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Autore: Anna Santarello

Chi dà un futuro ai ragazzi afghani

Romina Gobbo, ilnostrotempo.it, 27.4.2012

Sapna ha otto anni e suona il pianoforte. Hamida ne ha 14 e suona il sitar. Negen ha 15 anni e suona il rubab. Non hanno in comune solo l’amore per la musica, ma anche la passione per la bicicletta e la piscina. Peccato che nel loro Paese, l’Afghanistan, alle ragazze tutto questo sia proibito. Le ho incontrate a San Giuliano, nell’hinterland milanese dove, assieme ad altri nove amici, nei mesi di gennaio e febbraio (quando le scuole in Afghanistan sono chiuse per il freddo intenso) sono state ospiti di alcune famiglie, per imparare che cosa significa vivere in un Paese dove c’è perfino la libertà di… pedalare, e anche di sognare.
Così si è scoperto che Sapna da grande vuole fare la giornalista, Hamida il dottore o il politico e Negen l’insegnante di musica. Alcune famiglie, riunite nell’associazione «Liberi pensieri», hanno avviato il progetto Aquilone, di accoglienza temporanea per bambini afghani. Famiglie normali, ma con un grande cuore.
«Per me poter accogliere questi bambini è un’esperienza entusiasmante», dice Claudio, impiegato in pensione, «è bello vedere come, giorno dopo giorno, imparano a fidarsi». «Non è stato facile all’inizio, né per noi, né per loro», incalza la moglie Elvira, insegnante in pensione. «Io e mio marito eravamo in apprensione. Io mi chiedevo che cosa avrebbero mangiato, se sarebbe loro piaciuta la stanza. Mio marito cercava di prepararsi alcune frasi per poter parlare con loro nella loro lingua». I ragazzi al mattino frequentano la scuola, al pomeriggio rientrano in famiglia. Dove possono vivere la quotidianità di una casa, senza la paura di esplosioni, senza il rumore dei colpi di arma da fuoco, senza elicotteri che, passando, fanno tremare i muri. «Noi», riprende Elvira, «non conosciamo la loro storia, se non qualche episodio; quando cominciano a parlare italiano un po’ si aprono, ma nella maggior parte dei casi non sappiamo nulla».
«Abbiamo deciso di attivare questo progetto perché crediamo che quello che facciamo possa essere per loro un’opportunità», dice Piera, assistente sociale in pensione. «Può darsi che loro vogliano continuare ad avere rapporti con noi o può darsi che, ora che sono tornate in Afghanistan, ci dimentichino. L’importante è che quello che hanno vissuto qui possa servire alla loro crescita», spiega Giuliano, marito di Piera, programmatore in pensione. Ma tornano volentieri a casa? «Certo, perché sentono sulle loro spalle la responsabilità di cambiare le cose», conclude Piera.

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Il bavaglio ai giornalisti afgani

Giuliana Sgrena, Globalist Syndication, 18 aprile 2012

200 giornali, 44 stazioni televisive e 141 radio non hanno determinato alcun reale progresso nella libertà di espressione in Afghanistan

L’Afghanistan sta rapidamente diventando il paese con il più alto numero di giornalisti uccisi, sia afgani sia internazionali. Solo negli ultimi dieci anni, sedici giornalisti sono stati uccisi per il loro lavoro e a tutt’oggi nessuno è mai stato incriminato per questi assassinii.

Una impunità di fatto per i crimini contro i giornalisti, davanti alla quale il silenzio del presidente afgano Hamid Karzai è motivo di seria preoccupazione in coloro che tengono alla libertà di espressione e di stampa.

Dopo la caduta dei Talebani e l’arrivo delle truppe straniere nel 2001, l’Afghanistan ha sperimentato un boom di nuovi media che ha portato alla rapida proliferazione di case editrici ed emittenti radio-TV. Il paese ospita attualmente 200 pubblicazioni periodiche, 44 stazioni televisive (delle quali 25 sono a Kabul), circa 141 radio e otto agenzie di stampa, e ciascuno di questi settori è in continua e rapida crescita.

Purtroppo questo aumento di media ha comportato ben poco progresso nella libertà di stampa nel paese, poiché la maggior parte dei media sono legati al governo, a signori della guerra, alle forze occupanti, o a potenti e ricchissimi uomini, nessuno dei quali permette ai giornalisti di portare avanti il proprio lavoro onestamente.

Se si aggiunge a questo la censura imposta dai Talebani a tutti i media, che cancella tra l’altro tutte le immagini di nudità che appaiono nelle soapopera, si vede che il panorama della stampa in Afghanistan assomiglia fortemente a un campo di battaglia nel quale i giornalisti devono combattere ogni giorno con il sangue per testimoniare la verità.

La censura è largamente praticata

Nazir Fayaz, un giornalista di 34 anni che ha lavorato per anni a Ariana TV, è stato contretto a licenziarsi tre mesi fa per le pressioni dell’ambasciatore iraniano.

Nel corso di un’intervista, il diplomatico iraniano aveva accusato il popolo afgano di “accettare l’occupazione straniera”, e Fayaz aveva apertamente rigettato questa affermazione. Poiché la sua secca replica era stata trasmessa dalla TV a diffusione nazionale, Fayaz era stato messo in carcere per due giorni e poi obbligato a dimettersi dalle autorità sia afgane sia iraniane.

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Lavorare per la democrazia a Kabul

Pubblichiamo la lettera della presidente dell’associazione afghana OPAWC (Organization of Promoting Afghan Women’s Capabilities), sostenuta dalla comunità internazionale democratica e tra gli altri dal CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane). Dalle sue parole, la realtà della gente che vuole ancora lottare per la democrazia in un paese devastato dagli interessi militari ed economici interni e del mondo occidentale.

Cari amici, come state? Spero che stiate bene.
Credo che OPAWC sia davvero sfortunata. Oggi che è il 17 aprile, e aspettavamo in ufficio dei potenziali donatori provenienti dall’India, ma purtroppo le condizioni sono cambiate.
Kabul è stata sotto attacco per due giorni. Ventisette ribelli si sono appostati in tre zone strategiche di Kabul – Shah-e-Now, nei pressi del Palazzo del Parlamento e a Pulcharkhi – e in altre province come Paktia, Logar e di Jalalabad. I ribelli, le forze afghane e le altre forze armate presenti nel nostro paese hanno combattuto per 22 ore a Kabul, sparando e gettando bombe ovunque.

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Intervista alla senatrice afgana Biliqees Roshan

Cristiana Cella, “L’Unità” 17 aprile 2012

Chi, ieri mattina, a Kabul, ha avuto il coraggio di andare al lavoro ha trovato la città spettrale e deserta. Un silenzio irreale dopo la notte di guerra. Le esplosioni si sono sentite in molte zone della città. Nessuno ha dormito molto.
La battaglia, durata 18 ore, si è conclusa all’alba con l’intervento risolutivo degli elicotteri Isaf che hanno eliminato gli ultimi talebani asserragliati negli edifici del centro cittadino. Sul terreno sono rimasti 51 morti, 36 miliziani, 11 uomini delle forze di sicurezza e 4 civili, 74 i feriti. Poi, lentamente, la città ha ripreso il suo ritmo convulso. Gli abitanti di Kabul non sembrano sorpresi dall’attacco.

Kabul15aprile 150x150Il deterioramento della sicurezza era evidente, dicono, e non è la prima volta che talebani armati si aggirano in città e fanno dei palazzi in costruzione i loro rifugi. Insomma se lo aspettavano.
Abbiamo raggiunto Bilqees Roshan, 38 anni, senatrice del Parlamento afghano, eletta dal Consiglio Provinciale di Farah. Cerca con tenacia, di risolvere i problemi della gente della sua provincia, da due anni. Qualche volta con successo. Si trovava in Parlamento all’inizio dell’attacco.

«All’una e trenta stavamo andando al Ministero dell’Istruzione quando abbiamo sentito gli spari e un razzo ci è passato sopra la testa. Poi la sparatoria si è fatta più intensa e la polizia non ha più permesso a nessuno di lasciare l’ edificio».
Un’esperienza difficile, sicuramente, ma Bilqees, come molti afghani, è ben allenata. Anche essere una donna, indipendente, nel Parlamento afghano, è difficile e rischioso. Le minacce sono all’ordine del giorno. «La presenza stessa di criminali di guerra nel governo di Karzai è una minaccia per chi cerca di dire la verità e vuole davvero la democrazia, soprattutto se è una donna. Vengono in Parlamento armati, sono ferocemente misogini, ignorano la Costituzione. Io continuo a dire quello che penso ma è difficile parlare liberamente, siamo in pochi a farlo, hanno tutti paura. C’è perfino un parlamentare eletto da Karzai che, ogni volta che apro bocca, si mette a gridare che ascoltare una donna parlare è haram, vietato dal Corano».
Non c’è da stupirsi che alcuni parlamentari abbiano preso le armi per difendere il palazzo. Le armi non mancano, nemmeno lì.

Attacchi simili al cuore di Kabul ci sono già stati nel 2011 ma questo è stato più consistente e ben organizzato. Come lo interpreta, Bilqees?
«È un’azione dimostrativa, un messaggio dei talebani e del Pakistan attraverso di loro, che vuole controllare le trattative con gli Usa: ci siamo, siamo forti, possiamo colpire dovunque vogliamo. Dimostrano che né l’esercito afghano né le truppe straniere controllano il territorio. Nelle trattative in corso ognuno vuole la sua parte e vuole partire da un punto di forza».

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Polvere, rabbia e dolore: l’infinito incubo afghano

Romina Gobbo, in “Avvenire” 17/04/2012

La capitale nella morsa delle violenze: «Sempre più delusi»

Il giorno dopo a Kabul, mentre si contano le vittime, è sempre il giorno delle polemiche. «La gente è sempre più arrabbiata e delusa dalle promesse non mantenute dalla comunità internazionale»: a dirlo è la senatrice Belqees Roshan, membro della Commissione per i diritti umani e la giustizia, del Parlamento afghano. Un parere che trova conferma ascoltando i cittadini. Molti sperano che le forze internazionali se ne vadano, perché così «avremo un nemico in meno».
«Non hanno fatto nulla per noi», afferma Fatima, tornata cinque, sei anni fa da un campo profughi pakistano, all’epoca piena di speranza nei confronti del presidente Karzai.
«Il governo è una sorta di fantoccio in mani straniere», incalza Naseer Fayaz, giornalista dell’emittente privata “Ariana”, costretto a dimettersi per un incidente “diplomatico” con l’ambasciata iraniana, e che non ha dubbi: «Usa e Inghilterra non se ne andranno mai». L’Afghanistan è strategicamente troppo interessante.
La paura delle associazioni femminili è che i diritti delle donne vengano sacrificati sull’altare di un accordo con i taleban. I numerosi burqa che si incontrano nella capitale afghana danno da pensare. Di statue azzurre con bimbi in braccio che chiedono la carità agli angoli delle strade, ce ne sono ancora tante.

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Kabul, offensiva talebana in città

E-ilmensile -15/4/2012

kabulattacco 150x150Stando alle prime testimonianze si tratterebbe di una offensiva in grande stile. Sarebbero state attaccate l’ambasciata americana, quella inglese e quella russa. Sotto attacco anche il parlamento afgano, che sarebbe stato preso di mira con razzi terra terra. Secondo alcuni testimoni i ribelli sarebbero anche riusciti ad entrare nel palazzo del parlamento.
Un missile avrebbe colpito l’ambasciata britannica secondo la tv di stato afgana.

Le prime testimonianza dall’ospedale di Emergency in città, vicino alla ambasciata inglese, raccontano di una sparatoria furibonda che prosegue da oltre mezz’ora, con ripetuti scambi di colpi di mortaio da una parte e dall’altra. Alcuni guerriglieri si sono asserragliati in un palazzo nei pressi dell’ospedale dal quale tirerebbero con Rpg.

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Corruzione e impunità, il cancro dell’Afghanistan

OsservatorioIraq, Anna Toro, 14/4/2012

L’Inghilterra potrebbe ritirare i fondi erogati all’Afghanistan e destinati alle forze di sicurezza locali. Il motivo? Il governo di Kabul non starebbe facendo abbastanza per combattere la corruzione nel paese.

Certo il ritiro dei fondi sarebbe la scelta estrema, ma non è solo Londra a preoccuparsi della questione. Tutta la comunità  internazionale, che vede andare in fumo buona parte delle cospicue donazioni elargite per la ricostruzione e la sicurezza, teme infatti che, dopo il ritiro previsto per il 2014, l’instabilità economica e la pessima immagine che il governo sta dando di sé contribuiscano a minare le condizioni già precarie del paese.

L’Afghanistan resta uno degli Stati più corrotti al mondo.

Secondo le stime di Transparency International, dal 2005 al 2011 la nazione sarebbe scesa dal 117° posto al 180°, peggio risultano solo la Somalia e la Corea del Nord.

Una rete di corruzione tentacolare, che si esplica a tutti i livelli e che non risparmia (anzi) le alte sfere del potere.

Questo è anche uno dei principali motivi che hanno convinto una fetta sempre più ampia della  popolazione a supportare nuovamente i talebani.

Il fatto che i corrotti il più delle volte non vengano puniti, specie se si tratta di “pesci grossi”, è infatti tra le ingiustizie maggiormente avvertite dalla popolazione.

Il presidente Karzai, da parte sua, afferma di aver rafforzato i controlli e le misure anti-corruzione, e scarica parte delle colpe proprio sui donatori internazionali, accusando ad esempio gli Stati Uniti di fornire protezione a diversi funzionari corrotti scappati all’estero

Uno fra tutti, Abdul Qadir Fitrat, ex governatore della Banca centrale afghana.

Certo Fitrat dice di essere fuggito perchè temeva per la sua vita: dopo l’enorme scandalo che nel 2010 ha coinvolto la Banca di Kabul, l’ex governatore ha puntato il dito su personaggi come Haseed Fahim, fratello del vice-presidente dell’Afghanistan, e Mahmood Karzai, fratello dell’attuale presidente Hamid.

In ogni caso, per il governo Fitrat sarebbe un “fuggiasco” che gli Usa si rifiutano di estradare.

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Karzai valuta presidenziali anticipate al 2013

Kabul, 12 apr. – (Adnkronos/Aki)

Il presidente afghano Hamid Karzai starebbe valutando l’ipotesi di elezioni presidenziali anticipate al 2013, in modo da evitare che il voto si tenga nell’anno in cui e’ previsto il ritiro delle forze della coalizione dall’Afghanistan. Karzai ha parlato dei ”cambiamenti in atto” e del ”completo ritorno delle forze internazionali nei rispettivi Paesi dall’Afghanistan”, sottolineando come non sia ancora stata presa una decisione definitiva sulla data del voto.

”È una questione che ho sollevato nel mio entourage”, ha detto Karzai durante una conferenza stampa a Kabul, con il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, rispondendo a una domanda sulla possibilita’ di elezioni anticipate.

Il ritiro degli Stati Uniti una benedizione e una maledizione per gli afghani

Giuliana Sgrena – 8 aprile 2012
Anche se l’annuncio degli Stati Uniti di ritirare le proprie truppe dall’Afghanistan entro il 2014 ‘è stata celebrata dalla maggior parte degli afgani come la fine imminente di una occupazione straniera lunga e controversa, emergono diverse domande circa l’esito di questo ritiro.
In particolare, gli esperti si chiedono se ciò renderà il paese più sicuro per la democrazia o più vulnerabile che mai alla violenza e all’estremismo. Altri sono scettici sul fatto che il paese sarà mai privo di presenza americana in un paese geograficamente strategico, vicino a Iran, Pakistan e Asia centrale.
A più di dieci anni dall’arrivo delle truppe straniere a ‘combattere il terrorismo’, il popolo afgano si domanda quale fosse il ‘vero obiettivo’ degli Stati Uniti quando è entrato nel paese.
“L’obiettivo (degli USA) non era quello di combattere il terrorismo, anche se hanno ucciso (ex capo di Al-Qaeda) Osama bin Laden. Al-Qaeda è ancora qui e ben diffuso in tutta la regione (in Tagikistan, Uzbekistan, etc) e ciò è utile agli Stati Uniti, perché gli verrà chiesto aiuto e questa potrà essere utilizzata come una scusa per rimanere nella regione “, questo è ciò che ha dichiarato Naseer Fayaz, un noto giornalista, all’IPS.
Anche se il presidente americano Barack Obama ha annunciato il ritiro di una parte delle truppe di stanza entro la fine del 2014, pochi sperano che questo porterà ad alcun cambiamento concreto e duraturo sul terreno.
“Loro (gli Stati Uniti) non lasceranno l’Afghanistan perché il paese è molto importante dal punto di vista geografico e strategico. La strategia degli Stati Uniti è lungo termine, sono qui per controllare l’area dall’Iran all’Asia Centrale”, ha sottolineato Fayaz.
“Usano Al-Qaeda per stare qui e nello stesso tempo conducono negoziati con alcuni jihadisti per raggiungere i loro obiettivi”, ha aggiunto.
Wadeer Safi, un professore di legge presso l’Università di Kabul, ritiene che le truppe straniere resteranno sul territorio afghano per un altro motivo, uno che è davvero rilevante per la società civile del paese.

Safi ha dichiarato a IPS: “Gli Stati Uniti non lasceranno l’Afghanistan prima di realizzare il loro obiettivo di dare il potere a un governo basato sulla trasparenza e la giustizia sociale. Ma questo non è avvenuto sinora;..i criminali sono ancora al potere. Devono essere messi sotto processo”.
Se “le truppe straniere lasciano il paese nelle mani dei fondamentalisti, l’Afghanistan diventerà un narco-stato legato al Pakistan,» ha detto il professore, una ipotesi confermata dal fatto che la maggior parte del papavero da oppio mondiale – 123.000 di 195.000 ettari nel 2010 – è stato coltivato in Afghanistan. Il paese si basa anche sul commercio di droga per un terzo del suo prodotto interno lordo (PIL).
Inoltre, l’Afghanistan è il secondo Paese più corrotto al mondo dopo la Somalia e ciò spinge molti ad essere pessimisti sul futuro politico del paese.
Indipendentemente da questa preoccupazione, la maggior parte del paese è a favore di un ritiro immediato delle truppe. Dopo la strage di Kandahar e le sollevazioni dovute ai roghi del Corano alla base militare USA di Bagram USA, la tensione è scoppiata nel paese, penetrando anche a Kabul, dove le truppe straniere sono state sostituite da parte dell’esercito afghano e dalla polizia.

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Usa, i sondaggi che svelano l’impopolarità della guerra in Afghanistan

E- Il mensile on line

Sono sempre meno gli americani che sostengono la guerra in Afghanistan, sia tra i repubblicani sia tra i democratici. Secondo l’ultima indagine condotta da New York Times e Cbs, il 69 percento degli intervistati ritiene che gli Usa dovrebbero ritirarsi dal conflitto. Appena quattro mesi fa, la percentuale dei contrari era del 53 percento.

Il sondaggio ha rivelato anche che il 68 percento dei partecipanti al sondaggio ritiene che la guerra stia andando “abbastanza male” se non addirittura “molto male”, una percentuale che a novembre era appena del 42 percento. L’indagine è stata condotta per telefono tra il 21 e il 25 marzo, con 986 persone selezionate a livello nazionale. Il margine di errore si aggira intorno al 3 percento.

Ad ogni buon conto, i sondaggi che parlano della delusione da parte della popolazione statunitense nei confronti del conflitto in Afghanistan sono molti. Per Post e Abc i contrari sono il 60 percento, mentre per il Pew Research Center sono il 57 percento.