la ragazza lapidata a morte

RawaNews – Javed Zeyartjahi 4 gennaio 2016

rukhsana 300x211I genitori della ragazza lapidata a morte nella provincia di Ghor due mesi fa, denunciano il governo per non aver ancora consegnato i responsabili alla giustizia.

Il padre della vittima, Abdul Karim dichiara che nulla è stato fatto per consegnare gli assassini di sua figlia, Rukhshana, alla giustizia e che nessuna assistenza è stata data loro. Sono stati costretti a lasciare il loro paese e vivono ora nella città di Feroz Koh a Ghor. Non hanno una casa e sono senza cibo.

Tuttavia i funzionari del governo hanno detto che stanno indagando sull’incidente e che una delegazione è stata inviata al Ghor per valutare la situazione della famiglia.

Abdul Karim ha detto che il presidente Ashraf Ghani gli ha fatto una serie di promesse durante una conversazione telefonica, ma finora nessuna di queste è stata mantenuta. La sua famiglia ora vive in una casa di fango. “Nessuno si prende cura di noi, il presidente si è rimangiato le sue parole e non ci ha fornito nemmeno assistenza”, ha detto Abdul Karim.

Il fratello di Rukhshana ha anche criticato le istituzioni di sicurezza a Ghor che hanno arrestato lo zio, chiamando questa una conquista malgrado non lui fosse coinvolto nella lapidazione.

La madre e la sorella di Rukhshana nel frattempo vivono nella provincia di Ghor e sostengono che ogni giorno sono minacciate da sconosciuti per aver parlato ai media circa la lapidazione.

Rukhshana, che aveva 19 anni, è stata lapidata a morte da militanti talebani dopo che, presumibilmente, era scappata con un uomo.