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Autore: Anna Santarello

Afghanistan. Le trattative con i talibani

Rinascita, Ferdinando Calda – 31/1/12

Dopo il significativo annuncio dell’apertura di una sede diplomatica dei talibani in Qatar, si aprono nuovi fronti nelle trattative con gli insorti afgani, complicando un già delicato quadro che vede diversi attori in campo, ognuno con esigenze differenti e a volte contrastanti. Nei giorni scorsi si sono susseguite una serie di indiscrezioni e conferme secondo le quali il governo afgano sta organizzando un incontro con una delegazione di insorti in Arabia Saudita. Il perché di questa iniziativa parallela è da ricercarsi nel timore del presidente afgano Hamid Karzai di venire escluso dal tavolo qatariota organizzato dagli Stati Uniti. Da tempo il presidente afgano chiede che sia il governo di Kabul, e non gli Usa o la Nato, a gestire il processo di riconciliazione. Per questo motivo, nonostante le rassicurazioni di Washington, non ha digerito l’iniziativa qatariota e a dicembre ha persino richiamato l’ambasciatore afgano a Doha per protesta.

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Talebani “pronti a riprendere l’Afghanistan” dopo il ritiro della Nato

KABUL (Reuters), 1/2/12

s3.reutersmedia.netUn rapporto segreto dell’esercito Usa ritiene che i talebani, sostenuti dal Pakistan, sarebbero pronti a riprendere il controllo dell’Afghanistan dopo il ritiro delle forze a guida Nato dal paese. Lo scrive oggi il Times.
Il tenente colonnello Jimmier Cummings, portavoce della Forza internazionale di assistenza alla sicura guidata dalla Nato (Isaf), ha confermato l’esistenza del documento ma spiegando che non è strategico per le operazioni.

“Il documento segreto in questione rappresenta le opinioni di detenuti talebani, non è un’analisi e non deve essere intesa come tale”, ha spiegato.

Il documento citato dal Times ritiene che la potente agenzia per la sicurezza pakistana Isi stia assistento i talebani nel dirigere attacchi contro le forze straniere.

L’accusa ha ricevuto una dura risposta dal portavoce del ministero degli Esteri pakistano Abdul Basit. “È una cosa frivola, siamo impegnati nella non-interferenza in Afghanistan”, ha spiegato.

Il Times scrive che il rapporto “altamente segreto” è stato realizzato dall’esercito Usa nella base militare di Bagram per alti funzionari Nato il mese scorso.

Afghanistan, per l’Italia un impegno di lungo termine

E-online,26 gennaio 2012 – Enrico Piovesana

napokarzai 150x150Sul sito internet del ministero degli Esteri italiano si legge che il documento, che verrà siglato oggi pomeriggio a Palazzo Chigi in occasione dell’incontro tra Karzai e il Presidente del Consiglio Mario Monti, servirà a “rafforzare il sostegno e l’assistenza” all’Afghanistan “soprattutto sul fronte della sicurezza” e consisterà in “un piano di cooperazione a lungo termine che comprende tutte le principali forme di sostegno non più militare dopo il ritiro nel 2014”.

“L’accordo – spiega a E online Massimiliano Lagi, funzionario della Farnesina – rappresenta una cornice unitaria entro cui ricondurre e attraverso cui mettere a sistema i vari filoni di collaborazione esistente o da rafforzare: dal dialogo politico alla difesa/sicurezza, alla cooperazione allo sviluppo, alla collaborazione economica, alla lotta ai narcotici, agli aspetti culturali”.
“L’accordo bilaterale – prosegue Lagi – richiama le quattro intese bilaterali settoriali già sottoscritte nel 2011: accordo quadro di cooperazione allo sviluppo, accordo di cooperazione di polizia in materia di prevenzione e contrasto al traffico illecito di stupefacenti, sostanze psicotrope e precursori, memorandum d’intesa sulla cooperazione politica tra i due ministeri degli Esteri e sulla cooperazione economica”.

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Afghanistan, Francia verso ritiro. Italia no

Enrico Piovesana

E-IL MENSILE ON LINE

francesi 300x169Dopo la strage di soldati francesi ad opera di un militare afgano – voleva vendicare l’onta dei soldati Isaf americani che urinavano su cadaveri afgani – il presidente Sarkozy aveva minacciato il ritiro anticipato del contingente transalpino.

Una boutade elettorale (subito smentita dal ministro degli Esteri Alain Juppè) per non essere da meno del suo probabile successore all’Eliseo, François Hollande, che dall’Afghanistan vuole andarsene entro fine anno, e dalla pericolosa sfidante Marine Le Pen, che è per il ritiro immediato.

Al di là delle uscite del presidente uscente Sarkozy, se come indicano tutti i sondaggi sarà Hollande a vincere le elezioni presidenziali francesi del 22 aprile, Parigi avvierà subito il ritiro dall’Afghanistan dei suoi 3.600 soldati: quinto contingente Isaf come consistenza dopo americani, britannici, tedeschi e italiani.

La decisione unilaterale di un Paese membro della Nato di anticipare, per motivi politici o economici, il ritiro del proprio contingente nazionale rispetto alla scadenza ufficiale del 2014 non è un tabù.

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Ragazzini in fuga, Italia matrigna: “In questo Paese non c’è futuro”

Da: Repubblica.itRepubblica.it

MINORI ALL’INFERNO

RAGAZZI AFGH. 245x300Cercano un sogno, l’Europa, e trovano un incubo: l’Italia. Così il nostro Paese, approdo naturale per molti giovanissimi stranieri in fuga, si trasforma in una trappola fatta di truffe e sfruttamento. E dove chi arriva finisce per consigliare ai propri familiari in patria: “Restate dove siete”.

Arrivano dall’Afghanistan, dall’Africa Subsahariana o dall’Egitto. Sono oltre 7.500, hanno tra i 14 e i 17 anni, nessuno li accompagna, fanno viaggi pericolosissimi per arrivare da noi. Molti vogliono solo ripartire per il Nord Europa. Cercano lavoro e ricchezza, ma trovano solo sfruttamento. E dicono: “Da voi non si può stare”.

ROMA – Ragazzini senza nome. Piccoli schiavi inconsapevoli. Che dormono per strada, che si spaccano la schiena a scaricare frutta nei mercati di Roma, che lavorano 12 ore al giorno nei forni di Milano. E che quando va peggio finiscono nel giro dello spaccio di droga o della prostituzione: e si vendono per pochi euro. In Italia sono 7.540 i minori stranieri non accompagnati: sono gli adolescenti immigrati arrivati in Italia da soli, senza genitori o parenti. Nel 2010 erano tremila in meno (secondo i dati del Comitato Minori del ministero delle Politiche Sociali). Si sono moltiplicati negli ultimi mesi, a causa della crisi nel Nord Africa.

Sono ragazzini dai 14 ai 17 anni, maschi nel 94 per cento dei casi. Poco più che bambini, senza documenti. Molto spesso sono in Italia solo di passaggio e vogliono restare sconosciuti, invisibili. Spediti dalla famiglia a fare fortuna o scappati dalla guerra e dalla miseria, arrivano in Italia sui barconi, o nascosti nei camion. O sotto ai camion, aggrappati per giorni tra le ruote dei tir. Partono soprattutto da Afghanistan, Egitto, Tunisia, Marocco, Bangladesh, Mali. Spesso le loro famiglie hanno pagato cifre altissime ai trafficanti: anche 8mila euro, come dice un’indagine di Save the Children. A indebitarsi sono in particolare le famiglie egiziane, che chiedono prestiti a parenti e amici. Ma anche alle banche. Investono sui figli, che approdano a Lampedusa, in Puglia e in Calabria dopo viaggi di sei o anche otto giorni sui barconi carichi di immigrati. E questi ragazzini, una volta arrivati, fanno di tutto per ripagare il debito: sono disposti a fare qualunque lavoro. A Roma adolescenti egiziani caricano e scaricano frutta per 14 ore al giorno ai mercati generali. Per 20 euro al giorno. A Milano, dove la comunità egiziana è ben organizzata, vivono quasi sempre nelle case di connazionali. Vengono impiegati nei forni, dove lavorano di giorno e di notte, anche per 10 o 12 ore di fila in cambio di 3 euro l’ora. E per molto tempo  –  dicono gli operatori di Save the Children, che su tutto il territorio nazionale cercano di informare i minori stranieri sui loro diritti  –  non si rendono neanche conto di essere sfruttati.

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10 caffé = una vita preziosa in Afghanistan

10 caffé = 1 vita preziosa in Afghanistan

Da: NO MAS! – La voce di chi non ha voce

23 gennaio 2012

Pubblicato da Ilaria Brusadelli

caffeFahema e Shogofa ora hanno un futuro, Nahida potrà andare a scuola: sono solo alcune delle vite preziose salvate dai lettori dell’Unità che hanno sostenuto alcune donne afghane permettendo loro di scappare dalla violenza, di riscattarsi, di recuperare e sentire la loro dignità.

Abbiamo già parlato del progetto anche con la giornalista Cristiana Cella, che cura la pubblicazione delle storie delle donne e ha permesso all’Unità di diventare un vero media, un vero mezzo, tra due parti di una stessa umanità.

Ora ci sono tre donne che ancora hanno bisogno di un sostegno…  come Nelofar, che ha bisogno l’equivalente di 10 caffè al mese: 120 euro una tantum o 10 euro al mese per raggiungere lo sponsor completo.

Forse una madre può capire il dolore di Nelofar non poter garantire un futuro ai suoi figli. Ci sono due alternative: rimanere con un cognato terribile che obbliga lei e i suoi figli a una vita miserabile oppure scappare con i figli, ma la condizione è che lei li possa mantenere. Quei “120 caffé” le permetterebbero di avviare un lavoro, salvando così lei, la sua dignità e i suoi figli.

C’è anche la piccola donna Fatoma, 12 anni, che ha bisogno di aiuti per una grave malattia al cuore.

Questo progetto è la dimostrazione che la cooperazione può avvenire in modi diversi, senza tute militari o armi. Lontano dalle stanze di potere che decidono su realtà che non conoscono. Salvare una donna significa salvare una famiglia, dare speranze ai figli che non conoscono altra condizione se non quella di guerra.

Il traffico di uomini dall’Afghanistan

L’aumento del numero di afgani che vuole fuggire in Europa alimenta un business redditizio di falsi passaporti e di “lettere di morte” talebane
(da Kabul, Jon Boone e Nooruddin Bakhshi, guardian.co.uk, 18 gennaio 2012)

Per i cittadini afgani che devono avere a che fare con la burocrazia, l’edificio labirintico di fronte al comando generale della polizia di Kabul è una tappa obbligata per la richiesta di qualsiasi documento.
Chiuso in piccoli uffici miseri come bugigattoli, un erecito di dattilografi è pronto a produrre ogni tipo di documento, dal certificato di matrimonio al curriculum vitae alle lettere di candidatura per un lavoro. È anche possibile ottenere, con un’aggiunta di diverse centinaia di dollari, una minaccia di morte talebana, un speciale biglietto noto anche come “lettera della notte”, che può essere il passaporto per una nuova vita in Occidente.

“In queste lettere possiamo menzionare qualsiasi cosa sia utile; dipende” dice un giovane impiegato. “Per esempio, possiamo scrivere che tu lavori in un dipartimento governativo, hai una certa posizione e un certo  stipendio. La lettera dirà: ‘Se non lasci il tuo lavoro negli uffici governativi entro questa data, verremo a ucciderti o metteremo una bomba a casa tua’. Oppure possiamo scrivere che tu lavori per le forze USA.”

Per molti afgani, l’acquisto di questo documento è solo il primo di gravosi esborsi lungo la rischiosa via verso una nuova vita in Occidente. Coloro che acquistano questi documenti sperano che essi persuaderanno gli ufficiali dell’immigrazione, a migliaia di chilometri da Kabul, a concedere l’asilo politico in Europa o in Australia. Il documento è solo una parte del crescente e lucrativo affare del traffico umano, rivolto a una marea crescente di giovani afgani, per lo più maschi e non accompagnati, che fuggono dal paese.

Uno di questi trafficanti di uomini ci parla del suo business, dopo essersi frettolosamente presentato in un’auto vicino a un posto di blocco a Kabul. Dice che il boom del business è dovuto a due fattori: la crescente paura tra molti afgani per il futuro del loro paese e la presenza di una classe di professionisti benestanti che possono permettersi queste tariffe altissime. “Ogni giorno aiuto sempre più gente da tutti gli angoli dell’Afghanistan a lasciare il paese” dice. “Se tutti avessero i soldi necessari, se ne andrebbero tutti.”

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Freddo e miseria a Kabul

Queste foto sono state scattate nelle strade di Kabul dopo le nevicate degli ultimi giorni.

Kabul winter 150x150A dieci anni dall’occupazione dell’Afghanistan da parte delle forze USA-NATO e nonostante l’afflusso di più di 60 milioni di dollari in aiuti internazionali, molta gente comune sopravvive a fatica durante l’inverno crudele, rischiando i morsi della fame e del freddo, grazie a un governo ultracorrotto e mafioso guidato da crinimali fondamentalisti.

[Guarda le foto facendo clic qui]

RAWA , 21 gennaio 2012

Come e perché l’Italia addestra gli afgani alla guerra

Mai così tanti i militari italiani in missione di guerra in Afghanistan.

Quattromiladuecentodieci e solo a metà anno i primi uomini faranno rientro a casa. Per completare il ritiro del contingente nazionale, secondo il ministro della Difesa Di Paola, bisognerà attendere invece la fine del 2014. Un conflitto in nome degli interessi geostrategici delle transnazionali dell’energia, per cui è stato versato un alto tributo in vite umane: per il sito della Camera dei Deputati sono già 42 i militari caduti in territorio afgano “di cui 28 in seguito ad attentati o conflitti armati”.
Top secret il numero di feriti e traumatizzati, ma sarebbero centinaia. Dal primo gennaio 2002 al dicembre del 2011, dispiegamenti di reparti, caccia, elicotteri e tank, blitz e bombardamenti aerei, esercitazioni a fuoco hanno comportato una spesa per i contribuenti italiani di circa 3 miliardi e 800 milioni di euro. E le operazioni tricolori in Afghanistan assorbiranno più della metà delle spese previste per pagare le missioni all’estero nel 2012 (complessivamente 1,4 miliardi di euro).

“A Kabul il nostro contingente opera nell’ambito del Quartier Generale di ISAF, della NATO Training Mission – Afghanistan e di Italfor Kabul con circa 210 uomini mentre ad Herat siamo presenti con circa 4.000 uomini, principalmente appartenenti alla Brigata paracadutisti Folgore”, spiegano i portavoce dello Stato maggiore della difesa.
“Per le esigenze connesse con le missioni in Afghanistan ed in Iraq, inoltre, ci sono 125 persone tra Al Bateen, Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti), dove sono dislocati alcuni velivoli che assicurano il sostegno logistico, a Tampa (Stati Uniti d’America) presso il Comando USA dell’intera operazione e in Bahrein quale personale di collegamento con le forze USA”. Nel teatro di guerra afgano, il contingente dispone dei più moderni sistemi d’attacco, batterie missilistiche, bombardieri, elicotteri, aerei da trasporto, velivoli per missioni di sorveglianza e ricognizione.
La componente aerea è stata rafforzata a partire del 2007 con l’arrivo dei caccia AMX, dei velivoli senza pilota “Predator” e degli elicotteri d’attacco A129 “Mangusta”. Oltre una trentina sono i velivoli schierati ad Herat, il terzo contribuito aeronautico alleato in Afghanistan dopo USA e Gran Bretagna.

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PROGETTO VITE PREZIOSE A UN PASSO DAL RISULTATO

Di Cristiana Cella, l’Unità, 14 Gennaio 2012
Il progetto Vite Preziose, grazie alla solidarietà di chi ci legge, sta avvicinandosi alla meta. Il gruppo di donne che la Ong Hawca ci ha affidato, sta trovando, passo dopo passo, l’aiuto di cui ha bisogno per uscire dall’emergenza e ricostruire la propria vita.
 
2827617639 300x250I lettori continuano a partecipare e a seguire con affetto le loro amiche afghane. Anzi, questa volta, sono stati più veloci di noi. Pubblichiamo oggi altre quattro storie di donne, arrivate da Kabul, ognuna col suo difficile percorso attraverso la violenza, che, in tutte le sue forme, continua a devastare la vita di donne e bambine in Afghanistan.
Tre di loro hanno già trovato un sostegno. Habeba sarà aiutata dal gruppo, ‘Le donne del Cerchio’: Sonia, Ileana, Valentina, Jolanda, Laura, Paola, Raffaella, Desiré, Gabriella, Fiorenza. Nelab da Lucia, Fariya da Marisa e Italo, Shafeya da Isabella e Nelofar da Laura, Stefania e Martin. Le storie di Shafeya e Nelofar sono state pubblicate la volta scorsa.
Le donne che hanno bisogno di uno sponsor sono:

NELOFAR, a cui serve un aiuto di 10 euro al mese (oppure 120 una tantum) per raggiungere la sponsorizzazione completa.
SHAZIYA, che non ha ancora uno sponsor.
FATOMA. Abbiamo raccontato da tempo la storia di questa bambina, con un grave difetto al cuore che ha bisogno di una costosa operazione per poter vivere e crescere normalmente. Finora le abbiamo devoluto i sostegni ‘una tantum’ dei lettori che le hanno permesso di curarsi e procurarsi le medicine. Ora Hawca ritiene che sia meglio per lei avere un aiuto costante ogni mese, uno sponsor che se ne occupi con regolarità.

 
 
LE STORIE

1) “UNA VITA NUOVA” – STORIA DI HABEBA –
Ho 35 anni e sono di Kabul. 12 anni, è a questa età che l’infanzia finisce per le donne. Non si può dire ‘una vita nuova’ quando ci sposano. Non si può chiamare vita. È un’altra cosa, una guerra forse, ma disarmate. Lui aveva 22 anni. L’ha scelto mio padre, naturalmente. Ha scelto proprio bene. Non era normale, di testa. Malato di mente, così si dice. La furia sempre dietro agli occhi. Dovevo stare molto attenta, spiare i gesti, i segni premonitori della sua rabbia. Mi picchiava, ogni giorno, per sciocchezze, una ragione la trovava sempre. Non lavorava, non faceva niente.
Quando gli chiedevo di cercare un lavoro, perdeva proprio la testa. Ma non c’era soltanto lui. Mia suocera e le cognate si inventavano, ogni giorno, qualche cosa di sbagliato che avevo fatto. Trovavano sempre un motivo per picchiarmi, anche loro che sono donne come me. Forse, così, riuscivano a sfogare la rabbia per quello che avevano, a loro volta, subito.

Quattro anni sono passati così e due figli sono arrivati. So cucire bene, facevo questo per trovare un po’ di soldi per i bambini. Un giorno, a furia di botte, mi ha cacciato fuori di casa. Mi ha lasciato lì, in mezzo alla strada. Sono andata da mio padre, ho pensato che mi avrebbe protetto, che avrebbe capito. Forse perfino si sarebbe pentito di avermi dato a quell’uomo. Mi sbagliavo. Non mi ha fatto nemmeno entrare. Mi ha detto che quella ormai non era più la mia casa, che io appartenevo alla famiglia di mio marito e che dovevo restare con lui, qualunque cosa mi facessero. Mi ha riportato nella mia prigione. Ma mio marito, regolarmente, mi cacciava di nuovo. A volte ero io a scappare. Andavo dai parenti, ma il più delle volte restavo in strada.
È un posto pericoloso ma è meglio di casa mia. Alla fine tornavo da lui, lì c’erano i miei figli. Col tempo, mio marito è diventato completamente pazzo e mio cognato lo ha internato in un ospedale. Non c’è stato molto, è scappato, sparito da tre anni. Io intanto sono scappata di nuovo ma questa volta sapevo dove andare. Una vicina mi ha parlato della casa protetta. Adesso vivo qui con il mio bambino più piccolo. Il maggiore me lo ha preso mio cognato. Lui e mio padre vanno spesso da Hawca, vogliono che torni a casa. Adesso promettono che nessuno mi farà del male ma io ho paura e ascolto la mia paura. Non lo farò mai. Tutto sarebbe di sicuro come prima. Intanto voglio guarire, stare bene. Ho molti problemi fisici per quello che mi hanno fatto. Poi vorrei vivere per conto mio con mio figlio, lavorare per me e per lui, farlo studiare. Perché diventi un uomo migliore di suo padre e del mio.
PROGETTO PER HABEBA
(sostegno mensile)
Habeba vive nello shelter di Hawca, il procedimento di divorzio è in corso. La prima necessità per cui ha bisogno di aiuto è la salute. I medici di Hawca la stanno curando ma avrebbe bisogno di un’assistenza più specializzata e delle medicine che sono molto costose. Quando starà meglio, potrà avviare il suo lavoro di sarta, vivere da sola col bambino come desidera e farlo studiare.

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