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Autore: Anna Santarello

COME OBAMA HA SEGUITO LA POLITICA DELLA “GUERRA AL TERRORE” DI GEORGE W. BUSH

Stopwar.org.uk

11.9.2012 – di Glenn Greenwald – The Guardian

obama camp delta 400 300x190C’è una differenza rilevante tra la politica di Bush e quella di Obama: mentre Bush preferiva incarcerare le persone senza processo o procedimenti giudiziari, Obama le uccide.

Secondo le voci ufficiali, sabato scorso un detenuto di Guantanamo è stato trovato morto nella sua cella. E’ le nona persona che muore in quel campo di detenzione da quando è stato aperto, più di dieci anni fa. La ex guardia Brandon Neely ha evidenziato che il numero dei detenuti morti presso il campo (nove) è addirittura più elevato di quelli giudicati colpevoli dalla commissione militare (sei). Questo è il quarto detenuto morto a Guantanamo durante l’amministrazione Obama.

Benché l’identità del detenuto non sia stata rivelata, un portavoce del campo ha affermato che “non era stato dichiarato colpevole”.

In altre parole, il governo USA lo ha tenuto rinchiuso per molti anni senza alcuna possibilità di contestare le accuse che gli erano state fatte e senza nessuna speranza di poter lasciare il campo se non con la morte. Infatti, sembra che per molti detenuti la morte sia l’unico modo per andarsene dal campo. L’ultima persona a morire fu il quarantottenne cittadino afghano Awal Gul, che venne a mancare nel febbraio 2011 per un apparente attacco cardiaco.

Gul, padre di 18 figli, era accusato dagli USA di essere un comandante talebano, accusa che ha sempre rifiutato con veemenza poiché, come affermato dal suo avvocato “era disgustato dalla crescente propensione dei Talebani verso gli abusi e la corruzione”. Tuttavia, la politica di detenzione per un periodo indefinito senza processo, ancora in vigore a Guantanamo, fece sì che il caso di Gul non fu mai risolto. Egli morì dopo più di nove anni di detenzione – a migliaia di chilometri dalla sua famiglia, in mezzo all’oceano – nonostante non fosse mai stato condannato.

Il livello più alto della gerarchia infernale è relegare in una gabbia qualcuno senza accuse particolari anno dopo anno, fino alla morte. Di conseguenza, quest’ultimo avvenimento non evidenzia solo il travestimento della politica statunitense della guerra al terrore, ma anche la disonestà del tentativo di esonerare Obama da questa politica.

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I FUNZIONARI DI KARZAI RICEVONO ENORMI “SALARI PREMIO”

RAWANews

Di Parwiz Shamal – TOLONews.com

Un’indagine di TOLOnews rivela che funzionari governativi di alto livello e il personale che lavora presso l’ufficio del Presidente Hamid Karzai ricevono sostanziosi “pagamenti-incentivo”, fino a raggiungere 7.000 $ al mese.

Un’indagine documenta che sono stati spesi 11 milioni di Afghanis (corrispondenti a 220.000 US $) in due mesi per 80 dipendenti al Palazzo Presidenziale.

Aimal Faizi, portavoce di Karzai, e Abdul Karim Khoran, il suo capo del personale, ricevono 350.000 Afs ognuno (7.000 $) al mese. Questi salari sono definiti “di incentivo”.

karim khuramAbdul Karim Khoram, capo del personale dell’ufficio di Karzai

Altre persone ricevono somme altrettanto sostanziose per cibo e trasporti. Ci sono circa 580.000 Afghani che lavorano per il governo e la maggior parte di loro riceve un salario che va da 5.000 a 30.000 Afs al mese.

Hanidullah Farooqi, professore all’Università di Kabul ed economista, ha affermato che bisogna andare in fondo a questa situazione.

“Un normale dipendente del Governo riceve un salario che va dai 5.000 ai 10.000 Afs al mese, mentre un altro dipendente con una qualifica inferiore che lavora all’Ufficio Presidenziale riceve uno stipendio 10 volte o addirittura 100 volte superiore? Questa faccenda va seriamente presa in considerazione”, ha dichiarato Farooqi.

Il Ministero della Finanza ha rifiutato di discutere la faccenda e di fornire ulteriori dettagli, ma ha sottolineato che questi “stipendi-premio” sono prevalentemente approvati dal Presidente Karzai.

AFGHANISTAN, DI STANISLAO (IDV): PRIORITÀ A TUTELA DIRITTI UMANI

Roma, 06 SET, il Velino/AGV
“Non puo’ esserci sviluppo e progresso di alcun genere se chi è al potere non rispetta i diritti fondamentali dell’uomo e se non si costruisce una governo democratico che metta al centro le prerogative del suo popolo”.

 
Lo dichiara Augusto Di Stanislao capogruppo IdV in Commissione Difesa a seguito dell’approvazione del suo Odg sull’accordo di partenariato e di cooperazione con l’Afghanistan.

 
“Ho impegnato il Governo ad inserire tra le priorità la tutela dei diritti umani impegnando il governo afgano al loro pieno e totale rispetto, a modificare nel tempo le proprie leggi e regolamenti a sostegno delle donne e ragazze e della loro libertà di espressione e movimento, dei bambini, nonché dei rifugiati e di una modifica sostanziale delle brutali condizioni nelle carceri; a prendere in considerazione le indicazioni delle Ong che a tutti i livelli operano in questo Paese nell’ambito degli interventi e dei progetti da realizzare; a ridimensionare gli interventi militari e a riequilibrare e spostare progressivamente le risorse verso gli interventi civili e iniziative di cooperazione allo sviluppo per un reale, concreto ed efficace sostegno ai processi di pace e di ricostruzione.

 
La situazione in Afghanistan è ben nota ed evidente a tutti, un Paese devastato da un conflitto lungo ormai 11 anni e un popolo che stenta a sopravvivere. Da una parte bombardiamo con gli Amx e dall’altra ci riproponiamo di intervenire con iniziative di cooperazione allo sviluppo.

A pochi giorni dall’anniversario di quel drammatico 11 Settembre confido in una riflessione ed un confronto concreto che ci portino definitivamente fuori da quella che non e’ piu’ una missione umanitaria, ma un intreccio di interessi politici ed economici”.

Il guadagno di Hekmatyar

di Ajai Shukla, 4 settembre 2012, da Rawa News
Se frammentare il controllo dell’Afghanistan è il nuovo piano degli Stati Uniti, quale potrebbe essere il panorama dopo il 2014 in Afghanistan?
I media internazionali si lustrano di uno sviluppo di vasta portata in Afghanistan. Ci sono stati una manciata di rapporti abbozzati su “sommosse armate popolari locali” che hanno “espulso i talebani” da diversi distretti nella parte orientale dell’Afghanistan, ma ci sono state poche indagini o articoli su queste milizie. Nessuno ha fatto domande del tipo: come queste milizie sono riuscite a cacciare i talebani senza spargimenti di sangue, un’organizzazione che riesce a tener testa anche  alle forze degli Stati Uniti? Dove queste milizie misteriose hanno ottenuto i fucili, granate con propulsione a razzo (RPG) e persino le radio che a quel che si dice posseggono? Milizie di paese, come uno spettatore Afghano che vive nel paese mi ha fatto notare, comunicano  coi telefoni cellulari, non con le radio.
Alcuni veterani afghani, tra cui un membro del Parlamento, fanno notare le somiglianze impressionanti tra l’attuale rapporto su “insurrezioni popolari” e le relazioni incandescenti del 1994 che hanno accompagnato la nascita dei talebani. I media di quel tempo avevano dipinto i talebani come veicolo di resistenza popolare verso un ordine corrotto e brutale stabilito che ha creato posti di blocco casuali per estorcere denaro, stuprare le donne, e rapire giovani ragazzi per “bacha baazi”, frase agghiacciante afghana per indicare lo sfruttamento sessuale di giovani ragazzi. Dato il tono simile dei rapporti attuali (tranne che i talebani ricoprono ora un ruolo brutale), è importante chiedersi: che cosa è questa nuova milizia? E’ stato generato un altro mostro di Frankenstein?
gulbuddin hekmatyar2 300x262Molte persone in Afghanistan sono certe che gli Stati Uniti stanno creando e finanziando queste “insurrezioni popolari”. Secondo questi osservatori, gli Stati Uniti hanno realizzato – in particolare dopo l’ondata di uccisioni fratricide, in cui 40 soldati della Nato sono stati uccisi quest’anno dai loro omologhi afgani – che le Forza di Sicurezza Afghane (ANSF) sono mal addestrate, immotivate e infiltrate di talebani, e non possono assicurare la sicurezza in tutto l’Afghanistan. E così la CIA e il comando militare statunitense in Afghanistan, con la benedizione del presidente Hamid Karzai, hanno abbracciato una logica semplice: creare più centri di potere che possono essere controllati, in modo da lasciare meno spazio per i recalcitranti talebani.
Le “milizie popolare” sostenute dagli Stati Uniti dietro le rivolte anti-talebani sembrano essere strutturate attorno al Hezb-e-Islami, il partito guidato da Gulbuddin Hekmatyar, un signore della guerra pashtun che è stato, permolti anni, il cagnolino del Pakistan in Afghanistan. Nel corso di questo ultimo anno, il signor Hekmatyar a quanto riferito ha fatto diversi viaggi a Kabul per negoziare con Karzai. Ora ha attaccato il suo carro agli Stati Uniti e al signor Karzai, in contrasto con le due fazioni talebane – quella del Mullah Omar, e la rete Haqqani – che hanno respinto qualsiasi colloquio con disprezzo. Il partito di Hekmatyar, l’Hezb-e-Islami, ha il vantaggio di una larga presenza.  Ha contestato le ultime elezioni e ha una significativa presenza in Parlamento e nel Governo di Karzai. Hekmatyar nega ogni legame con Hezb-e-Islami, ma la maggior parte degli addetti prende questo fatto con le pinze.
La Direzione nazionale della sicurezza (NDS), l’agenzia di intelligence dell’Afghanistan che opera in stretta collaborazione con la CIA (e, per inciso, anche con l’intelligence indiana), ora controlla Hezb-e-Islami di Hekmatyar,  dicono molti afgani informati. Rendendo  più chiari i legami,  Assadullah Khalid, il capo della NDS, ha rivendicato cinque delle recenti “rivolte popolari”, in cui la popolazione locale ha scacciato i talebani. Sembra evidente che la Hezb-e-Islami ha intrapreso un affare con la NDS, guadagnando lo spazio e le risorse della CIA-Pentagono per stabilire il controllo del dominio tradizionale di Hekmatyar: le province orientali di Nangarhar, Ghazni, Nooristan, Laghman, Badghis e Logar . Mentre Hekmatyar non è amico di nessuno, porgendogli le zone intorno a Kabul si verrebbe a creare un ostacolo contro i talebani, impedendo che il gruppo diventi abbastanza forte da entrare nella capitale come ha fatto nel 1996.

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Al Presidente della Repubblica: “Non un giorno di più”

Viterbo, 2 settembre 2012 – http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
“NON UN GIORNO DI PIÙ”
APPELLO PER LA CESSAZIONE IMMEDIATA DELLA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA GUERRA AFGANA
 
Signor Presidente della Repubblica,
si sarà sicuramente interrogato anche lei sul tragico protrarsi della guerra afgana e sulle innumerevoli sue vittime.
E si sarà sentito anche lei turbato per la flagrante contraddizione tra la partecipazione italiana a quella guerra, a quelle stragi, e il dettato dell’articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana, che inequivocabilmente vieta all’Italia di partecipare a quel crimine.
Perché ha abdicato al suo dovere di difendere la vigenza della Costituzione della Repubblica Italiana che ripudia la guerra?
Perché non ha negato il suo consenso alla partecipazione italiana a quella guerra, a quei massacri?
Faccia ora quello che avrebbe dovuto fare fin dal suo insediamento alla Presidenza della Repubblica: denunci l’illegalità di quella guerra e chiami Governo e Parlamento a deliberare l’immediata cessazione della partecipazione italiana ad essa.
Troppi esseri umani sono già stati uccisi.
Non attenda un giorno di più per decidersi ad agire nell’ambito dei suoi poteri e dei suoi doveri per ripristinare il rispetto della Costituzione, ovvero per salvare le vite umane che giorno dopo giorno la guerra sbrana.
Cessando di partecipare alla guerra l’Italia può cominciare ad impegnarsi per la pace che salva le vite.

Questo chiediamo: cessazione immediata della partecipazione italiana alla guerra afgana; pace, disarmo e smilitarizzazione; rispetto della vita, della dignità e dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Ascolti la nostra voce.
Ascolti la voce della sua stessa coscienza.
Ascolti la lettera e lo spirito della Costituzione della Repubblica Italiana.
Solo la pace salva le vite.
Distinti saluti,
Il “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” di Viterbo
Viterbo, 2 settembre 2012

TRE COSE DA FARE PER PROMUOVERE LA CAMPAGNA NONVIOLENTA “NON UN GIORNO DI PIÙ”
 
Proponiamo a tutte le persone, i gruppi e le esperienze collettive interessati a promuovere una campagna nonviolenta per l’immediata cessazione della partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan, di intraprendere le seguenti iniziative:

  1. iniziative locali (dal comunicato ai mezzi d’informazione agli incontri pubblici di informazione e sensibilizzazione);
  2. richiedere ad altri soggetti sia individuali (in particolare personalità autorevoli) che associativi che istituzionali – e soprattutto agli enti locali – di prendere posizione per la cessazione della partecipazione alla guerra;
  3. scrivere in tal senso al Governo, al Parlamento ed al Presidente della Repubblica.

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Afghanistan: aumentano le donne condannate per “crimini contro la morale”

www.atlasweb.it, 27 agosto 2012 di Luca Pistone

Sono almeno 70 le detenute del carcere di Badam Bagh, a Kabul, condannate per aver commesso i cosiddetti “crimini morali”, che comprendono, tra gli altri, la fuga da casa e il reato di “zina”, e cioè rapporti sessuali pre o extra-matrimoniali.

Secondo Human Rights Watch (Hrw), in tutto il paese sarebbero circa 400 le donne “colpevoli” di simili reati. Badam Bagh, che significa “giardino delle mandorle”, è la più grande prigione femminile dell’Afghanistan e la meglio attrezzata, assicurano i funzionari Unodoc (United Nations Office on Drugs and Crime).

“Difficilmente le famiglie accettano una donna passata da una prigione (…) In molte minacciano di suicidarsi, e molte lo fanno”, spiegano gli operatori della Ong Women for Afghan Women, che segue le donne afghane dal momento della loro uscita dal carcere fino al loro difficilissimo, se non impossibile, reinserimento familiare. L’organizzazione gestisce due case-famiglia, una a Kabul e l’altra a Mazar-i-Sharif.

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Afghanistan, via le guerre dai libri di storia

di Anna Toro, osservatorioiraq, 21.8.2012

110x130xAfghanistan Mezzi militari.jpg.pagespeed.ic. r vCfeIwVI sanguinosi colpi di Stato degli anni Settanta, l’invasione Sovietica dell’79, i regimi comunisti supportati da Mosca, la guerra civile e l’ascesa dei talebani, l’invasione della Nato e delle truppe straniere dal 2001 a oggi. Tutto questo non esiste più, è stato cancellato con un colpo di spugna dai libri di storia delle scuole di tutto l’Afghanistan.

Il motivo di questa censura? “Nient’altro che l’interesse della Nazione” ha risposto il ministro dell’Educazione afghano Farooq Wardak, che ha fatto già stampare i libri “rivisti e corretti”, pronti per essere distribuiti all’inizio del nuovo anno scolastico che partirà nella primavera del 2013.

“Negli ultimi 40 anni – spiega Wardak – sono accaduti centinaia di episodi che hanno portato a controversie fortissime nel paese. Mettere sui libri di storia argomenti sui quali non c’è un consenso nazionale significa portare la guerra nelle classi. Invece lo scopo dell’istruzione è portare l’unità, non certo le divisioni”.

Ed è così che molti eventi chiave della storia afghana non vengono neppure menzionati, o al massimo liquidati da una manciata di righe.

“Ad esempio, non si parla affatto della miseria che quest’ultima guerra ha portato, e non si menziona Kabul come zona di scontri e di morti”, commenta ai microfoni della Bbc un giornalista afghano, che ha chiesto di restare anonimo per motivi di sicurezza.

“I libri dicono che il mullah Omar è stato rimosso nel 2001, senza dire nemmeno chi sia. E degli Stati Uniti e della presenza della Nato nel paese non si parla proprio. E’ come se qualcuno stia tentando di nascondere il sole con due dita”.
La reazione della società civile – professori universitari, politici, docenti e giornalisti – non si è fatta attendere.
Tra le accuse principali, quella secondo cui con questa mossa il governo starebbe cercando di accattivarsi le simpatie dei talebani e di altri gruppi di potere prima del ritiro delle truppe straniere.
I libri “modificati” verranno infatti distribuiti anche nei villaggi che sono rimasti sotto il controllo dei miliziani.
E secondo le autorità promotrici della censura, se i libri contenessero tutte le atrocità commesse dai talebani durante i loro cinque anni di regime, verrebbero senza dubbio messi da parte o gettati via.

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Eroi per la pace o vittime della guerra?

Davanti ad ogni vita umana stroncata è doveroso un rispetto profondo. Ma proprio in nome di tutte le vittime delle guerre, chissà quanti lettori di “Avvenire” sono rimasti scossi per quell’intera pagina dedicata agli “eroi per la pace”, e a quella realtà così “convergente” di soldati e cristiani (8 agosto 2012, pag.3).

Ecco, lo diciamo forte: è davvero insopportabile questa retorica sulla guerra sempre più incombente e asfissiante. […]

Ci colpisce non veder affiorare nemmeno uno degli interrogativi che gli italiani e i cristiani si pongono ormai da anni, assistendo alla fallimentare carneficina afgana: La nostra presenza militare in Afghanistan costa 2 milioni di euro al giorno, e quali sono i risultati? Se li avessimo investiti in aiuto alla popolazione con ospedali, scuole, acquedotti non avremmo forse tolto consenso ai talebani e ai signori della guerra? E delle vittime in ‘campo nemico’ chi se ne occupa? Abbiamo i numeri esatti dei morti e feriti italiani! E quante sono le vittime irachene o afghane? Forse dobbiamo rassegnarci a considerare le migliaia di esseri umani uccise in questa assurda guerra solo “effetti collaterali”?

Ci colpisce molto leggere che anche l’Ordinario militare si allinea a questa retorica della guerra dichiarando, per esempio che fare il militare è “una professione aperta al bene comune e allo sviluppo della famiglia umana” oppure sostenendo che “i cappellani militari sono parroci senza frontiere, impegnati in una pastorale specifica sul fronte della pace”. Ce ne vuole davvero a descrivere “l’aeroporto di Ciampino dove arrivano le salme dei nostri soldati uccisi” come “una scuola di fede”. E ancora “Essere cristiani ed essere militari non sono dimensioni divergenti”. […]

Chiediamo di aprire un confronto serio e schietto sul tema della guerra, del servizio militare, oggi non più legato all’obbligo della leva, e della presenza dei Cappellani tra i militari, magari proprio con il Direttore di “Avvenire” e l’Ordinario militare. […]

Puoi leggere l’appello completo nel sito di Pax Christi. Per aderire, puoi inviare una mail con il tuo nome, cognome e città a drenato@tin.it oppure a  nandyno@libero.it

I Laboratori per i diritti delle donne del Partito Afgano della Solidarietà

Ann-Carin Landstrom, membro del Comitato Centrale del Partito della Sinistra Svedese, è appena rientrata da Kabul, dove ha incontrato ufficialmente il Solidarity Party of Afghanistan (Hambastagi) e ha visitato i Laboratori studio sui diritti umani e i diritti delle donne che gli attivisti di Hambastagi organizzano nell’ambito di un progetto finanziato proprio dal Partito della Sinistra Svedese. Riportiamo di seguito alcuni estratti della sua relazione.
(La delegazione svedese è stata in Afghanistan dal 22 al 31 luglio 2012)

Il Solidarity Party of Afghanistan (SPA) è stato fondato nel 2004, grazie ad alcuni afgani rientrati in patria dall’estero, con un’ideologia esplicitamente socialista. Fin dall’inizio il programma politico del partito, condiviso con i suoi membri, si è incentrato sulla lotta contro i talebani, contro il fondamentalismo e contro l’occupazione NATO.

Nel 2008 è stata eletta alla direzione del Partito una nuova generazione di giovani afghani e il partito è diventato più attivo e più radicale.
Pur con meno fondi che in precedenza, gli attivisti del partito hanno intrapreso una lotta coraggiosa contro i jihadisti, la NATO, gli Stati Uniti, sottolineando nel contempo la distanza con l’imperialismo sovietico, che in nome del “comunismo” ha occupato il paese per un decennio.
Grossi problemi di sicurezza e una forte limitazione della loro libertà sono subentrati dopo il 27-28 aprile 2012, quando una loro manifestazione a Kabul, molto partecipata, è stata descritta come un grande successo dai media, stampa e TV: il governo ha quindi deciso di sospendere la registrazione legale di Hambastagi e di avviare un procedimento penale con l’accusa di avere realizzato “azioni anti-islamiche”. In seguito a questa azione il governo afgano ha ricevuto forti pressioni e proteste, a livello nazionale e internazionalie: la maschera della democrazia era caduta…Ma Hambastagi e le forze democratiche che lo sostengono hanno, per il momento, vinto! L’indagine penale è stata chiusa e la registrazione del Partito non è stata cancellata.
Il SPA è oggi presente in tutte le province dell’Afghanistan: conta circa 30.000 membri, di cui tuttavia solo 15.000 riescono a pagare la quota di adesione (circa 20 afghanis): molti hanno paura che la loro iscrizione diventi pubblica e che questo li esponga a rappresaglie da parte delle autorità, dei signori della guerra e dei talebani.

D’altra parte, se oggi in Afghanistan si può dire che viene formalmente riconosciuto il diritto a libere elezioni e alla democrazia, di fatto per 30 anni – più i 10 anni di occupazione in corso – gli afgani non hanno avuto vera conoscenza del significato di democrazia. Quanto all’intervento della NATO, è da rilevare che gli USA hanno affittato terreni per le loro basi militari con un accordo per 100 anni e apparentemente non hanno alcuna intenzione di lasciare il paese, anche se il 70% della popolazione desidera che le truppe statunitensi e della NATO se ne vadano.

Il lavoro del SPA per i diritti delle donne
Nel 2012 Hambastagi ha ricevuto 120.000 SEK dal Partito Socialista Svedese per organizzare laboratori per l’alfabetizazione e i diritti delle donne. Il progetto mira ad aumentare la partecipazione delle donne alla vita politica, facendo loro sviluppare consapevolezza sui propri diritti.
Il SPA ha iniziato il programma di alfabetizzazione e coscientizzazione con sette gruppi in diverse aree a basso reddito intorno a Kabul nel mese di giugno 2012. Due gruppi di studio sono nella zona di Estaliff, uno ad Ahmad Shah, tre in Bangi e Shivakee.

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Afghanistan: non è un paese per donne

di Stella Pende, Panorama – 13 agosto 2012

Vendute dalle famiglie, lapidate per adulterio, sfigurate con l’acido, fatte saltare in aria per l’impegno politico o civile. Le afghane sono il principale obiettivo dell’integralismo. Ma c’è una nuova generazione che si ribella. E cerca il riscatto. Politico

Guidava la sua Jeep a Mehntar nell’Afghanistan del Nord per portare libri e pennarelli alle bambine di una scuola fra le montagne. Per Hanifa Safi, ministro degli affari femminili nella provincia del Laghman, l’educazione era «l’unico antidoto contro l’ignoranza e la ferocia che torturano le donne afghane». Invece i suoi sogni sono schizzati in mille pezzi assieme alla sua vita. Hanifa è morta con suo marito in un attentato che ha fatto esplodere la sua auto.

Qualche mese fa raccontava di avere già schivato due attentati: «Nel primo hanno cercato di uccidermi offrendomi del tè avvelenato». Non recitava da martire. Anzi, aveva paura. «L’Afghanistan è di certo il luogo più pericoloso per noi donne» aveva detto. «Ma chi, come me, raccoglie il terrore di bambine stuprate e poi si gira dall’altra parte è peggio del carnefice. E allora vivo giorno per giorno, contando i minuti…».

I giorni delle donne che offrono il loro coraggio alla speranza di un Afghanistan libero sono pieni di insidie. Solo il 2010 ha visto 76 donne ammazzate. Una settimana fa nella regione dell’Helmand un padre «assai religioso» ha ucciso a colpi di ascia le sue due figlie adolescenti invocando il delitto d’onore. Le ragazze erano state fuori quattro giorni senza permesso. Niente di incredibile. Anzi. Esecuzioni senza processi, delitti d’onore, morte per stenti e fame. Oggi però è la condanna a morte per peccati politici e sociali quella preferita dai folli adoratori di Allah.

Come per Hanifa che lavorava per il futuro delle nuove generazioni femminili. Le donne afghane, anima e motore della lotta sociale, sono oggi il primo nemico da colpire. «Quando prendono in mano una missione politica o un progetto combattono come leonesse» dice Seema Ghafar, eccellente politica, «ciò disturba parecchio sia l’ambiente governativo, dove gli uomini raccolgono meno risultati, sia, soprattutto, i talebani spaventati dai successi raccolti da deputate, governatrici e militanti dei diritti umani».

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