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Autore: CisdaETS

Per la libertà di Ocalan e per una soluzione politica in Kurdistan

Renato Franzitta, Pressenza Italia, 29 aprile 2025

L’appello del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan del 27 febbraio per “la pace e una società democratica” rappresenta il nono tentativo di cessate il fuoco unilaterale da parte curda, in questo modo il PKK ha dato un ulteriore tangibile segno dell’impegno da parte curda per la pace e la democrazia.

Già nel 2015 la trattativa per la pace sembrava fosse arrivata ad un punto significativo e che la liberazione di Öcalan potesse essere imminente. Ciò che accadde dopo le elezioni del giugno 2015, quando il partito HDP ottenne 13,12% e conquistò 80 seggi al Parlamento di Ankara, è sotto gli occhi di tutti: una violenta e sanguinosa ondata bellica scatenata dal regime di Erdogan contro le popolazioni curde in Turchia, Siria e Iraq del nord.

La feroce campagna turca

Interi villaggi distrutti, quartieri storici delle città curde rasi al suolo, migliaia di arresti fra curdi sospettati di essere membri del PKK e fra i militanti del partito HDP, fra cui il segretario nazionale Demirtas, centinaia di morti.

L’offensiva turca contro il movimento democratico curdo fu estesa oltre i confini della Turchia, con una feroce campagna che ha investito il Rojava rivoluzionario, iniziata con l’attacco ad Afrin e a tutta la Siria del Nord e dell’Est. Le formazioni jihadiste eterodirette da Ankara operarono una crudele pulizia etnica nei territori occidentali del Rojava espellendone le popolazioni stanziali.

Sebbene i colloqui con il regime di Ankara continuino, la condizione minima per la deposizione delle armi da parte delle milizie popolari curde ha come presupposto irrinunciabile la possibilità di indire il Congresso straordinario del PKK con la presenza fisica del suo leader storico Abdullah Öcalan e la liberazione di tutti i detenuti politici, compreso il leader dell’HDP Selahattin Demirtaş.

Attualmente non si registra una reale risposta del governo turco all’appello di Öcalan e al cessate il fuoco unilaterale del PKK. Di contro assistiamo alla deriva autoritaria del governo turco che si evidenzia con un’ondata di arresti di sindaci, giornalisti, avvocati e attivisti per la pace in tutta la Turchia.

L’arresto il 19 marzo 2025 del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu – volto di spicco del Partito Popolare Repubblicano e candidato in pectore del CHP alle elezioni presidenziali turche del 2028 dopo la vittoria alle primarie del partito kemalista – con l’accusa di corruzione, estorsione, riciclaggio di denaro, turbativa d’asta e collaborazione con il PKK, ha reso ancora più evidente la svolta sicuritaria del governo di Ankara. Questo sviluppo alimenta una profonda sfiducia nei confronti delle dichiarazioni politiche che parlano dell’inizio di un periodo di pace.

Inoltre, l’esercito turco continua ad attaccare le posizioni delle forze guerrigliere del PKK, e sono riemerse accuse sull’uso di armi chimiche.

Mentre il PKK propone il cessate il fuoco su tutti i fronti, il governo di Erdogan, dopo la dissoluzione del regime siriano degli Assad, spinge le milizie jihadiste del cosiddetto Esercito Nazionale Siriano (SNA) contro i territori controllati dall’Autorità Autonoma Democratica della Siria del Nord e dell’Est (DAANES).

L’SNA, foraggiato e diretto dalla Turchia, partendo dal distretto di Idlib, distretto da anni nelle mani dei jihadisti, già dal dicembre scorso ha intrapreso un massiccio attacco contro i territori autonomi della Siria del Nord e dell’Est spingendosi dal Nord Ovest siriano fino alle sponde dell’Eufrate.

Pieno appoggio alle milizie popolari

Le Forze Democratiche Siriane (SDF), guidate dalle Unità di Protezione Popolare (YPG), hanno fermato lungo le sponde dell’Eufrate l’offensiva delle SNA, diretta alla conquista di Kobane, città simbolo della resistenza ai tagliagole jihadisti dell’ISIS.

Per difendere le conquiste rivoluzionarie del Confederalismo Democratico la popolazione della Siria del Nord e dell’Est si è sollevata dando pieno appoggio alle milizie popolari rivoluzionarie. A difendere la diga di Teshrin sono giunte migliaia di persone, famiglie intere che hanno offerto i propri corpi per respingere l’orda reazionaria del SNA. Tantissimi i morti sotto i bombardamenti, ma l’avanzata delle milizie jihadiste filoturche è stata fermata. La diga di Teshrin sull’Eufrate è divenuta il nuovo simbolo della resistenza in Rojava.

L’alleanza fra le varie componenti della società siriana (curdi, arabi, armeni, assiri, turkmeni e circassi, sunniti, sciiti, alawiti, cristiani, drusi, ezidi e altri siriani) realizzata in Siria del Nord e dell’Est si sta consolidando. L’iniziale simpatia di alcuni combattenti arabi delle SDF a Raqqa e a Deir ez-Zor (località a maggioranza araba) verso l’attuale governo a guida HTS si è presto esaurita dopo le dichiarazioni jihadiste di Ahmed al-Sharah in vista della riscrittura della carta costituzionale e dopo i massacri contro le popolazioni alawite nella Siria dell’ovest.

Poco dopo aver rovesciato il regime di Assad, il governo apertamente sunnita di al-Sharaa aveva pubblicamente garantito la libertà di culto alle minoranze religiose del Paese, ma nonostante questa dichiarazione dagli apparenti contorni pacifisti, gli scontri tra le forze di sicurezza di Damasco e gli alawiti (di osservanza sciita) hanno portato a massacri indiscriminati anche di civili. Più di 1.400 i civili sono stati uccisi, inclusi centinaia di giustiziati dalle forze di sicurezza siriane concentrate soprattutto nelle provincie di Latakia e Tartus, nell’ovest della Siria.

Sfruttando le debolezze del l’attuale regime di Damasco il DAANES ha stretto contatti con la comunità drusa, con la comunità alawita e con varie comunità arabe in tutta la Siria.

In questo quadro è stato deciso di istituire accademie al di fuori della Siria del nord e dell’Est per diffondere i principi del Confederalismo Democratico e per costruire una nuova Siria democratica, confederale e rispettosa di tutte le etnie presenti. Su richiesta delle donne delle varie zone del Paese si stanno costruendo corpi delle YPJ (Unità di Protezione delle Donne) per l’autodifesa, specialmente dopo l’impostazione islamista e autoritaria della nuova Siria a guida HTS.

Mentre si accoglie in modo positivo l’appello di Öcalan del 27 febbraio per la pace, si sottolinea che fino a quando non ci saranno garanzie valide per il rispetto delle conquiste del Confederalismo Democratico, per il rispetto delle minoranze religiose ed etniche, per il rispetto delle donne in Siria le milizie popolari SDF e YPG non deporranno le armi e che le YPJ non disarmeranno in nessun caso, essendo essenziali per la difesa delle donne.

Siria. La riduzione in schiavitù delle donne rapite

Ovunque il fondamentalismo porta alla schiavitù delle donne

The Cradle, La bottega del Barbieri, 29 aprile 2025

Nella Siria post-Assad, il Rapimento di Massa e la Riduzione in Schiavitù Sessuale delle donne Alawite sotto il Regime di Sharaa (al-Julani) rispecchiano le più oscure atrocità dell’ISIS, eppure incontrano il silenzio globale.

Da dicembre, quando l’ex affiliata di al-Qaeda, Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ha rovesciato il governo di Bashar al-Assad, la Siria ha assistito a un’agghiacciante ondata di misteriosi rapimenti di giovani donne, prevalentemente appartenenti alla comunità Alawita.
Continuano a emergere prove che queste donne, principalmente appartenenti alla componente religiosa Alawita, siano state rapite e condotte a vivere come schiave sessuali nel Governatorato di Idlib, tradizionale roccaforte di HTS, da fazioni armate affiliate al nuovo governo siriano.
Incredibilmente, il rapimento di massa e la riduzione in schiavitù di donne Alawite, ora perpetrati da fazioni affiliate a HTS, rispecchiano la Riduzione in Schiavitù di migliaia di donne Yazide da parte dell’ISIS durante il Genocidio del 2014 a Sinjar, in Iraq.

L’ATTIVISTA CHE HA DENUNCIATO

In un post di Facebook ora cancellato, Hiba Ezzedeen, un’attivista siriana di Idlib, ha descritto il suo incontro con una donna che ritiene sia stata catturata e portata nel Governatorato come schiava sessuale durante l’ondata di massacri perpetrati dalle fazioni affiliate al governo e dalle forze di sicurezza contro gli Alawiti nelle zone costiere del Paese il 7 marzo.

“Durante la mia ultima visita a Idlib, ero in un posto con mio fratello quando ho visto un uomo che conoscevo con una donna che non avevo mai incontrato prima”, ha spiegato Hiba.” Quest’uomo si era sposato diverse volte in precedenza e si ritiene che attualmente abbia tre mogli. Ciò che ha attirato la mia attenzione è stato l’aspetto della donna: in particolare, era chiaro che non sapesse indossare correttamente l’hijab e il suo velo era indossato in modo disordinato”.

Dopo ulteriori indagini, Ezzedeen ha appreso che la donna proveniva dalle zone costiere dove si sono verificati i massacri del 7 marzo, in cui sono stati uccisi oltre 1.600 civili Alawiti.
“Quest’uomo l’aveva portata al villaggio e l’aveva sposata, senza ulteriori dettagli disponibili. Nessuno sapeva cosa le fosse successo o come fosse arrivata lì, e naturalmente la giovane donna aveva troppa paura di parlare”, ha aggiunto Ezzedeen.
Poiché la situazione le sembrava così strana e allarmante, ha iniziato a chiedere a tutti quelli che conosceva, “ribelli, fazioni, attivisti per i diritti umani”, informazioni sul rapimento di donne Alawite dalla costa.
“Purtroppo, molti hanno confermato che ciò è effettivamente accaduto, e non solo da una fazione. In base a quanto affermato dagli amici, le accuse puntano a fazioni dell’Esercito Nazionale e ad alcuni combattenti stranieri, con motivazioni diverse”, ha riferito.
Le nuove forze di sicurezza siriane guidate da HTS hanno incorporato gruppi estremisti armati, tra cui Uiguri del Partito Islamico del Turkestan e turcomanni siriani appartenenti a fazioni dell’Esercito Nazionale Siriano, sostenuto dai servizi segreti turchi, fin dalla loro ascesa al potere a Damasco.
Diversi comandanti dell’Esercito Nazionale Siriano ed estremisti stranieri sono stati nominati a posizioni di vertice nel Ministero della Difesa siriano.
Mentre le unità della Sicurezza Generale, dominate da HTS, hanno partecipato ai massacri del 7 marzo in molte zone, si ritiene che ex fazioni dell’Esercito Nazionale Siriano e di combattenti stranieri abbiano guidato la campagna. I militanti sono andati porta a porta nei villaggi e nei quartieri Alawiti, giustiziando tutti gli uomini in età militare che hanno trovato, saccheggiando case e, a volte, uccidendo donne, bambini e anziani.
Ezzedeen ha concluso il suo post affermando: “Questa è una questione seria che non può essere ignorata. Il governo deve rivelare immediatamente la sorte di queste donne e rilasciarle”.
Invece di indagare sulla questione e cercare di salvare le donne prigioniere, il Governatore di Idlib nominato da HTS ha emesso un ordine di arresto per Ezzedeen, sostenendo che avesse “insultato l’hijab”.
La coraggiosa rivelazione di Ezzedeen ha fatto luce sul destino di molte giovani donne appartenenti a comunità minoritarie, misteriosamente scomparse negli ultimi mesi, dopo che il Presidente Ahmad al-Sharaa e HTS avevano rovesciato Assad e preso il potere a Damasco.

UN MODELLO DI RAPIMENTI

In uno dei primi casi, una giovane donna Drusa del sobborgo di Jaramana a Damasco, Karolis Nahla, è scomparsa la mattina del 2 febbraio 2024, mentre si recava all’università nella zona di Mezzeh. Il caso era singolare perché non fu richiesto alcun riscatto e non si seppe più nulla di lei.

Col tempo, iniziarono a trapelare informazioni secondo cui giovani donne come Karolis venivano rapite e portate a Idlib come schiave, come infine confermato da Hiba Ezzedeen.
Il 21 marzo, Bushra Yassin Mufarraj, madre Alawita di due figli, è scomparsa dalla stazione degli autobus di Jableh. Suo marito ha poi pubblicato un video di appello in cui affermava che era stata rapita e portata a Idlib.
“Mia moglie è stata rapita a Idlib. C’è qualcosa di più crudele al mondo che possa accadere a un uomo? Che sua moglie e la madre dei suoi figli si trovi in tali circostanze”, ha dichiarato in un video di appello pubblicato sui social media dieci giorni dopo.
La scomparsa di Bushra è stata seguita da un’ondata di rapimenti nei giorni e nelle settimane successive. L’Agenzia Curda Jinha ha riferito il 25 marzo, citando fonti locali, che più di 100 persone sono state rapite da gruppi armati nelle regioni costiere della Siria nelle 48 ore precedenti, tra cui molte donne.

Il 5 aprile, la ventunenne Katia Jihad Qarqat è scomparsa. L’ultimo contatto con lei è avvenuto alle 9:40 del mattino presso la farmacia del circolo Bahra a Jdeidat Artouz, nella campagna di Damasco. La sua famiglia ha implorato che chiunque l’avesse vista o avesse informazioni su di lei li contattasse.

L’8 aprile, la diciassettenne Sima Suleiman Hasno è scomparsa alle 11:00 del mattino dopo aver lasciato la sua scuola nel villaggio di Qardaha, nella campagna di Latakia. Sima è stata rilasciata quattro giorni dopo a Damasco, dove è stata riconsegnata alla zia da membri del governo siriano guidato da HTS.
I filmati di sorveglianza dei negozi vicino al luogo del rapimento sono circolati ampiamente sui social media, scatenando un’ondata di indignazione.
L’11 aprile, alle 16:00, si è persa la comunicazione con la ventiduenne Raneem Ghazi Zarifa nella campagna di Hama, nella città di Masyaf.
“Siamo estremamente preoccupati per lei. Chiediamo a chiunque abbia informazioni su di lei, anche minime, di contattarci immediatamente”, ha dichiarato la sua famiglia in un post sui social media.
Il 14 aprile, Batoul Arif Hassan, una giovane donna sposata con un bambino di tre anni di Safita, è scomparsa dopo aver fatto visita ai familiari nel villaggio di Bahouzi. I contatti con lei si sono interrotti intorno alle 16:00 mentre viaggiava su un minibus pubblico sulla strada Homs-Safita. La sua famiglia ha chiesto in un post sui social media a chiunque avesse informazioni sulla sua posizione di contattare telefonicamente suo fratello.
La mattina del 16 aprile, Aya Talal Qassem, 23 anni, è stata rapita dopo aver lasciato la sua casa nella città costiera di Tartous. Tre giorni dopo, il rapitore di Aya l’ha liberata e l’ha condotta a Tartous, sull’autostrada per Homs, solo per essere arrestata dalla Procura Generale guidata da HTS.
La madre di Aya ha pubblicato un video sui social media in cui spiegava che alla sua famiglia non era permesso stare con lei durante la detenzione e che suo padre era stato arrestato perché aveva insistito per vederla. La madre ha affermato che la Procura Generale ha cercato di costringere Aya a testimoniare, affermando che non era stata rapita, ma che era fuggita con un amante. La madre ha aggiunto di essere stata costretta a raccontare una simile storia nonostante la presenza di tagli e ferite sanguinanti sul suo corpo. Un video è stato pubblicato in Rete nel momento del suo emozionante ritorno a casa, tra familiari e parenti che l’attendevano con ansia.

Il 21 aprile, Nour Kamal Khodr, 26 anni, è stata rapita insieme alle sue due figlie, Naya Maher Qaidban di 5 anni e Masa Maher Qaidban di 3.
Nour e le sue figlie hanno lasciato la loro casa nel villaggio di Al-Mashrafa, nella zona rurale di Homs, a mezzogiorno, dirigendosi verso l’abitazione di un vicino. Testimoni hanno visto un gruppo mascherato affiliato alla Sicurezza Generale guidata da HTS rapirle, caricarle su un veicolo contrassegnato con l’emblema del gruppo prima di darsi alla fuga.

ECHI DI SINJAR

Entro il 17 aprile, l’emittente irachena Al-Daraj ha riportato la notizia di dieci rapimenti confermati di donne Alawite nelle regioni costiere. Secondo una sopravvissuta, pseudonimo Rahab, è stata rapita in pieno giorno e tenuta chiusa a chiave in una stanza con un’altra donna.
Una donna che ha parlato con Al-Daraj con lo pseudonimo Rahab è stata rilasciata dopo che i rapitori avrebbero temuto un’irruzione della Sicurezza Generale. Ha dichiarato di essere stata rapita in pieno giorno e tenuta in una stanza con un’altra donna, affermando:
“Ci hanno torturato e picchiato. Non ci era permesso parlarci, ma ho sentito l’accento dei rapitori. Uno aveva un accento straniero e l’altro un accento locale di Idlib. Lo sapevo perché ci insultavano perché eravamo Alawite”.
L’altra donna, trattenuta con lei, pseudonimo Basma, rimane prigioniera. È stata costretta a chiamare la sua famiglia per dire loro che stava “bene” e per rassicurarli che “non avrebbero dovuto pubblicare nulla” sul suo rapimento.
Al-Daraj ha anche documentato il caso di una ragazza di 18 anni, anch’essa rapita in pieno giorno, nelle campagne di una città costiera in Siria.
La sua famiglia ha poi ricevuto un messaggio di testo che la intimava di rimanere in silenzio sul suo rapimento, altrimenti sarebbe stata riconsegnata morta. La ragazza ha poi inviato alla famiglia una registrazione vocale da un numero di telefono registrato in Costa d’Avorio, dicendo che stava bene e che non sapeva dove fosse stata portata.
I media iracheni hanno paragonato questi casi al Genocidio degli Yazidi perpetrato dall’ISIS a Sinjar. Oltre 6.400 Yazidi sono stati ridotti in Schiavitù dall’ISIS nel 2014.
Migliaia di loro sono stati trafficati in Siria e Turchia, venduti come Schiavi domestici o sessuali, o addestrati per il combattimento. Molti risultano ancora dispersi.

HTS: LA CONTINUITÀ IDEOLOGICA DELL’ISIS

Che donne Alawite stiano ora comparendo a Idlib non sorprende, data la discendenza ideologica di HTS.
HTS, che ha conquistato Idlib nel 2015 con missili TOW forniti dalla CIA, condivide la stessa visione Genocida dell’ISIS.
È stata fondata dall’ISIS e guidata da Sharaa, allora noto come Abu Mohammad al-Julani, inviato in Siria nel 2011 dal defunto “Califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi per fondare il Fronte Al-Nusra, precursore di HTS.

Nel 2014, l’analista siriano Sam Heller descrisse quindi i religiosi di Al-Nusra come promotori di un “fanatismo tossico, persino Genocida” nei confronti degli Alawiti, basato sugli insegnamenti dello studioso islamico medievale Ibn Taymiyyah.
Sebbene HTS e ISIS si siano scontrati nel 2014, i loro legami sono durati. Quando Al-Baghdadi fu ucciso nel 2019, si nascondeva a Barisha, appena fuori Sarmada, controllata da HTS. All’epoca, anche numerosi Yazidi ridotti in Schiavitù si trovavano a Idlib.
Il quotidiano The Guardian lo ha confermato, citando Abdullah Shrem, un soccorritore Yazida, e Alexander Hug della Commissione Internazionale per le Persone Scomparse, i quali hanno affermato che le persone scomparse venivano spesso trattenute “in aree al di fuori del controllo governativo”.
Nel 2019, Ali Hussein, uno Yazida di Dohuk, raccontò alla giornalista della Radio Pubblica Nazionale Jane Arraf del suo tentativo di comprare la libertà di una bambina Yazida di 11 anni, rapita dall’ISIS ma “venduta a un emiro di un’organizzazione affiliata ad Al-Qaeda in Siria, Jabhat Al-Nusra, e non più vergine”.
“Vi avevo detto 45.000 dollari (40.000 euro) fin dall’inizio. So quanto pagano a Raqqa. Vi avevo detto che in Turchia avrebbero pagato 60.000 o 70.000 dollari (53.000 – 62.000 euro) e le avrebbero asportato gli organi. Ma non voglio farlo”, minacciò il contatto dell’ISIS durante la trattativa.
Reuters ha riportato il salvataggio di un giovane Yazida, Rojin, catturato e ridotto in schiavitù dall’ISIS insieme al fratello nel 2014. A 13 anni, Rojin fu portato nel campo Curdo di Al-Hol, nella Siria Orientale. Fu trattenuto lì insieme a migliaia di famiglie e sostenitori dell’ISIS dopo la sconfitta finale dell’organizzazione nella città di confine siriana di Baghouz nel 2019.
Il combattente saudita dell’ISIS che aveva acquistato Rojin organizzò poi il suo trasporto clandestino da Al-Hol a Idlib. Fu liberato cinque anni dopo, nel novembre 2024, mentre HTS preparava il suo assalto lampo ad Aleppo.
Reuters ha riferito che in un altro caso, un Yazida di 21 anni di nome Adnan Zandenan ricevette un messaggio su Facebook da un fratello minore che presumeva morto, ma che era stato anch’egli portato clandestinamente a Idlib.
“Mi tremavano le mani. Pensavo che uno dei miei amici mi stesse prendendo in giro”, ha ricordato Zandenan. Tuttavia, l’euforia di Zandenan si è rapidamente trasformata in disperazione quando suo fratello, ormai diciottenne e profondamente indottrinato dall’ideologia Salafita-Jihadista, si è rifiutato di lasciare Idlib e tornare nella comunità Yazida di Sinjar.

IL CALIFFATO RICONFEZIONATO

Nel dicembre 2024, appena un giorno dopo l’ingresso di HTS di Jolani a Damasco per rovesciare Assad, il giornale curdo iracheno Rudaw riferì che una donna Yazida di 29 anni era stata salvata dalla schiavitù a Idlib, affermando che molte donne Yazide erano state salvate dal campo di Al-Hol, gestito dai Curdi.

Tuttavia, altre “sono state trovate in zone della Siria controllate dai ribelli di HTS o da gruppi armati sostenuti dalla Turchia (Esercito Nazionale Siriano), e alcune sono state localizzate in Paesi terzi”, aggiunse.
Nei giorni successivi alla caduta di Assad, folle esultanti si riversarono nelle piazze cittadine, intonando canti a sostegno di al-Julani, ora ribattezzato Ahmad al-Sharaa.
Eppure, mentre i diplomatici occidentali si affrettavano a incontrare il nuovo sovrano, il significato della sua “libertà” divenne rapidamente chiaro. I rapimenti di donne Alawite, che rispecchiano la tragedia Yazida, hanno dimostrato che al-Julani aveva semplicemente riconfezionato il modello ISIS.
Con la scusa della liberazione, un brutale sistema di violenza fanatica, schiavitù e stupri è stato scatenato contro coloro che ora erano sotto il suo controllo.
In risposta al crescente negazionismo, l’esperto di genocidio Matthew Barber ha messo in guardia contro lo stesso schema che ha caratterizzato i primi giorni del genocidio Yazida: incredulità, rifiuto e derisione, finché la verità non si è rivelata ben peggiore.
“Nessuno credeva che potesse accadere. Persino analisti e giornalisti occidentali non credevano alle nostre affermazioni”, ha detto Barber. “La realtà era persino peggiore di quello che affermavamo”.
Il silenzio delle vittime non è volontario, è forzato. E mentre questa campagna di terrore di genere continua, la domanda rimane: per quanto tempo il mondo distoglierà lo sguardo?

Traduzione: La Zona Grigia.

Le madrase talebane: una bomba a orologeria

Un articolo sulle madrase purtroppo ancora molto attuale

William Maley, AIIA, 16 maggio 2024

Passando inosservati, i talebani afghani hanno rapidamente ampliato una rete di madrase per propagare la loro ideologia a un auditorio di prigionieri. Questo potrebbe rivelarsi uno degli sviluppi più spaventosi nell’Asia sud-occidentale da quando gli Stati Uniti hanno abbandonato l’Afghanistan ai talebani nel 2020-’21.

Gli attacchi terroristici e i gruppi terroristici raramente nascono dal nulla. Al contrario, sono spesso il prodotto della socializzazione di persone vulnerabili nel corso di un periodo di tempo considerevole. È quindi importante essere vigili sui processi di incubazione del terrorismo, e un paese che dovrebbe essere fonte di crescente allarme è l’Afghanistan sotto il controllo dei talebani.

Indottrinamento della gioventù

L’incubazione di atteggiamenti mentali distruttivi ha una lunga storia. Nel febbraio del 1921, nella Russia bolscevica, fu emanato un decreto per istituire una “Commissione per il miglioramento della vita dei bambini” (Komissiia po uluchsheniiu zhizni detei). Si trattava in parte di una risposta all’elevato numero di orfani in circolazione conseguenza della guerra civile russa, ma aveva anche una dimensione più sinistra. Il primo presidente della Commissione, Feliks Dzierżyński, era anche il capo della polizia segreta del regime, la Čeka, e col tempo la Commissione divenne l’incubatrice di una nuova generazione di sostenitori del regime. In questo senso, fu un precursore della creazione, da parte dei successivi regimi autocratici, di istituzioni che avrebbero socializzato i giovani secondo i loro modi di pensare: tra queste, la Lega dei Giovani Comunisti (Kommunisticheskii soiuz molodezhi, o Komsomol) in URSS e la Gioventù Hitleriana (Hitlerjugend) e la Lega delle Ragazze Tedesche (Bund Deutscher Mädel) nella Germania nazista.

Il potenziale dirompente della gioventù radicalizzata non fu solo un fenomeno europeo; si manifestò in modo evidente nella forma delle Guardie Rosse in Cina alla fine degli anni ’60, durante l’apice della “Grande Rivoluzione Culturale Proletaria”. C’era una logica cupa in queste iniziative; come avrebbe detto Sant’Ignazio di Loyola, “Datemi il bambino fino a 7 anni e vi mostrerò l’uomo”.

Un paese che non sfuggì a questo problema fu l’Afghanistan. Dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel dicembre 1979, il regime fantoccio sovietico adottò il precedente dei bolscevichi del 1921 e, il 5 settembre 1981, fu istituito un organismo chiamato “Casa Famiglia della Patria” (Parwareshgah-i Watan), il cui primo direttore fu il dottor Najibullah, capo della polizia segreta del regime. Con l’obiettivo di creare una “classe di giannizzeri”, sovrintendeva all’invio di orfani in URSS per l’addestramento e alcune famiglie, temendo un più ampio programma di allontanamenti forzati, fuggirono dal paese per impedire che anche i loro figli venissero selezionati per l’invio.

Uno sviluppo ancora più pericoloso si stava delineando oltre confine, in Pakistan, dove milioni di rifugiati afghani si erano rifugiati in seguito all’invasione sovietica. Gli orfani dei campi profughi venivano reclutati in collegi islamici radicali ( madrase ) dove ricevevano una  vera dose di ideologia religiosa.

All’epoca questo non fu molto considerato: persino il materiale didattico fornito dagli Stati Uniti tendeva a enfatizzare l’idea della lotta religiosa ( jihad ) come strumento motivazionale contro l’URSS. A lungo termine, tuttavia, i laureati di queste madrase costituirono truppe d’assalto chiave del movimento talebano, che dal 1994 fu promosso dal Ministro degli Interni pakistano e dall’Inter-Services Intelligence Directorate (ISI) come strumento per bloccare la crescita dell’influenza indiana in Afghanistan.

L’estremismo dei Talebani si è manifestato in tutta la sua potenza durante l’occupazione di Kabul, dal 1996 al 2001, ed è riemerso con forza dopo che gli Stati Uniti hanno abbandonato i loro alleati afghani filo-occidentali, firmando alle loro spalle un accordo di uscita con i Talebani il 29 febbraio 2020. Sebbene l’attenzione si sia ora decisamente spostata dall’Afghanistan – un teatro umiliante di cui pochi politici occidentali vogliono parlare – i pericoli derivanti dalla presa del potere da parte dei Talebani sono ancora molto concreti, non da ultimo a causa della loro lunga storia di utilizzo del terrorismo e per l’accoglienza dei vari altri gruppi terroristici. E uno dei pericoli maggiori deriva dal desiderio dei Talebani di formare una nuova generazione socializzata nel loro modo di pensare estremista.

Esplosione di madrase

Mentre alcuni attivisti hanno cercato di sostenere che l’Afghanistan sia ingiustamente oppresso dalle sanzioni occidentali e dal congelamento dei beni della banca centrale detenuti negli Stati Uniti, i Talebani non hanno avuto difficoltà a mobilitare risorse per una massiccia espansione del numero di madrase nel paese. Si tratta di un fenomeno senza precedenti nell’Asia sudoccidentale dall’esplosione numerica delle madrase nella provincia del Punjab, nel vicino Pakistan, all’inizio degli anni ’90, che ha alimentato anni di feroce violenza settaria in quel paese.

Un organismo indipendente dal nome inquietante, “Direzione Generale delle Scuole Jihadiste” ( Riasat-e umumi-i madaras-e jehadi ), è stato istituito all’interno del Ministero dell’Istruzione dei Talebani. Secondo la Direzione, attualmente in Afghanistan ci sono 6830 madrase , di cui non meno di 5618 istituite dopo presa del potere da parte dei Talebani. Come i pesantren più radicali in Indonesia che hanno generato gruppi come gli attentatori di Bali, il sistema “educativo” dei talebani si sta configurando come una fabbrica di estremismo. Il pericolo più ampio di tali sistemi radicalizzati è che possono sfuggire di mano, producendo laureati con ambizioni più oscure e più espansive di quanto persino i loro insegnanti avrebbero potuto immaginare o prevedere. La potenziale minaccia che ciò rappresenta – non solo per le minoranze vulnerabili in Afghanistan, come gli Hazara, prevalentemente sciiti, i Panjsheri, perseguitati di recente, e gli attivisti democratici, ma per il mondo in generale – non dovrebbe essere sottovalutata.

Il numero di nuove madrase è di per sé preoccupante, ma diventa ancora più allarmante se si considera l’approccio più ampio dei Talebani ai contenuti del curriculum. Come riflesso della mentalità anti-occidentale dei Talebani, persino le scuole che insegnavano un curriculum moderno sono costrette a eliminare componenti cruciali per far spazio all’ideologia religiosa talebana.

Un percorso alternativo per le ragazze?

Naturalmente, l’aspetto dell’approccio dei Talebani all’istruzione che ha attirato maggiore attenzione è stata l’esclusione delle ragazze dall’istruzione secondaria o universitaria, un aspetto cruciale della loro più ampia politica di apartheid di genere. Questo ha indotto alcuni a ipotizzare che le madrase femminili potrebbero aprire un percorso alternativo all’istruzione femminile. Ciò che ha ricevuto meno attenzione, tuttavia, è il modo in cui i Talebani hanno modificato il curriculum anche per le scuole di base che le ragazze possono ancora frequentare, rifocalizzandoli specificamente sul tipo di dottrine religiose sunnite a cui i Talebani aderiscono.

E mentre nel breve periodo l’apertura delle madrase alle ragazze più grandi potrebbe superficialmente sembrare una via di fuga dalla situazione di tipo carcerario che molte sopportano, a lungo termine potrebbe consolidare l’ espansione dell’estremismo negli ambienti domestici. Mentre alcune figure talebane mandano ipocritamente le proprie figlie all’estero per studiare, la misoginia della leadership talebana a Kandahar è radicata e profonda, ed è illusorio pensare che le madrase offrano una via di mezzo sulla strada del ritorno alle pari opportunità. Al contrario, le madrase non sono assolutamente la soluzione al problema di garantire un adeguato accesso all’istruzione alle ragazze in Afghanistan.

Ciò non dovrebbe sorprendere. Si dimentica troppo facilmente che i Talebani – noti prima dell’agosto 2021 per i loro attacchi terroristici contro insegnanti e studenti nelle università afghane, nonché per la distruzione di scuole nelle aree rurali – non hanno alcun interesse nei confronti di forme moderne e pluraliste di educazione critica. Quando i sostenitori propongono di cercare un impegno con i Talebani attraverso misure come l’assistenza ai Talebani nel pagamento degli stipendi degli insegnanti, dovrebbero prima chiedersi cosa insegnerebbero tali insegnanti.

Una cosa dovrebbe essere chiara: per gli Stati occidentali, sovvenzionare inavvertitamente o inconsapevolmente la diffusione dell’ideologia talebana sarebbe sia l’ignominia definitiva dopo anni trascorsi a fraintendere le intenzioni dei Talebani, sia una fonte di reale pericolo per il futuro.

 

Il professore emerito William Maley , AM, FASSA, FAIIA è autore di Rescuing Afghanistan (2006), What is a Refugee? (2016), Transition in Afghanistan: Hope, Despair and the Limits of Statebuilding (2018), Diplomacy, Communication and Peace: Selected Essays (2021) e The Afghanistan Wars (2021), ed è coautore (con Ahmad Shuja Jamal) di The Decline and Fall of Republican Afghanistan (2023).

Questo articolo è pubblicato con licenza Creative Commons e può essere ripubblicato citandone la paternità.

L’intervento di Belquis Roshan alla conferenza stampa presso la Camera dei deputati

Belquis Roshan, Cisda, 28 aprile 2025

Saluto le amiche del CISDA, le mie compagne in Italia, e gli onorevoli membri Parlamento italiano, che hanno consentito lo svolgersi dell’incontro odierno.

Rappresento le donne dell’Afghanistan e apprezzo il vostro impegno e senso di responsabilità per aver voluto far sentire il grido di chi sottostà alle leggi del governo più medievale, misogino e malvagio della storia. Vi sono immensamente grata per avermi invitata all’evento di oggi. Le donne afgane, da quasi quattro anni, sono sotto l’ombra sinistra dei talebani; la loro libertà è repressa con le pratiche più barbare.

I governi occidentali, in particolare quello degli Stati Uniti, hanno tradito il popolo e le donne dell’Afghanistan consentendo ai talebani, quattro anni fa, di riprendere il potere. I talebani ricevono segretamente sempre più sostegno finanziario e diplomatico, e questo garantisce la continuazione del loro regime degenerato. Gli interessi strategici ed economici dei governi occidentali in Afghanistan hanno la netta prevalenza rispetto al destino del popolo, specialmente delle donne. La maggior parte di questi governi, e anche le Nazioni Unite, si dicono preoccupati per i diritti delle donne in Afghanistan, ma non hanno simpatia per il nostro popolo e hanno fatto accordi vergognosi con i terroristi talebani.

In questa situazione, qualsiasi voce si alzi da parte delle forze libere e progressiste dei paesi del mondo, specialmente dell’Occidente, a sostegno delle donne afghane è lodevole e preziosa. Avete fatto il vostro dovere umano e di base, diventando così buoni amici delle donne afghane.

Ciò che accade alle donne afghane non è soltanto sotto la categoria “gender apartheid”. Contro le donne vengono commessi crimini brutali e barbarie, le donne non sono considerate esseri umani, sono private di tutti i diritti e non possono svolgere alcuna attività sociale. Non solo il lavoro e l’istruzione sono vietati. La maggior parte delle ragazze viene privata della scuola e deve sottostare alle leggi maschili, e in molti casi, le ragazze sono costrette a una vita terribile.

I talebani, come tutti i gruppi fondamentalisti e aggressivi, vogliono cancellare le donne, la metà della popolazione, confinandola in casa, in modo che per l’altra metà della popolazione, gli uomini, sia più facile reprimerle e ridurle in schiavitù. Ma la maggior parte delle donne afghane si è finora opposta ai talebani in vari modi, le donne non si sono arrese.

Avete fatto molto per riconoscere l’apartheid di genere contro le donne afghane e avete creato un documento prezioso. Questi sforzi, pur non avendo un impatto diretto e duraturo sulla situazione delle donne afghane sono un esempio di solidarietà del popolo occidentale, e dimostrano che, a differenza dei loro governi, ci sono persone che nutrono una sincera simpatia e mostrano solidarietà nei confronti delle donne afghane. In questi quattro anni, le donne afgane hanno cercato di fare sentire la loro voce nella maggior parte dei paesi in cui sono presenti amici come voi, speriamo che in questa lotta sarete i primi, speriamo che il vostro governo riconosca l’apartheid di genere.

Sappiamo che anche se l’apartheid di genere verrà riconosciuto questo non impedirà ai governi occidentali di cooperare con i talebani. Nella pratica vediamo che i governanti guerrafondai dell’Occidente non hanno minimamente rispettato le leggi e i trattati universali che hanno firmato, e li hanno calpestati ogni volta che avevano necessità di tutelare i loro interessi. In molti casi abbiamo visto che non hanno rispettato e hanno fatto carta straccia delle risoluzioni dell’ONU. Proprio adesso, con lo sgomento e la rabbia di tutti coloro che vedono ciò che accade, il fascista Netanyahu, il macellaio di un popolo sofferente, nonostante sia stato emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti da parte della Corte penale internazionale, ha viaggiato tranquillamente in Europa, e nessun governo europeo osa alzare la voce contro questo criminale di guerra.

Questi sono i giochi dei governanti occidentali con i diritti umani. E nel mondo sono molti gli esempi di queste pratiche. Serajaldin Haqqani, il leader degli attentatori suicidi e assassino del popolo afghano, che gli Stati Uniti avevano messo nella lista nera, mettendo una taglia di milioni di dollari per la sua cattura, negli scorsi tre anni ha viaggiato liberamente nei paesi arabi per fare accordi vergognosi con i paesi occidentali e con gli Stati Uniti. Sapeva che in seguito i suoi crimini sarebbero stati perdonati dal suo alleato americano.

Ma se il vostro lavoro darà buoni frutti e l’apartheid di genere dei talebani verrà riconosciuto come tale, sarà un risultato prezioso per l’alleanza globale in difesa delle donne afghane e incoraggerà le donne afgane a proseguire la loro lotta per i diritti contro il fondamentalismo e il terrorismo talebano. Il successo di questo lavoro dimostrerebbe che c’è una distanza profonda tra i governi oppressivi e il popolo occidentale che ama la libertà.

Devo però mettere in guardia i veri amici delle donne oppresse dell’Afghanistan: gli Stati Uniti, l’Occidente e le sue istituzioni hanno cercato negli ultimi quattro anni di introdurre un certo numero donne che si fanno passare come rappresentanti delle donne afghane e promuovono invece gli interessi degli stati imperialisti. Tra queste Fawzia Kofi, Habiba Sarabi, Sima Samar, Mahboubeh Seraj, Fatemeh Gilani, Shakriyeh Barakzai Shahrzad Akbar e altre, che sono manovrate dall’intelligence occidentale e cercano di deviare la lotta delle donne afghane dal cammino per la libertà. Durante i colloqui di Doha, in cui il potere è stato restituito ai talebani, queste donne erano tra i lobbisti che hanno favorito il ritorno al potere di questi criminali sanguinari.

Sono stata con alcune di queste donne per molti anni in Afghanistan perché facevo parte del parlamento, so che queste sono le nemiche delle donne oppresse e hanno fatto dei diritti delle donne uno strumento per raggiungere le proprie mire ambiziose. Ma poiché sono diventate competenti e capaci, l’America e l’Occidente ne hanno beneficiato per oltre vent’anni. Sono certa che in occasione di importanti conferenze mondiali, presso le Nazioni Unite e il Parlamento europeo, e ovunque esse abbiano degli interessi, verranno assegnati loro premi internazionali. Nessuna di loro rappresenta le donne afghane; rappresentano solo l’imperialismo e i governi occidentali, quindi non hanno posto nella lotta per la liberazione delle donne. Anche alcune delle donne che ho citato parlano di apartheid di genere, ma bisogna essere consapevoli che c’è una differenza tra voi e loro. Voi, con la formalizzazione dell’apartheid di genere, dovreste anche denunciare e prendere una posizione chiara contro il sostegno ai fondamentalisti talebani e dei jihadisti da parte dell’imperialismo in modo che la vostra campagna sia distinta dalla loro e mostri la vostra reale volontà di difendere le donne afghane. Dovreste essere molto decise.

Qui voglio sottolineare un altro punto importante, anche se va al di là del disastro afghano. Quando si tratta di tutelare i propri interessi gli stati imperialisti del mondo non esitano ad allearsi con fascisti e fondamentalisti massacratori di popoli; parlo ad esempio dell’orribile genocidio del regime sionista di Israele a Gaza, parlo dell’aver portato al-Qaeda e ISIS al potere in Siria, oggi guidata da Jolani, parlo delle guerre in Yemen, Iraq, Ucraina condotte grazie alle armi e al sostegno finanziario delle potenze mondiali. È una necessità storica e politica incredibilmente importante che i movimenti decoloniali dichiarino che l’imperialismo, il fondamentalismo e il terrorismo sono facce della stessa medaglia e pericolosi nemici dell’umanità; fino a quando non ci sarà un’alleanza globale e popolare contro questi gravi pericoli il futuro dell’umanità e del pianeta sarà a rischio.

Vi invito a creare questa alleanza. Infine vi chiedo, in quanto rappresentanti del popolo italiano nel parlamento, di unire il popolo italiano e le donne afghane nella lotta contro l’apartheid di genere in Afghanistan. Non dimenticate la lotta contro i fondamentalisti e non lasciate che il governo dei talebani in Afghanistan sia riconosciuto dai vostri governi.

Ancora una volta, stringo la mano del vostro onorevole e umano sostegno e mi inchino a ciascuno di voi per il vostro lavoro e la vostra solidarietà con le donne oppresse dell’Afghanistan. Viva l’unità dei popoli del mondo.

Belquis Roshan, ex parlamentare dell’Afghanistan è ora rifugiata in Europa

OCALAN: PROPOSTE PER UNA SOLUZIONE POLITICA

labottegadelbarbieri.org  Gian Luigi Deiana 21 aprile 2025

La proposta di pacificazione di Abdullah Ocalan

La primavera kurda segna giorno dopo giorno, in questo anno sempre più oscuro, tracce di luce molto significative e importanti:

a febbraio si è riunito a Bruxelles il tribunale permanente per il diritto dei popoli, e negli stessi giorni Abdullah Ocalan, dal carcere turco nel quale è recluso da ventisei anni, rendeva pubblico il manifesto per la “soluzione politica” della questione kurda;

a marzo la complessa situazione siriana vedeva da un lato l’intensificazione della guerra sporca del governo turco sulle componenti curde ed alawite, con bombardamenti e stragi, e dall’altro la crescente volontà di composizione pacifica della nuova realtà del mosaico;

e infine, in questi giorni di aprile, la conferenza tenuta a roma proprio sul tema della “soluzione politica” ha potuto offrire in tempo reale una attenta e fiduciosa ponderazione della situazione: non solo in tempo reale, nello svolgersi delle vicende presenti, ma soprattutto, nella vasta pluralità delle voci, la forte significatività delle “voci interne” del mondo kurdo, e del rojava in particolare;

di qui il messaggio, con la forza di un appello universale, transita alla giornata mondiale della pace, prevista per il 1 settembre: e dunque proviamo a riflettere su come arrivarci; per semplificare questa riflessione ricorrerò qui alla sottolineatura di alcuni concetti essenziali, sui quali si sono soffermati tutti gli interventi della conferenza romana;

– coerenza: il messaggio del presidente Ocalan non è frutto di una opzione estemporanea: tutta la monumentale opera di scrittura carceraria, ormai più che ventennale, è indirizzata a questo fine: la cessazione delle ostilità e la costruzione della società democratica;

– sociologia della libertà: l’opera teorica del presidente Ocalan non è circoscritta alla situazione kurda e non è temporizzata sulla storia recente: è in senso pieno una “visione del mondo”, che ricomprende la storia della civiltà dalle prime formazioni mesopotamiche all’orizzonte attuale, e che è compresa nel senso di una “sociologia della libertà” finalmente svincolata dagli idoli più recenti e più tragici della storia: il nazionalismo e lo stato;

– prassi: il messaggio del presidente Ocalan, pur interno a questa ampia e profonda riflessione teorica, si propone essenzialmente per la sua realizzabilità pratica: non tanto come enfasi della “pace”, quanto piuttosto come prassi della “pacificazione”; egli stesso, nel rivendicare a se stesso questo indirizzo (che comporterebbe in primo luogo la fine della lotta armata) lo assume come propria “responsabilità storica”; una dichiarazione così solenne, nella scrittura di un carcerato, indica che egli stesso non è semplicemente un filosofo della pace, ma intende se stesso, e invita tutti a questo intendimento, intende se stesso come “incarnazione” concreta della costruzione della pacificazione;

– soluzione politica: il percorso della pacificazione non è mai facile: quanto più facile e scontata e duratura è stata la guerra, tanto più difficoltosa e creativa e paziente deve essere la pacificazione; quindi tutti gli attori in campo devono riconoscersi vicendevolmente; ne deriva che il popolo kurdo, in quanto riconosce il presidente Ocalan come proprio irrinunciabile rappresentante, pone come primo passaggio della “soluzione politica” la sua liberazione.

– jnealogie: la “scienza della donna”, o la ricomposizione della visione del mondo sulla liberazione dell’universo femminile, è la condizione essenziale dell’intero processo; il presidente Ocalan considera la processualità storica sotto il segno della “lunga durata”; e non vi è alcuna possibilità di “lunga durata” senza la primarietà attiva dell’universo femminile;

– coralità: la partecipazione alla conferenza “politica” di Roma, come peraltro la partecipazione alla sessione “giuridica” di Bruxelles, è stata appassionata ma soprattutto “corale”; ciò non era affatto scontato, laddove si consideri che i convenuti, circa quattrocento in ambedue le occasioni, provenivano da situazioni disparate sia in Kurdistan, sia in Europa; quindi con intuibili disparità di analisi e di giudizio; e tuttavia nel succedersi delle ore il discorso ha preso la forma di un discorso profondamente condiviso; ed è questa disposizione corale, in fondo, ciò continua nel tempo a dare garanzia di continuità e di apprendimento pedagogico, ovvero anche di interiorizzazione, del pensiero del presidente Ocalan.

La Russia sdogana i talebani: via libera a un ambasciatore del governo afghano a Mosca

ilfattoquotidiano.it 24 aprile 2025

Alla base la pronuncia della Corte Suprema russa che ha rimosso il movimento islamista dall’elenco delle organizzazioni terroristiche

La decisione è arrivata dopo un incontro tra l’inviato del Cremlino in Afghanistan, Zamir Kabulov, l’ambasciatore russo a Kabul, Dmitry Zhirnov, e il ministro degli Esteri talebano Amir Khan Muttaqi e il ministro degli Interni Sirajuddin Haqqani. Alla base la pronuncia della Corte Suprema russa che sei giorni fa ha rimosso il movimento talebano dall’elenco delle organizzazioni dichiarate terroristiche in Russia, un altro importante passo simbolico. E così, ora, gli estremisti islamici che governano a Kabul potranno nominare un ambasciatore a Mosca. Una nuova misura volta ad accelerare il riavvicinamento in atto tra Russia e Kabul, che è isolato sulla scena internazionale. “La parte russa ha deciso di elevare il livello della rappresentanza diplomatica dell’Afghanistan a Mosca a quello di ambasciatore“, ha affermato il ministero degli Esteri russo in una nota, precisando che questa misura segue la “decisione della Corte suprema russa di porre fine al divieto delle attività del movimento talebano”.

Afghanistan, tanto fondamentalismo scarsa sanità

Enrico Campofreda dal suo Blog 2 aprile 2025

Senza dottori, senza personale sanitario, strutture e spesso senza cure. Accade nell’Emirato Islamico dell’Afghanistan dove la popolazione subisce i doppi effetti della presa di potere talebano dall’estate 2021 e dell’embargo internazionale al regime. Anno dopo anno i vertici del potere interno hanno limitato e poi impedito il lavoro femminile negli ospedali e nei centri sanitati che sono drasticamente diminuiti per il graduale taglio di fondi operato dai Paesi occidentali che applicano sanzioni al governo fondamentalista. Di fatto le province afghane negli ultimi quattro anni registrano un dimezzamento di quest’impianti, passati da tremila a millecinquecento. Con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca gli aiuti statunitensi all’estero, non solo verso l’Afghanistan, sono stati bloccati e la popolazione dell’Emirato ha perso altre 206 unità sanitarie. Tali restrizioni, unite al considerevole numero di medici che aveva abbandonato il Paese già con la salita al potere dei taliban, costringe le madri a spostamenti su distanze sempre maggiori per curare e sottoporre a profilassi varie, come l’antipolio, neonati e figli minori. Viaggi resi difficoltosi non solo dalle carenze di vie e mezzi di trasporto, ma dalle imposizioni sostenute dal Gotha dei turbanti stretto attorno alla Guida Suprema Akhundzada. Suo l’obbligo della presenza del mahram (un parente maschio) durante spostamenti significativi delle donne, fattore non sempre di facile soluzione che va a discapito della finalità del movimento e blocca volutamente il mondo femminile in casa e nei luoghi d’origine. I rigidi princìpi della Shari’a con cui i ‘duri e puri’ del movimento talebano negano da tempo l’occupazione femminile in uffici, scuole, centri sanitari oltre a inibire un diritto – limitato ma parzialmente fruibile coi governi sostenuti dall’occupazione Nato – crea oggettive carenze nelle attività di assistenza indispensabili alle figure più deboli: malati, bambini, anziani. Nell’ultimo studio proposto dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (l’organismo che la linea trumpiana perseguita e vuole smantellare) proprio le donne afghane in generale, dunque non solo le anziane, risultano le più penalizzate. I dati del 2023 calcolavano che su 15 milioni di donne residenti solo 4 milioni hanno potuto ricevere assistenza. Così il genere femminile lamenta un calo dell’aspettativa di vita, costellata peraltro di malattie. Statistiche sempre del 2023 stilate dall’Organizzazione mondiale per la sanità mostrano per le donne un calo medio di due anni, da 63,2 a 61. Le carenze sanitarie si potrebbero essere abbattute sullo stesso Akhundzada, sempre schivo nell’apparire pubblicamente, ma da troppo tempo in disparte. Un’infezione al Covid 19 nel periodo più acuto della pandemia lo dava malato e si è avanzata l’ipotesi d’un suo decesso tenuto comunque celato per non destabilizzare il gruppo di comando stretto attorno a due altri duri: i ministri dell’Interno Sirajuddin Haqqani e quello della Difesa Mohammad Yaqoob. Ciascuno ha alle spalle clan potentissimi, gli Haqqani vicini alle madrase deobandi pakistane, mentre Yaqoob, figlio maggiore del defunto mullah Omar, imparentato al ceppo pashtun dei Ghilji gruppo di potere radicatissimo nelle province di Kandahar e Zabol. Al di là della storia che li fa temibili guerrieri, la dinastia Hotak dei Ghilji è di strada e di casa a Quetta, la città pakistana dove si riunisce la più importante Shura talebana. E’ lì che prese avvìo il movimento degli studenti-combattenti svezzati da Omar. Sunniti di scuola hanafita, sono fra gli islamici più dogmatici e intransigenti e, al di là delle diatribe interne con cui s’è detto che Omar non morì per infezione ma per una fronda organizzata da Mansoor, a sua volta ucciso da un drone statunitense, chi prende in mano la guida talebana assume posizioni oltranziste per tradizione. S’era ipotizzata una direzione più morbida con Abdul Baradar, detenuto per otto anni in Pakistan e liberato su richiesta statunitense proprio durante il primo mandato di Trump, ma dopo un incarico da vice primo ministro, il suo astro nel nuovo Emirato s’è offuscato. Comandano i fondamentalisti.

Nella fotografia: Donne Afghane con i loro bambini siedono nel reparto colera  dell’ospedale Mirwais a Kandahar il 19 luglio, 2022. (Photo by Javed TANVEER / AFP)

Come i tagli agli aiuti hanno messo in ginocchio il fragile sistema sanitario afghano

Anan Tello, Arab News, 6 aprile 2025

A causa dei drastici tagli agli aiuti esteri, il sistema sanitario afghano è sull’orlo del collasso: si prevede che l’80 percento dei servizi supportati dall’Organizzazione mondiale della sanità chiuderà entro giugno, mettendo a rischio l’accesso alle cure mediche essenziali per milioni di persone.

La chiusura improvvisa dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, che un tempo forniva oltre il 40 percento di tutti gli aiuti umanitari alla nazione povera di 40 milioni di abitanti, ha inferto un colpo devastante a un sistema sanitario già fragile.

Il ricercatore ed esperto di sanità pubblica, il dott. Shafiq Mirzazada, ha affermato che, sebbene sia troppo presto per dichiarare che il sistema sanitario afghano sia al collasso, le conseguenze dei tagli agli aiuti sarebbero gravi per “l’intera popolazione”.

“I finanziamenti dell’OMS sono solo una parte del sistema”, ha dichiarato ad Arab News, sottolineando che il settore sanitario afghano è interamente finanziato dai donatori attraverso l’Afghanistan Resilience Trust Fund, noto come Afghanistan Reconstruction Trust Fund prima di agosto 2021.

Istituito nel 2002 dopo l’invasione guidata dagli Stati Uniti, l’ARTF sostiene lo sviluppo internazionale in Afghanistan. Da quando i talebani hanno riconquistato Kabul nell’agosto 2021, il fondo si è concentrato sulla fornitura di servizi essenziali attraverso agenzie delle Nazioni Unite e organizzazioni non governative.

Le strutture sanitarie costrette a chiudere

Secondo l’OMS, la carenza di finanziamenti dovuta ai tagli agli aiuti esteri ha già costretto numerose strutture sanitarie in tutto l’Afghanistan a ridurre i servizi o addirittura a chiudere, con le persone più vulnerabili che ne hanno pagato il prezzo più alto. (Documento AFP)
Tuttavia, questo approccio ha faticato a soddisfare le crescenti esigenze, poiché la stanchezza dei donatori e le sfide politiche hanno aggravato la carenza di finanziamenti.

“Una parte significativa dei finanziamenti viene destinata a programmi sanitari tramite l’UNICEF e l’OMS”, ha detto Mirzazada, riferendosi al Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia. “L’UNICEF canalizza i fondi principalmente attraverso il progetto di Risposta alle Emergenze Sanitarie”.

Ma anche questi sforzi si sono rivelati insufficienti, poiché le strutture chiudono a un ritmo allarmante.

Secondo gli esperti, senza un intervento urgente, altre 220 strutture potrebbero chiudere entro giugno, lasciando altri 1,8 milioni di afghani senza cure primarie, in particolare nelle regioni settentrionali, occidentali e nordorientali.

Le chiusure non rappresentano solo ostacoli logistici, ma rappresentano una questione di vita o di morte per milioni di persone.

“Le conseguenze si misureranno in termini di vite umane perse”, ha affermato in una nota Edwin Ceniza Salvador, rappresentante dell’OMS in Afghanistan.

Queste chiusure non sono solo numeri in un rapporto. Rappresentano madri che non possono partorire in sicurezza, bambini che non ricevono vaccini salvavita, intere comunità lasciate senza protezione da epidemie mortali.

Donne e bambini pagano il prezzo più alto

A pagare il prezzo più alto della crisi sanitaria in Afghanistan sono le popolazioni più vulnerabili, tra cui le donne incinte, i bambini che necessitano di vaccinazioni e coloro che vivono in campi profughi sovraffollati, dove sono esposti a malattie infettive e prevenibili con i vaccini.

Poiché il sistema sanitario afghano è fortemente incentrato sull’assistenza materna e infantile, Mirzazada ha affermato: “Qualsiasi interruzione colpirà principalmente donne e bambini, comprese, ma non limitate a, malattie prevenibili con i vaccini, nonché servizi prenatali, per il parto e postnatali.

“Stiamo già assistendo a delle difficoltà, con epidemie di morbillo nel Paese. Il numero di decessi per morbillo è in aumento.”

Questa tendenza sarà aggravata dal calo dei tassi di vaccinazione.

“I bambini saranno esposti a più malattie man mano che la copertura vaccinale continua a diminuire”, ha affermato Mirzazada.

“Possiamo già osservare una riduzione della copertura vaccinale. L’Afghanistan Health Survey 2018 ha mostrato una copertura vaccinale di base del 51,4%, mentre la recente Multiple Indicator Cluster Survey condotta dall’UNICEF mostra che è scesa al 36,6% nel 2022-23.”

IN CIFRE:
• 14,3 milioni di afghani necessitano di assistenza medica

• 126,7 milioni di dollari di finanziamenti necessari per l’assistenza sanitaria

• 2 2,9 milioni di afghani necessitano di aiuti urgenti per accedere all’assistenza sanitaria, al cibo e all’acqua pulita.

Solo nei primi due mesi del 2025, l’OMS ha registrato oltre 16.000 casi sospetti di morbillo, tra cui 111 decessi.

Ha avvertito che, con i tassi di immunizzazione estremamente bassi (51% per la prima dose del vaccino contro il morbillo e 37% per la seconda), i bambini erano esposti a un rischio maggiore di malattie prevenibili e di morte.

Nel frattempo, le ostetriche hanno segnalato condizioni disastrose nelle strutture rimanenti del Paese. Le partorienti arrivano troppo tardi per interventi salvavita a causa della chiusura delle cliniche.

Le donne e le ragazze sono quelle che pagano in modo sproporzionato il prezzo di questi problemi di salute, in gran parte a causa delle politiche dei talebani.

Le restrizioni alla libertà di movimento e di occupazione delle donne hanno fortemente limitato l’accesso all’assistenza sanitaria, mentre i divieti all’istruzione per donne e ragazze hanno praticamente eliminato la formazione per le future operatrici sanitarie.

La formazione ostetrica è un’emergenza

A dicembre, i talebani hanno chiuso tutte le scuole di ostetricia e infermieristica.

Wahid Majrooh, fondatore dell’Afghanistan Center for Health and Peace Studies, ha affermato che la mossa “minaccia la capacità del già fragile sistema sanitario afghano” e viola gli impegni internazionali in materia di diritti umani.

Ha scritto sulla rivista Lancet Global Health che “se non affrontata, questa restrizione potrebbe creare un precedente per altri contesti fragili in cui i diritti delle donne sono compromessi”.

“L’Afghanistan sta affrontando una crisi multiforme caratterizzata da tassi allarmanti di povertà, violazioni dei diritti umani, instabilità economica e stallo politico, che colpisce soprattutto donne e bambini”, ha affermato l’ex ministro della salute afghano.

Alle donne vengono negati i loro diritti fondamentali all’istruzione, al lavoro e, in larga misura, all’accesso al più alto standard raggiungibile di salute fisica e mentale. Il divieto delle scuole di ostetricia limita l’accesso delle donne alla salute, erode la loro capacità di agire nelle istituzioni sanitarie e sradica i modelli di riferimento femminili.

Majrooh ha descritto il divieto di formazione in ostetricia e infermieristica come “un’emergenza di sanità pubblica” che “richiede un intervento urgente”.

L’Afghanistan sta affrontando una delle crisi umanitarie più gravi al mondo: 22,9 milioni di persone, circa la metà della popolazione, necessitano di aiuti urgenti per accedere all’assistenza sanitaria, al cibo e all’acqua pulita.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, carenze critiche di finanziamenti e ostacoli operativi mettono ora a repentaglio il sostegno a 3,5 milioni di bambini di età compresa tra 6 e 59 mesi affetti da malnutrizione acuta, mentre i gruppi umanitari devono affrontare le sfide interconnesse del collasso economico, degli shock climatici e delle restrizioni imposte dai talebani.

Le province di Kabul, Helmand, Nangarhar, Herat e Kandahar sono quelle che subiscono il peso maggiore, rappresentando complessivamente il 42% dei casi di malnutrizione del Paese. Di conseguenza, le organizzazioni umanitarie faticano a soddisfare i bisogni dei bambini malnutriti, con i recenti tagli agli aiuti esteri che hanno costretto Save the Children a sospendere i programmi salvavita.

L’organizzazione benefica con sede nel Regno Unito ha chiuso 18 strutture sanitarie e rischia la chiusura di altre 14 se non verranno reperiti nuovi finanziamenti. Queste 32 cliniche hanno fornito cure intensive a 134.000 bambini solo a gennaio, tra cui alimentazione terapeutica e vaccinazioni, ha dichiarato l’organizzazione in un comunicato.

“Con un numero di bambini che hanno bisogno di aiuti mai così alto, interrompere ora gli aiuti salvavita è come cercare di spegnere un incendio con un tubo che finisce l’acqua”, ha affermato Gabriella Waaijman, direttrice operativa di Save the Children International.

Oltre alla crisi alimentare, l’Afghanistan sta combattendo contro epidemie di malaria, morbillo, dengue, poliomielite e febbre emorragica Congo-Crimea. L’OMS ha affermato che senza strutture sanitarie funzionanti, gli sforzi per controllare queste malattie sarebbero gravemente compromessi.

“Deserti sanitari”

Il rischio potrebbe essere maggiore tra le comunità di sfollati interni. Quattro decenni di conflitto hanno causato ripetute ondate di sfollamenti forzati, sia all’interno dell’Afghanistan che oltre i suoi confini, mentre le ricorrenti catastrofi naturali hanno aggravato la crisi.

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR, circa 6,3 milioni di persone restano sfollate all’interno del Paese, vivendo in condizioni precarie e senza accesso a un alloggio adeguato o ai servizi essenziali.

Le deportazioni di massa hanno aggravato la crisi. Oltre 1,2 milioni di afghani di ritorno da paesi vicini come il Pakistan nel 2024 sono ora ammassati in campi di fortuna con scarse condizioni igienico-sanitarie. Questo ha alimentato epidemie di morbillo, diarrea acquosa acuta, dengue e malaria, ha dichiarato l’UNHCR a ottobre.

A causa dell’accesso limitato all’assistenza sanitaria, anche altre malattie si stanno diffondendo rapidamente.

Le infezioni respiratorie e il COVID-19 sono in aumento tra i rimpatriati, con 293 casi sospetti rilevati ai valichi di frontiera all’inizio del 2025, secondo il rapporto di emergenza dell’OMS di febbraio.

Sono aumentati anche i casi di infezioni respiratorie acute, tra cui la polmonite, con 54 casi segnalati, principalmente in bambini di età inferiore ai 5 anni.

L’OMS ha affermato che i rimpatriati che si stabiliscono in aree remote si trovano ad affrontare “deserti sanitari”, dove le cliniche sono chiuse da anni e dove non ci sono canali di aiuti.

La scarsità d’acqua in 30 province aggrava i rischi di diarrea acquosa acuta, mentre la contaminazione da ordigni esplosivi e gli incidenti stradali causano casi di trauma che mettono in crisi le strutture con personale insufficiente.

L’ONU potrebbe intervenire

Mirzazada ha affermato che “sebbene l’ARTF disponga di alcuni fondi, questi non saranno sufficienti a sostenere il sistema a lungo termine”.

Per impedire il collasso del sistema sanitario afghano e garantire il funzionamento dei servizi, ha esortato le autorità talebane del Paese a contribuire al suo finanziamento.

“In passato i contributi governativi sono stati molto limitati e ora lo sono ancora di più”, ha affermato.

Tuttavia, la politica sanitaria recentemente elaborata per l’Afghanistan prevede finanziamenti interni per il sistema sanitario. Se ciò dovesse concretizzarsi con le autorità attuali o future, potrebbe contribuire a prevenire il collasso.

Ha inoltre invitato le nazioni islamiche e arabe ad aumentare i loro sforzi di finanziamento.

“Storicamente, i paesi occidentali sono stati i principali finanziatori dell’ARTF”, ha affermato Mirzazada. “I maggiori contributori sono stati gli Stati Uniti, la Germania, la Commissione Europea e altre nazioni occidentali.

I paesi islamici e arabi hanno contribuito molto poco. La situazione potrebbe cambiare e i finanziamenti potrebbero comunque essere erogati tramite il sistema delle Nazioni Unite, poiché le ONG continuano a fornire servizi per conto dei donatori e del governo.

“Questo approccio potrebbe restare in vigore finché non verrà istituito un sistema sanitario solido, finanziato internamente”.

Groenlandia e Afghanistan: frontiere nella corsa ai minerali essenziali

I minerali essenziali sono considerati strategicamente cruciali per le economie moderne e si ritiene che la Groenlandia e l’Afghanistan siano ricchi di riserve inutilizzate

Alex Gendler, VOA News, 7 marzo 2025

Proprio come le scoperte di riserve di combustibili fossili hanno contribuito a plasmare il XX secolo, la corsa ai minerali essenziali sta plasmando il XXI. Questi minerali sono considerati strategicamente cruciali per le economie moderne, compresi quelli utilizzati nell’edilizia, nell’energia e nella produzione manifatturiera, in particolare per i semiconduttori e altre applicazioni tecnologiche.

La localizzazione e l’estrazione delle risorse minerarie hanno spesso giocato un ruolo fondamentale nelle relazioni geopolitiche ed economiche. Oggi, l’attenzione mondiale si sta spostando su due luoghi ritenuti ricchi di riserve inutilizzate, ma l’accesso a ciascuno di essi presenta sfide specifiche.

Afghanistan

Situato all’intersezione di molteplici placche tettoniche, la geologia dell’Afghanistan ha dato origine a giacimenti minerari estesi e diversificati. Storicamente, il suo territorio è stato una fonte primaria di rame e oro, nonché di gemme e pietre semipreziose, in particolare il lapislazzuli, una pietra apprezzata per il suo intenso colore blu.

Oggi, si stima che l’Afghanistan detenga riserve minerarie per un valore di quasi 1.000 miliardi di dollari. Queste includono 60 milioni di tonnellate di rame, 183 milioni di tonnellate di alluminio e 2,2 miliardi di tonnellate di minerale di ferro. L’oro viene estratto artigianalmente nelle province settentrionali e orientali, mentre il nord montuoso ospita preziosi giacimenti di marmo e calcare utilizzati nell’edilizia.

Anche la China National Petroleum Corporation pompa petrolio nel nord, sebbene l’Afghanistan non abbia una capacità di raffinazione interna e dipenda da paesi vicini come Turkmenistan, Iran e Kirghizistan per il carburante.

Tuttavia, la maggior parte dell’attenzione internazionale è rivolta agli altri giacimenti metallici dell’Afghanistan, molti dei quali sono cruciali per le tecnologie emergenti. Tra questi, cobalto, litio e niobio, utilizzati nelle batterie e in altri dispositivi elettronici. Le riserve inesplorate di litio del Paese potrebbero persino superare quelle della Bolivia, attualmente le più grandi al mondo.

L’Afghanistan ospita anche importanti giacimenti di terre rare come il lantanio, il cerio e il neodimio, utilizzati per magneti e semiconduttori, nonché per altre applicazioni manifatturiere specializzate.

Un ostacolo all’estrazione mineraria afghana è il suo territorio, considerato l’ottavo più montuoso al mondo. Ma la sicurezza è stata un ostacolo ben più grande. Nel contesto dell’instabilità politica seguita alla prima caduta dei talebani nel 2001, molte miniere di pietre preziose e rame operavano illegalmente sotto il comando di militanti locali. Con i lavoratori pagati pochissimo e il prodotto contrabbandato per essere venduto nel vicino Pakistan, il popolo afghano traeva scarsi benefici da queste operazioni di estrazione.

Da quando hanno ripreso il potere nel 2021, i Talebani, desiderosi di sfruttare le ricchezze minerarie del Paese e di incrementare le esportazioni, sono ostacolati dalla mancanza di riconoscimento diplomatico e dalla loro designazione come gruppo terroristico da parte di diverse nazioni. La situazione, tuttavia, sta iniziando a cambiare, poiché alcuni Paesi stanno instaurando di fatto relazioni diplomatiche.

Nel 2024, il Ministero delle Risorse del governo talebano ha annunciato di aver ottenuto investimenti da Cina, Qatar, Turchia, Iran e Regno Unito. La Cina, prima nazione ad accreditare un ambasciatore nominato dai talebani, dovrebbe svolgere un ruolo importante nelle industrie estrattive afghane nell’ambito della Belt and Road Initiative.

Tuttavia, poiché i giacimenti appena scoperti richiedono in media 16 anni per trasformarsi in miniere operative, sfruttare il potenziale minerario dell’Afghanistan richiederà molti investimenti e tempo, sempre che si riesca a risolvere in qualche modo le questioni politiche e di sicurezza.

Groenlandia

Per milioni di anni, la Groenlandia è stata per lo più ricoperta da una calotta glaciale, abitabile solo lungo le zone costiere. Nonostante alcune esplorazioni petrolifere e di gas offshore, la pesca e la caccia alle balene sono rimaste le principali attività non governative.

Ora, con il ritiro dei ghiacci dovuto al cambiamento climatico, l’interno ghiacciato della grande isola offre nuove opportunità di estrazione di risorse minerarie inutilizzate. Tra queste, metalli più comuni come rame e oro, oltre a titanio e grafite. Ma, come altrove, l’interesse per i giacimenti groenlandesi di minerali critici per la tecnologia è ancora maggiore.

Si stima che il territorio autonomo danese contenga giacimenti di 43 dei 50 minerali designati dagli Stati Uniti come cruciali per la sicurezza nazionale. Tra questi figurano le ricercatissime terre rare, oltre ad altri metalli con applicazioni tecnologiche come il vanadio e il cromo.

Attualmente, la maggior parte delle terre rare mondiali viene estratta in Cina, rendendo i giacimenti della Groenlandia vitali per i paesi che cercano di ridurre la dipendenza dalle importazioni cinesi. Questa importanza strategica è uno dei fattori che hanno spinto il presidente degli Stati Uniti Donald Trump a proporre l’acquisto della Groenlandia dalla Danimarca.

Il governo della Groenlandia ha rilasciato quasi 100 licenze minerarie ad aziende come KoBold Metals e Rio Tinto. Tuttavia, si tratta principalmente di attività di esplorazione, con solo due miniere attualmente operative nel paese. Portare una miniera in produzione può richiedere anche un decennio, perché comporta diverse sfide specifiche.

Uno di questi ostacoli è il forte movimento ambientalista della Groenlandia, che è riuscito a chiudere i progetti minerari per motivi di sicurezza. Le terre rare rappresentano un problema particolare, perché devono essere estratte da altri minerali, un processo che può causare sprechi e inquinamento. Nel sito di Kvanefjeld, a sud, i metalli dovevano essere estratti dal minerale di uranio, finché il timore di inquinamento radioattivo non ne ha imposto il divieto.

Il ritiro dei ghiacci e il riscaldamento climatico hanno facilitato l’estrazione non solo svelando più territorio, ma anche estendendo i possibili orari di lavoro e facilitando la navigazione. Tuttavia, l’ambiente rimane ostile e inospitale e l’isola soffre di una carenza di infrastrutture, con poche strade o centrali elettriche al di fuori dei principali insediamenti. Ciononostante, il governo della Groenlandia considera l’industria mineraria un importante strumento di sviluppo economico.

Conclusione

Plasmati sia dalla politica che dalla geografia, la Groenlandia e l’Afghanistan sono diventati due importanti frontiere nella corsa globale per i minerali essenziali. Quali parti avranno l’opportunità di beneficiare delle loro risorse dipenderà dall’interazione tra potenza militare, economia e diplomazia.

Trump e l’uovo: il vero potere è dei piccoli e dei molti

Younus Negah, Zan Times, 18 aprile 2025
A Donald Trump piace fare grandi cose: sconvolge i mercati globali con dazi senza precedenti, vuole fare del Canada il 51° stato e sogna di conquistare la Groenlandia e Gaza. Essendo l’uomo più potente del mondo, vuole il mondo nelle sue mani.

Il presidente degli Stati Uniti è un esempio estremo di coloro che ignorano il potere dei piccoli e dei molti, cercando invece di sminuirli e sfruttarli. Non è il solo. Il mondo ha sempre avuto persone potenti che pensano in grande. Oggi, migliaia di individui simili a Trump siedono ai vertici di aziende, governi e istituzioni potenti. Alcuni di loro credono di avere missioni sovrumane per trasformare il mondo e trascinare irreversibilmente i paesi verso i loro destini immaginari.

Persone di questo tipo governano in Russia, Corea del Nord, Turchia, Iran e ora anche negli Stati Uniti. Persino nel nostro piccolo e povero Afghanistan, una persona simile siede a Kandahar, impantanata nella palude della regressione e protesa verso il cielo. Considera le regole terrene e le esigenze umane del popolo afghano – come il desiderio di pane, scuola e libertà – come banali e prive di valore. Nell’immagine che si è costruito, appare persino più visionario di Trump, presentando il suo seggio a Kandahar come il centro della terra e il pilastro del cielo e della religione.

Dietro quelle maschere di grandezza si celano esseri umani vulnerabili, che portano con sé preoccupazioni e difficoltà reali, come tutti noi. Il mullah Hibatullah può sembrare immerso in sogni di jihad e conquista globale, ma trascorre lunghe ore a contare, gestire e distribuire denaro che arriva da Kabul al suo ufficio attraverso minacce e manipolazioni. È profondamente preoccupato per l’infiltrazione di attentatori suicidi senza scrupoli nella sua residenza, e le ambizioni dei rivali lo tengono sveglio la notte.

Piccoli e grandi problemi

Anche Trump è profondamente coinvolto nelle questioni quotidiane e nelle pressioni dei piccoli e dei grandi. Quando salì al potere a gennaio e si crogiolò nel controllo delle persone più potenti degli Stati Uniti, milioni di polli in tutto il Paese furono macellati dopo essere stati infettati dall’influenza aviaria. Nei corridoi della Casa Bianca, polli e uova erano diventati argomento di conversazione, insieme a nomi come Elon Musk, Canada e Groenlandia.

A febbraio, i rapporti affermavano che le aziende avicole erano state costrette ad abbattere 166 milioni di polli nel tentativo di contenere l’epidemia. Ciò ha gravemente interrotto le forniture di uova a livello nazionale. Solo nei primi due mesi di quest’anno, sono morte 30 milioni di galline ovaiole. Il prezzo delle uova, che era rimasto relativamente stabile a meno di 2 dollari la dozzina prima che l’influenza aviaria prendesse piede, è salito oltre i 3 dollari nel 2024, per poi raggiungere il picco a marzo di quest’anno, superando i 6,20 dollari la dozzina.

Questi costi apparentemente piccoli e insignificanti sono diventati un problema in tutti gli Stati Uniti a causa dell’enorme portata della carenza di uova. Se ne è parlato molto di più nelle case, nei negozi e agli angoli delle strade rispetto allo spostamento di centinaia di miliardi di dollari tra i giganti economici americani.

Mentre Trump umiliava l’Europa inviando il suo vicepresidente, J.D. Vance, a parlare con disprezzo ai suoi stretti alleati alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco e dichiarando la sua intenzione di impossessarsi della Groenlandia, un territorio autonomo della Danimarca, ordinava ad altri funzionari dell’amministrazione di rivolgersi alla Danimarca e a diversi altri paesi europei per acquistare uova.

Una richiesta del genere di esportare uova europee in America ci ricorda che non sono le spacconate e le vanterie dei potenti, ma piuttosto le azioni e le reazioni dei piccoli e dei molti a determinare il corso della storia. Il futuro dell’America sarà plasmato non tanto dalle bugie e dalla spavalderia di Trump, quanto dalle tavole di centinaia di milioni di americani e da quante uova potranno permettersi di comprare. Dietro ogni grande trasformazione, sono le mani dei molti a plasmarla.

Concentrandosi sui punti decimali della società

Il mullah Hibatullah è circondato da carri armati e armi da fuoco a Kandahar, mentre lui e la sua cerchia di uomini armati sono avvolti nell’illusione di svolgere un ruolo storico. Vede il popolo del paese come sudditi ignoranti, incapaci di distinguere il bene dal male. Con il suo “Emirato”, è determinato ad accecare gli occhi, assordare le orecchie e intorpidire le menti della gente, plasmandone decine di milioni come cera per adattarle alla forma delle sue fantasie.

Di recente, ha nuovamente dichiarato di essere così giusto e sicuro nell’esecuzione dei suoi decreti disumani da non temere né il crollo del suo regime né di perdere la testa. Questa arroganza e questa falsa certezza sono esattamente ciò che garantisce la caduta del suo emirato. Non è certo se la sua testa rimarrà sulle sue spalle fino alla fine del suo regno. Nulla può sostituire il sostegno popolare: le persone possono sembrare impotenti e insignificanti su base individuale, ma il loro malcontento supera quello di qualsiasi emiro, governo o partito quando si ribellano a milioni.

Una nuova materia fu aggiunta al programma scolastico della nostra terza media: economia. L’insegnante parlava spesso di produzione, consumo, domanda e offerta, cercando di familiarizzarci con i principi fondamentali dei mercati e del commercio. Un giorno, parlò dell’importanza delle cifre decimali e dei numeri piccoli. Scrisse degli esempi alla lavagna per mostrarci quanto anche le cifre più piccole siano importanti, soprattutto quando sono moltiplicatori. “Nei cambi valutari”, disse, “prestate molta attenzione ai decimali”.

La politica e la società non sono diverse. I governanti che ignorano i numeri decimali della società – quelle piccole ma potenti cifre – falliscono nelle loro missioni. Se gli oppositori dei talebani, soprattutto i resti dell’ex repubblica, cercano una nuova opportunità politica in Afghanistan, devono riflettere sulle disastrose conseguenze del trascurare la fiducia e la partecipazione del pubblico. Devono ricominciare, questa volta riconoscendo il ruolo vitale del sostegno popolare.

Younus Negah è un ricercatore e scrittore afghano attualmente in esilio in Turchia