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Autore: CisdaETS

I talebani provano ad uscire dall’isolamento internazionale aiutando l’Europa a rimpatriare i migranti indesiderati

ilfattoquotidiano.itGiovanni Panzeri 7 ottobre 2025

Un ruolo lo sta giocando la Cina, che punta all’estrazione del petrolio con un accordo da 150 milioni di dollari, e il progetto della ferrovia Trans-Afgana

Da quando i talebani sono tornati al potere, dopo il ritiro delle truppe statunitensi nel 2021, l’Afghanistan è sottoposto ad uno stretto blocco diplomatico, giustificato ufficialmente dalla pesante repressione del dissenso interno e dei diritti civili, in particolare quelli delle donne, messa in atto dalla leadership integralista dopo aver preso il controllo del paese. L’imposizione del blocco, che prevede pesanti sanzioni economiche, ha reso il governo talebano un pariah a livello internazionale ma ha anche acuito la crisi umanitaria causata da decenni di guerra civile e occupazione militare. Il 2025 tuttavia si sta dimostrando un anno di svolta nei tentativi afgani di rompere l’isolamento diplomatico. Facendo leva sull’importanza delle rotte commerciali che legano l’oriente all’Europa e al continente africano e sulla volontà di deportare migliaia di migranti afgani da parte di diversi paesi europei, i talebani sono riusciti a scalfire l’isolamento internazionale allacciando numerose relazioni diplomatiche, sia di natura ufficiosa che ufficiale.

Le tensioni sui migranti aprono porte europee – I paesi europei sono apparentemente fermi nel condannare il regime talebano e la maggior parte delle ambasciate afgane in Europa rimangono fedeli al governo precedente. Tuttavia alcune nazioni europee hanno deciso di aprire relazioni bilaterali di basso livello con i talebani per permettere la deportazione di richiedenti asilo afgani dal loro territorio, anche a causa delle crescenti pressioni esercitate da emergenti partiti di estrema destra sui rispettivi governi. In particolare la Germania ha recentemente accolto due inviati talebani incaricati di seguire le procedure di deportazione, e, secondo il Washington post, ha tagliato fuori diversi diplomatici afgani fedeli al vecchio governo seguendo le indicazioni di Kabul. Anche Svizzera e Austria hanno accolto rappresentanti del governo talebano, il cui compito è di aiutare ad identificare i migranti destinati alla deportazione. “L’Austria sta collaborando con Germania, Svizzera, altri partner in Europa e nella regione (i talebani) per risolvere la questione- ha dichiarato il ministero dell’interno Austriaco al Financial Times – il nostro obiettivo è rimpatriare in particolare criminali che non hanno diritto di soggiornare in Europa”.

La situazione in Asia – La Russia è stata la prima, e per adesso l’unica, nazione a riconoscere ufficialmente la legittimità del governo talebano ma quest’ultimo ha recentemente stretto una serie di importanti accordi commerciali e di sviluppo con le potenze regionali confinanti. Tra questi il più importante è l’accordo stretto con Uzbekistan e Pakistan nel 2023 per la costruzione della ferrovia Trans-Afgana. Il progetto, prevede l’investimento di quasi 5 miliardi di dollari su 640 km di ferrovia che collegheranno la città uzbeka di Temerz al porto pakistano di Karaki, attraversando appunto il territorio controllato dai talebani. Il progetto è particolarmente caldeggiato dalla Cina, che vede il territorio afgano come un fondamentale snodo della Nuova via della Seta (Belt and Road Initiative). L’influenza di Pechino è stata anche fondamentale nel riavvicinare Afghanistan e Pakistan, che lo scorso maggio hanno deciso di scambiarsi ambasciatori, dopo un periodo di tensioni dovuto al supporto di alcune formazioni terroristiche in territorio pachistano da parte del governo afgano. La Cina inoltre sta investendo parecchio nello sfruttamento delle risorse del paese, per esempio chiudendo, sempre nel 2023, un accordo che prevede l’investimento di 150 milioni di dollari all’anno nell’estrazione di petrolio dalle regioni settentrionali del paese. Anche l’Iran ha recentemente deciso di espandere il valore degli scambi commerciali con i talebani, da 3,5 a 10 miliardi di dollari.

Non per caso Cina, Russia, Pakistan e Iran lo scorso 24 settembre hanno firmato una dichiarazione comune in sostegno dell’indipendenza afgana, rispondendo al tentativo di Trump di riaprire la base militare Usa di Bagram, dichiarando di essere pronti ad espandere la cooperazione economica e commerciale con il governo talebano. Una dimostrazione del fatto che il muro diplomatico costruito dagli Usa attorno all’Afghanistan si sta lentamente sgretolando si può dedurre anche dall’accoglienza ufficiale riservata a delegazioni di funzionari talebani da alcuni dei principali partner degli Stati Uniti nel continente asiatico, come gli Emirati Arabi e il Giappone.

L’Afghanistan è tutt’oggi un paese diplomaticamente isolato, ma le cose stanno cambiando rapidamente ed è possibile che una maggiore apertura diplomatica riesca ad indurre il governo fondamentalista a moderare alcune delle politiche interne più repressive come l’ostracizzazione sociale e lavorativa delle donne, la repressione della libertà di espressione e l’imposizione di educazione e leggi basate esclusivamente sulla sharia.

 

 

 

Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite istituisce un organismo per indagare sulle violazioni dei diritti umani in Afghanistan

amu.tv 6 ottobre 2025

Lunedì il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione storica che istituisce un meccanismo indipendente per indagare sulle gravi violazioni dei diritti umani in Afghanistan, comprese quelle commesse sotto il regime dei talebani.

La risoluzione, presentata dall’Unione Europea e adottata all’unanimità, mira a raccogliere e preservare le prove di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e altri gravi abusi. Estende inoltre il mandato del relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Afghanistan, il cui lavoro di monitoraggio integrerà il nuovo organismo.

Secondo Human Rights Watch, il meccanismo si concentrerà sui continui abusi dei talebani contro donne e ragazze, che secondo gli esperti in materia di diritti umani costituiscono una vera e propria persecuzione di genere. Documenterà le violazioni, identificherà i responsabili e preparerà fascicoli a supporto di potenziali procedimenti giudiziari presso tribunali nazionali e internazionali.

“I Paesi del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite hanno inviato insieme un forte messaggio di determinazione a garantire che i responsabili di gravi crimini internazionali in Afghanistan, ora o in passato, un giorno affrontino la giustizia”, ​​ha affermato Fereshta Abbasi, ricercatrice di Human Rights Watch sull’Afghanistan. “È fondamentale che il nuovo meccanismo diventi operativo al più presto”.

La decisione è il frutto di quattro anni di attività di sensibilizzazione da parte di organizzazioni per i diritti umani afghane e internazionali. Ad agosto, HRD+, una rete di difensori dei diritti umani afghani, supportata da oltre 100 organizzazioni, ha rinnovato la sua richiesta per la creazione dell’organismo investigativo.

Il nuovo meccanismo avrà un mandato ampio, simile a quello dei meccanismi investigativi delle Nazioni Unite per la Siria e il Myanmar, esaminando le violazioni commesse dai talebani, dagli ex funzionari governativi, dai signori della guerra, dalle forze internazionali e dai gruppi armati non statali.

Si prevede che esaminerà i leader talebani, i governatori e i funzionari provinciali accusati di tortura, detenzione arbitraria e negazione sistematica dei diritti delle donne, tra cui l’accesso all’istruzione, al lavoro e alla libertà di movimento.

L’Unione Europea ha descritto l’adozione come un “passo significativo” verso la responsabilità. “Adottando la risoluzione all’unanimità, gli Stati membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite hanno inviato un forte messaggio contro i doppi standard in materia di giustizia”, ​​ha affermato Abbasi.

La risoluzione incarica inoltre il Segretario generale delle Nazioni Unite di accelerare la creazione del meccanismo e di garantire che inizi a funzionare nonostante i vincoli finanziari delle Nazioni Unite.

Richiede una stretta collaborazione con la Corte penale internazionale (CPI), che ha emesso mandati di arresto per due alti funzionari talebani con l’accusa di crimini contro l’umanità per persecuzione di genere.

“I membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite hanno inviato un messaggio chiaro alle vittime, alle loro famiglie e a tutti coloro che lottano coraggiosamente per la giustizia in Afghanistan: le loro voci sono state ascoltate”, ha affermato Abbasi. “Le Nazioni Unite devono garantire che questo meccanismo diventi operativo il prima possibile”.

Un Tribunale popolare per le donne dell’Afghanistan

Redazione CISDA, 7 ottobre 2025

Nei giorni 8, 9 e 10 ottobre 2025 a Madrid avrà luogo la sessione del Tribunale Popolare per le Donne dell’Afghanistan presso il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP), un’iniziativa volta ad affrontare l’impunità legata alla persecuzione di genere in Afghanistan.
Nei giorni scorsi è stata definita la composizione del collegio di giudici che presiederà le udienze [scarica il programma e segui la diretta streaming a questo link].

Il Tribunale ascolterà le dichiarazioni dei pubblici ministeri, insieme alle testimonianze delle donne afghane sopravvissute e alle prove degli esperti, per esaminare il sistema di persecuzione di genere dei Talebani e valutarlo alla luce del diritto internazionale.

Guidata da organizzazioni della società civile afghana – Rawadari, AHRDO (Afghanistan Human Rights and Democracy Organization), DROPS (Organization for Policy Research & Development Studies) e HRD+ (Human Rights Defenders Plus) – questa iniziativa fornisce una piattaforma fondamentale per documentare le violazioni, amplificare le voci delle sopravvissute e sollecitare l’assunzione di responsabilità.

La giuria riunisce eminenti giuristi, accademici e avvocati provenienti da tutto il mondo. Tra loro figurano giuristi costituzionalisti, professori di diritto internazionale, esperti di diritti umani, studiosi islamici e giornalisti che hanno dedicato la loro carriera alla promozione della giustizia di genere, alla difesa dei diritti umani e al dare voce a coloro che sono stati messi a tacere da conflitti e repressione. Le loro competenze combinate coprono la giustizia di transizione, il diritto penale internazionale, i diritti delle minoranze, la libertà di stampa e i diritti delle donne a livello nazionale e globale.

Amplificare le voci delle donne afghane

Come hanno spiegato le quattro associazioni per i diritti umani che hanno richiesto l’avvio di questa procedura, data la devastante situazione dei diritti umani di donne e ragazze in Afghanistan e le crescenti restrizioni, vi è un’urgente necessità di risarcimento per la società civile afghana.

Oltre ai processi giudiziari formali, è stato fondamentale coinvolgere un meccanismo complementare e di base per amplificare le voci delle donne afghane e chiamare i talebani a rispondere delle proprie azioni.

Perciò nel dicembre 2024 hanno presentato una richiesta al Tribunale permanente dei popoli (PPT) con sede a Roma, in Italia, per istituire un Tribunale popolare che ascolti e affronti i crimini internazionali, i crimini contro l’umanità e le gravi violazioni dei diritti umani contro le donne e le ragazze in Afghanistan.

Riconoscendo la grave situazione dei diritti umani e la sistematica sofferenza delle donne e delle ragazze afghane, il Tribunale permanente dei popoli ha approvato la richiesta nel febbraio 2025, concordando di tenere un’udienza nell’ottobre 2025 per esaminare le violazioni dei diritti umani commesse dai talebani. E in questi giorni il processo avrà luogo.

Il Tribunale Permanente dei Popoli è stato scelto in quanto organismo internazionale stimato e permanente, dotato di notevole autorevolezza. E’ stato istituito sulla base della Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli, adottata ad Algeri nel 1976. È riconosciuto a livello mondiale come un’autorità importante e credibile, grazie ai suoi illustri esperti internazionali, che riflettono il più alto livello professionale e la più elevata competenza nell’attirare l’attenzione globale sui diritti delle persone e sul sostegno alle vittime.
Alla luce di questi fattori, le decisioni emesse da questo tribunale svolgeranno un ruolo significativo nell’attirare l’attenzione pubblica globale sulle diffuse e gravi violazioni dei diritti delle donne e delle ragazze in Afghanistan. Forniranno inoltre le necessarie raccomandazioni e consulenze, portando a misure efficaci per l’accertamento delle responsabilità e il raggiungimento della giustizia in Afghanistan

Contro il crimine di persecuzione di genere

Il tribunale si concentrerà sui crimini internazionali contro l’umanità di persecuzione di genere, che i Talebani avrebbero commesso contro donne e ragazze in Afghanistan. Inoltre, esaminerà le violazioni da parte dell’Afghanistan degli obblighi internazionali previsti dai trattati relativi ai diritti delle donne e delle ragazze, che i Talebani hanno ignorato e violato, e le implicazioni globali. Infine, il tribunale indagherà a fondo sulle violazioni dei diritti delle donne e delle ragazze afghane dal punto di vista degli insegnamenti islamici. Questa indagine coprirà il periodo dal 15 agosto 2021 a oggi.

Queste questioni sono state individuate per essere sottoposte all’esame del Tribunale a causa della continua e crescente commissione di crimini e violazioni dei diritti umani contro donne e ragazze in Afghanistan e dell’urgente necessità di accertare le responsabilità di queste diffuse violazioni che hanno avuto effetti profondi, duraturi e irreparabili su donne e ragazze e, di conseguenza, sull’Afghanistan stesso. L’unica soluzione è porre fine a questa situazione assicurando i responsabili alle loro responsabilità.

Condurre queste udienze e acquisire esperienza pratica nella progettazione e nell’attuazione dei tribunali popolari offrirà inoltre alle organizzazioni della società civile afghana l’opportunità di organizzare futuri tribunali popolari su altre violazioni dei diritti umani, passate o in corso.

Innescare trasformazioni

Inoltre, fornendo le necessarie raccomandazioni, il Tribunale può promuovere azioni efficaci per l’assunzione di responsabilità e il raggiungimento della giustizia nel Paese. Sebbene le sue decisioni non siano giuridicamente vincolanti o esecutive, possono innescare trasformazioni e cambiamenti fondamentali in Afghanistan, portando ad avere:

• un quadro documentato e credibile della situazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze in Afghanistan, garantendo che le voci e le richieste delle vittime non vengano dimenticate.

• una pressione diplomatica sui decisori di vari Paesi e organizzazioni internazionali affinché adottino misure efficaci e decisive contro i Talebani, includendo il condizionare l’impegno diplomatico e politico alla loro adesione ai principi fondamentali dei diritti umani, in particolare ai diritti e alle libertà delle donne e delle ragazze afghane.

• attraverso le prove e la documentazione raccolte in questo tribunale, una base credibile per avviare o sostenere le indagini in corso da parte di organi giudiziari ufficiali, come la Corte penale internazionale (CPI) e la Corte internazionale di giustizia (CIG), e per dare seguito alle denunce delle vittime nei Paesi terzi.

• un rafforzamento e un’accelerazione dei processi internazionali esistenti per la giustizia e per l’accertamento delle responsabilità per le violazioni del diritto internazionale da parte dei Talebani; inoltre, l’istituzione di nuovi meccanismi per affrontare i crimini contro l’umanità e le violazioni sistematiche dei diritti umani contro le donne e le ragazze afghane che non sono ancora stati attivati.

• un rafforzamento delle capacità delle organizzazioni della società civile nella documentazione sui diritti umani, nell’avvio di altre forme di advocacy e nel garantire l’accertamento delle responsabilità e la giustizia.

Tutto ciò per rafforzare la speranza del popolo afghano, in particolare delle donne e delle ragazze pioniere del nostro Paese, nella lotta civile per porre fine alle sofferenze e alle disuguaglianze esistenti.

 

 

“Eravamo come persone che vivevano nelle caverne”: gli afghani raccontano il blackout di internet

Zan Times, 3 ottobre 2025, di Atia FarAzar*

Hamida vive ad Hairatan, vicino al confine con l’Uzbekistan. La ventiseienne era l’unica tra i miei amici di Facebook in Afghanistan ancora online durante il blackout di 48 ore di internet e telefonia in Afghanistan, iniziato lunedì 29 settembre.

Usa una SIM uzbeka, mi ha spiegato dopo il mio messaggio. I suoi pacchetti dati sono più economici e più difficili da tagliare per i talebani. “Per 500 afghani ho 90 GB di internet”, ha detto, aggiungendo che le aziende afghane di solito fanno pagare 2.099 afghani per 50 GB.

Nonostante fosse connessa, non è riuscita a contattare il suo fidanzato in Badakhshan. “Avevamo pianificato tutto per il nostro matrimonio per telefono, persino gli acquisti tramite videochiamata”, ha raccontato martedì allo Zan Times in un messaggio vocale WhatsApp. “Ma ora non riesco a contattarlo”.

Da lunedì a mercoledì sera, l’Afghanistan ha subito il primo blocco totale delle comunicazioni internet e telefoniche. I talebani non hanno fornito una spiegazione ufficiale, sebbene il portavoce Zabihullah Mujahid abbia smentito un rapporto dell’Associated Press che attribuiva il blocco alla sostituzione di “vecchie linee in fibra ottica”.

Due settimane prima, le autorità talebane avevano iniziato a vietare i servizi in fibra ottica nella provincia di Balkh, affermando che la misura era necessaria per “prevenire i vizi”. Ben presto, altre province hanno fatto lo stesso.

“Le iniziative dei talebani per tagliare l’accesso a Internet danneggiano i mezzi di sussistenza di milioni di afghani e li privano dei loro diritti fondamentali all’istruzione, all’assistenza sanitaria e all’accesso alle informazioni”, ha affermato Fereshta Abbasi, ricercatrice sull’Afghanistan presso Human Rights Watch (HRW), in una dichiarazione del 1° ottobre.

Gli effetti si sono fatti sentire immediatamente in tutto l’Afghanistan. I voli da e per l’aeroporto di Kabul sono stati cancellati. Le aziende che facevano affidamento sui trasferimenti mobili e sulle comunicazioni online sono rimaste paralizzate. Dopo il ripristino di internet mercoledì, un residente di Sheberghan, nella provincia di Jawzjan, ha raccontato l’esperienza allo Zan Times: “Eravamo completamente ciechi, come persone che vivono in una caverna. … Le banche erano chiuse, gli uffici governativi hanno dichiarato che i loro sistemi erano inattivi e i prezzi dei generi alimentari sono aumentati”.

Il blocco ha colpito duramente le donne, che già si trovano ad affrontare un divieto assoluto di accesso all’istruzione secondaria e superiore e al pubblico impiego. Per Asia, una studentessa di giurisprudenza ventenne di Mazar-e-Sharif, il blackout ha improvvisamente interrotto il suo unico accesso all’istruzione. “Quando i talebani hanno chiuso le università, non potevo accettare che i miei studi finissero così”, racconta. “Mi sono iscritta online ed ero al quarto semestre”.

La sua classe è composta da 25 studenti provenienti da tutto l’Afghanistan. Per due giorni, gli schermi sono rimasti spenti. “Non riesco più a sentire le loro voci”, dice. “Ancora una volta, i talebani hanno spezzato il ponte tra le ragazze afghane e i loro sogni. Siamo vive, ma non viviamo”.

HRW ha documentato esperienze simili. Un docente ha riferito all’organizzazione che, su 28 studenti iscritti a un corso online – tra cui 18 donne in Afghanistan – solo nove sono riusciti ad accedere una volta iniziato il blackout.

Il blocco ha anche messo a tacere le comunicazioni tra gli afghani all’interno del Paese e i parenti all’estero, che forniscono un sostegno finanziario ed emotivo fondamentale. Zohra, una ventottenne che vive in Australia, chiama ogni giorno la madre sessantacinquenne a Kabul. Invia anche soldi per l’affitto e le medicine. “L’ultima sera che ci siamo sentiti, mia madre era malata”, racconta. “Le ho detto di non preoccuparsi, che mi sarei presa cura di lei”.

Il panico l’ha presa dopo due giorni in cui non è riuscita a contattare la madre. “Ho pianto così tanto. Non riesco a dormire. Sto allattando il mio bambino, ma la testa mi fa male in continuazione”, racconta Zarmena allo Zan Times. “Non so se mia madre avesse medicine o cibo”.

Per molte donne afghane, il blackout di internet non riguarda solo la perdita di connessioni, ma fa parte di un più ampio schema di esclusione. Scuole, luoghi di lavoro e spazi pubblici sono già stati sottratti alle donne. Le piattaforme online erano tra gli ultimi luoghi in cui potevano studiare, lavorare e parlare. Ora, anche quello spazio fragile è a rischio.

Per più di due anni, Nargis, una studentessa dell’undicesimo anno di Herat, ha studiato inglese online, mantenendo vivo il sogno di continuare gli studi. Il primo giorno di chiusura, era nel bel mezzo di un esame settimanale quando la sua connessione si è improvvisamente interrotta. “Quel momento è stato così difficile e incredibile per me”, ha detto. “Per due giorni sono rimasta in silenzio e isolata, incapace di fare qualsiasi cosa”.

Sua madre era così stressata dopo aver perso i contatti con la sorella maggiore di Nargis in Germania che si ammalò. “Ora ha continui mal di testa”, racconta Nargis.

L’apprendimento online è l’unica speranza che le è rimasta. Nargis ha trascorso quasi due anni a combattere la depressione e la reclusione dopo che i talebani hanno chiuso le scuole alle donne. Ora teme che questa speranza possa svanire. “Se internet rimane bloccato per sempre”, spiega a bassa voce, “ricadrò nella depressione. Ma questa volta non ci sarà via di scampo”.

Ida Osman ha contribuito a questo rapporto.

*Atia FarAzar è lo pseudonimo di una giornalista dello Zan Times.

[Trad. automatica]

Afghanistan, il buio della Rete. I talebani spengono il web

Il manifesto, 1 ottobre 2025, di Giuliano Battiston

Restrizioni Conflitto tra i clerici di Kandahar e i governanti di Kabul, internet se ne va per 48 ore

Dopo due giorni di blocco totale, in Afghanistan le connessioni internet e delle comunicazioni via linea mobile vengono ripristinate progressivamente, ma rimane la volontà censoria e il conflitto politico tra le diverse anime dell’Emirato islamico, il governo dei Talebani riconosciuto soltanto dal governo russo.

IL BLOCCO delle comunicazioni, completo dal pomeriggio di lunedì 29 settembre e fino a ieri pomeriggio, ha causato forti disagi commerciali, l’interruzione dei voli in entrata e uscita dall’aeroporto di Kabul e all’interno del Paese, la paralisi di molti uffici, del sistema bancario già compromesso dall’isolamento e dalle sanzioni, della macchina amministrativa-statuale, di quel sistema sanitario che già sconta mancanza di fondi, di personale, di medicinali, e che la decisione dell’amministrazione Trump di tagliare i fondi Usaid ha ulteriormente indebolito. Al di là dei danni economici, ha provocato un danno psicologico enorme: 42 milioni di persone che non hanno avuto la possibilità di comunicare tra loro, se lontane, né con l’esterno, con quella diaspora che spesso, al di fuori del Paese, invia rimesse e mantiene aperti progetti di educazione per le donne e, tramite internet, quella comunità e unità famigliari rotte da esilio, migrazioni forzate o volontarie.

DUE GIORNI di buio digitale, un vuoto di immagini e parole presto riempiti, però, dal passaggio di bocca in bocca dei rumors. Qualcuno, riportano i media afghani che operano all’estero come Hasht-e-Subh, ha sostenuto che il blocco fosse dovuto al ritorno delle forze statunitensi nella base di Bagram, da cui l’esercito Usa si è ritirato nel maggio 2021 e che il presidente Donald Trump ha detto pochi giorni fa di voler indietro, pena «guai seri» per i Talebani. Altra voce diffusa è quella secondo cui il blocco serviva a permettere l’allontanamento in sicurezza dal ministero degli interni di Sirajuddin Haqqani, il kalifa a capo di una delle fazioni più potenti dell’Emirato e in continuo antagonismo con il leader supremo Haibatullah Akhundzada; per altri, sarebbe servito a oscurare l’incontro che si è tenuto in queste ore a Islamabad, in Pakistan, di una parte dell’opposizione politica al governo di Kabul.

ANCORA UNA VOLTA per capirne qualcosa occorre guardare a sud, a Kandahar, da dove governa Haibatullah Akhundzada, il clerico ortodosso che ha impresso una torsione autarchica al Paese, oltre che repressiva e discriminatoria verso le donne. A lui, alla sua cerchia e al suo braccio operativo, il ministero per la promozione della Virtù e la prevenzione del Vizio, andrebbe ricondotta la decisione, assunta per contrastare la diffusione dell’«immoralità» su internet. La decisione è stata presa da alcune settimane. Il blocco totale – preceduto nel 2022 dal blocco di TikTok, nell’aprile 2024 dall’annuncio di voler bloccare Facebook – fa seguito infatti a diverse settimane di blocchi parziali, iniziati dal nord, dalla provincia di Balkh, importante hub economico e commerciale verso l’Asia centrale, rivendicato dal portavoce del governatore della provincia, Haji Attaullah Said, che sul social X ha scritto: «D’ora in poi, non ci sarà accesso a Internet», confermando poi la decisione all’Associated Press (come riepiloga nel suo blog lo studioso Thomas Ruttig): «Questa misura è stata presa per prevenire l’immoralità». La città di Mazar-e Sharif, capoluogo di Balkh, è stata dunque la prima, già il 16 settembre, ha vedere banche, uffici per i passaporti e uffici doganali, esercizi commerciali temporaneamente offline. Ha fatto seguito, il giorno successivo, la provincia di Kunduz. Da lì è venuta la conferma che di mezzo ci fosse proprio il leader supremo: «A causa del decreto del venerato Amir al-Mominin Sheikh Sahib, che Allah lo protegga, le province della regione di Kunduz (Kunduz, Baghlan, Takhar e Badakhshan) sono state completamente isolate e da ora in poi non ci sarà più alcuna connessione internet via cavo. Questa misura è stata presa per prevenire l’immoralità».

DA ALLORA, parallelamente all’estensione del blocco ad altre province, è cresciuta la pressione sul leader supremo, affinché rinunciasse all’editto: 6 ministri dell’Emirato si sarebbero recati da lui, altre pressioni sarebbero arrivate anche da personaggi di spicco vicini all’emiro, come il governatore della Banca centrale Nur Ahmad Agha, il ministro delle miniere Hedayatullah Badri, il vice ministro degli interni Ibrahim Sadr. Il ripristino progressivo delle comunicazioni nel Paese segnala che Kandahar ha ceduto, Kabul incassa una vittoria. Che però rimarrà parziale e provvisoria, come il compromesso trovato tra le diverse anime dell’Emirato. La volontà censoria e moralizzatrice, ci ha spiegato chiaramente il portavoce del ministero per la Virtù qualche mese fa, rimane fortissima. Tornerà presto a scaricarsi sulla popolazione.

I talebani hanno bloccato internet

Il Post, 30 settembre 2025

Dalle 17 di lunedì in Afghanistan non ci si può più collegare in rete: il regime non ha dato spiegazioni

Lunedì il regime dei talebani, che governa in maniera molto autoritaria l’Afghanistan, ha bloccato la connessione a internet in tutto il paese. Per il momento non sono state date spiegazioni, ma già nelle ultime due settimane era stata sospesa la connessione a fibra ottica in molte parti del territorio nazionale, secondo i talebani per limitare «l’uso improprio di internet» e prevenire «atti immorali». Il regime ha aggiunto che il blocco rimarrà in vigore «fino a nuovo ordine».

Secondo il sito di monitoraggio NetBlocks, il blocco è iniziato alle 17 ora locale di lunedì. Da quel momento è diventato difficile avere notizie aggiornate, anche per i problemi con le linee telefoniche. Le agenzie di stampa internazionali Associated Press e Agence France-Presse hanno entrambe detto di non essere state più in grado di contattare i loro uffici nella capitale Kabul.

Il blocco di internet attuale ha dimensioni enormi e sta riguardando moltissimi servizi e attività economiche, tra cui quelle fornite da banche e amministrazione pubblica. Un commerciante di Kabul ha raccontato che «il mercato è completamente congelato», aggiungendo che «è come una vacanza, sono tutti a casa». Anche diversi voli che dovevano atterrare all’aeroporto di Kabul martedì mattina sono stati cancellati. Mohammad Hadi, un afghano che vive in India dal 2019, ha detto che da lunedì pomeriggio «non è più possibile comunicare con nessuno» in Afghanistan, né capire se le persone rimaste lì «stiano bene o no».

Da quando sono ritornati al potere, i talebani hanno imposto un regime molto restrittivo basato su una visione assai integralista della legge islamica. Tra le altre cose hanno limitato di molto la libertà e i diritti delle donne, che sono state escluse dall’istruzione superiore (molte di loro usavano internet per continuare a studiare, spesso frequentando corsi online tenuti da altre donne afghane all’estero).

Come detto, non si sa il motivo per cui i talebani hanno bloccato internet. In passato alcuni governi avevano bloccato volutamente l’accesso a internet per installare dei filtri da usare per rafforzare la censura sui social network. Era successo l’anno scorso in Pakistan, per esempio. Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, in passato aveva detto che il governo stava pensando alla possibilità di installare filtri che rendessero più facile promuovere la propria ideologia islamista e conservatrice, ma di non essere in grado di farlo per mancanza di soldi.

“Ci ha tenuto vivo il morale”: il blackout di internet dei talebani lascia le ragazze nella disperazione

Zan Times, 23 settembre 2025, di Khadija Haidary

Questo rapporto è stato pubblicato in collaborazione con il Guardian .

Un martedì sera a Kandahar, la diciassettenne Marjaneh* era seduta ansiosamente al computer, in attesa dell’inizio della sua lezione di inglese. Dall’inizio del 2024 aveva seguito le lezioni cinque sere a settimana tramite Google Meet.

Alle 19:00, lo schermo del suo portatile era rimasto nero. Il Wi-Fi di famiglia era saltato presto quel giorno e, per quanto cercasse di aggiornarlo e resettarlo, non funzionava. “Queste lezioni online erano la mia unica fonte di speranza”, ha detto in un’intervista telefonica. “Pensavo che, quando [i talebani] avessero chiuso le scuole, almeno non avrebbero tagliato internet”.

I talebani avevano ordinato la chiusura della fibra ottica in Afghanistan. Il blackout, segnalato per la prima volta lunedì 15 settembre nella provincia di Balkh, si è poi esteso a Kandahar, Helmand, Uruzgan, Nimroz, Zabul, Baghlan, Takhar, Kunduz, Badakhshan, Herat e Parwan.

Molti temono che questa decisione sia il primo passo verso la totale chiusura dell’accesso a Internet per i cittadini afghani. Le restrizioni seguono una direttiva del leader supremo dei talebani, Hibatullah Akhundzada, volta a ” prevenire l’immoralità “. La BBC riporta che la decisione è stata presa due settimane fa durante una “riunione dei governatori” a Kandahar, a cui hanno partecipato Akhundzada e i governatori di Balkh, Kandahar, Nangarhar e Herat.

Una fonte che lavora per un’azienda di telecomunicazioni afghana nel sud dell’Afghanistan ha dichiarato allo Zan Times che i talebani stanno pianificando di estendere il divieto ai servizi internet offerti dalle aziende di telecomunicazioni. Sebbene la connessione internet tramite servizi mobili sia ancora disponibile, i nostri giornalisti sul campo affermano che il segnale si è indebolito.

Ciò che è particolarmente agghiacciante è la tempistica: la decisione coincide con il quarto anniversario del divieto di istruzione imposto dai talebani alle ragazze adolescenti. Da allora, le scuole online sono diventate una delle poche ancora di salvezza per le ragazze afghane escluse dalle aule scolastiche. Per centinaia di migliaia di ragazze e donne, ciò ha significato l’improvviso crollo della loro unica alternativa all’istruzione scolastica e universitaria e al contatto con il mondo esterno.

Marjaneh sperava che l’inglese le sarebbe servito per ottenere una borsa di studio all’estero, un’opportunità per specializzarsi in medicina. Senza Wi-Fi, la sua unica opzione sono i dati mobili: discontinui, costosi e, a Kandahar, vietati alle ragazze che non hanno un parente maschio che compri loro una scheda SIM.

Nella provincia di Takhar, la diciassettenne Maryam* affronta la stessa battaglia. Studiava programmazione, grafica e preparazione al TOEFL tramite un corso online dal gennaio 2025. Quando il Wi-Fi è saltato, è passata al telefono. “La voce dell’insegnante continuava a interrompersi. Per la programmazione è necessaria una connessione stabile al computer; senza, l’intera lezione crolla”.

La sua famiglia pagava 1.100 afghani al mese per il Wi-Fi illimitato. I dati mobili costano il doppio e il pacchetto termina in pochi giorni. “Questa settimana mi sono sentita come durante la caduta di Kabul”, ha detto. “Mi sento senza speranza e tutto ciò che potevo fare era mettere in pratica le vecchie lezioni”.

Da quando i talebani hanno chiuso le scuole secondarie alle ragazze nel 2021 e le università nel 2022, decine di migliaia di persone si sono rivolte all’istruzione online. Le accademie private offrivano corsi di inglese, informatica e arte. Una conferenza della ” Online Women’s University ” afferma di aver iscritto 17.000 studentesse in 15 materie, molte delle quali provenienti dalle camere da letto.

“Non si trattava solo di lezioni”, ha detto Roweida*, studentessa di giurisprudenza di 25 anni nella provincia di Balkh. “Ci teneva alto il morale. Ogni sera ci incontravamo su Google Meet e sentire le nostre voci ci dava speranza. Quando Internet è bloccato, ci siamo sentitie come se ci fosse caduto il mondo addosso”.

La sua docente, Seema*, ha affermato che fino a 120 studenti partecipavano regolarmente ai suoi seminari di economia. “Alcuni riescono ancora a connettersi dall’estero – Pakistan, Iran – ma per la maggior parte, in Afghanistan, è finita. Il danno sarà enorme”.

Per alcune famiglie, il taglio ha interrotto l’istruzione sia della madre che della figlia. A Herat, Noria*, 41 anni, e la figlia quindicenne sono rimaste devastate. “Abbiamo pianto entrambe quando è stato annunciato il divieto del Wi-Fi”, ha detto. “La vita senza internet sembra un incubo. Ho detto a mia figlia: preferirei chiedere l’elemosina in un altro Paese piuttosto che restare in un posto che ci nega ogni possibilità di imparare”.

A Baghlan, Sonia*, 21 anni, che stava partecipando ai corsi di giornalismo online dello Zan Times, dice di sentirsi senza speranza. Lo stipendio del suo unico fratello sostiene la famiglia. “Ho comprato 5 GB di dati per 400 afghani, sono durati due settimane. È impossibile continuare a pagare una cifra così alta.”

Il progetto di fibra ottica in Afghanistan è iniziato nel 2007 con 60 milioni di dollari di finanziamenti da parte di donatori , estendendosi per 9.000 chilometri e collegando 26 province alle reti globali. Entro la fine del 2024, quasi 26 milioni di afghani avevano accesso alle telecomunicazioni, con la fibra ottica che offriva il percorso più veloce ed economico.

Ora, quell’infrastruttura è inutilizzata sotto gli ordini dei talebani. La connessione internet mobile persiste, ma è limitata e costosa, un lusso in un paese dove la disoccupazione è alle stelle e l’insicurezza alimentare colpisce la maggior parte delle famiglie. Etisalat, una delle compagnie di telecomunicazioni attive in Afghanistan dal 2007, offre 25 GB per 999 afghani o 50 GB per 2.099 afghani. Afghan Wireless vende 3 GB per 250 afghani e 20 GB per 999 afghani, mentre i prezzi di Roshan partono da 95 afghani per solo 1 GB, con 20 GB che costano anch’essi 999 afghani. Per le famiglie già al limite, il passaggio dal Wi-Fi domestico illimitato ai dati mobili a consumo raddoppia i costi e riduce drasticamente l’accesso.

Per ragazze come Marjaneh e Maryam, il prezzo non è solo economico, ma esistenziale. “Se continua così”, ha detto Maryam, “non mi diplomerò. Perderò il TOEFL, la programmazione, tutto”.

*I nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità. Khadija Haidary è una giornalista e redattrice dello Zan Times.

[Trad. automatica]

La voce del cuore della Palestina

Rawa, Facebook, 28 luglio 2025

“Umm Saad non è una donna qualunque. Lei è la Palestina stessa, quando siede in una piccola tenda, guarda il volto di suo figlio andato in montagna, e non sa se tornerà mai.

Lei sa che la vita nel campo profughi non è vita. Il pane non è pane. L’acqua non è acqua. Ma dice: restiamo. Se non abbiamo terra, pianteremo spine. Se non abbiamo pietre, costruiremo muri con i nostri corpi.

Lei non legge il giornale. Non le importano i discorsi. Ma quando parla, le sue parole sono più incisive di qualsiasi discorso politico.

Dice:
– Mio figlio è andato a combattere, perché il silenzio è una vergogna e la vita senza dignità è morte.

Dice:
– Non voglio vivere a lungo; voglio solo vedere la vittoria, o morire sulla strada per raggiungerla.

Umm Saad è la voce del campo; quando è arrabbiato, quando ha fame, quando non dorme.

È la voce che dice: la Palestina non è una storia da raccontare, è un fuoco che scorre nelle vene. »

Ghassan Kanafani

 

I talebani chiudono ogni strada all’autosufficienza delle donne

Lima Wardak, 8Am Media,24 settembre 2025

L’Afghanistan sotto il dominio dei talebani è diventato una terra in cui tutto è proibito a donne e ragazze. Di recente, per ordine dei leader supremi del gruppo, l’ultima speranza per le ragazze – continuare gli studi e lavorare online – è stata completamente tolta loro. I talebani sono così ostili alle donne che chiudono ogni via all’autosufficienza e al progresso.

Quando ho saputo che internet era stato interrotto in diverse province dell’Afghanistan, mi sono sentita profondamente sconvolta e ho pensato subito a Kabul. La notizia sconvolgente si è diffusa sui social media di minuto in minuto, moltiplicando la mia preoccupazione. Continuavo a pensare: se questa situazione continua e arriva fino a Kabul, cosa farò? L’unico modo in cui posso studiare, lavorare e, in definitiva, guadagnarmi da vivere è attraverso internet. Ora questa decisione restrittiva dei talebani vanificherà tutti gli sforzi delle ragazze.

All’inizio, quando la notizia del blocco di Internet si è diffusa ovunque, mi sono rifiutata di crederci e ho pensato che fosse una voce, ma purtroppo era vero. È stato allora che ho provato una profonda disperazione. Per quanto tempo dovremo vivere sotto le decisioni arbitrarie di questo gruppo? Ogni porta che apriamo al nostro futuro, loro la richiudono. Nel paese in cui siamo nati, hanno persino tolto a una donna il diritto di respirare. Quanto dovremo aspettare ancora?

Abbiamo tutti visto come recentemente ragazze e donne si siano rivolte al lavoro online. Molte hanno creato negozi online sui social media o avviato altre attività, raggiungendo così l’indipendenza finanziaria. Allo stesso tempo, molte ragazze studiano online a casa, frequentando corsi di lingue straniere, corsi scolastici, corsi di scrittura e altre competenze. Se Internet venisse ulteriormente limitato, molte ragazze sarebbero costrette ad abbandonare gli studi. Io sono una di queste ragazze: oltre ai miei studi, gestisco un negozio online che vende articoli per ragazze, e questo provvede alle mie necessità. Da una settimana giungono brutte notizie sui tagli a Internet in diverse province, e queste notizie hanno suscitato ansia diffusa.

Durante questi quattro anni di governo, i talebani hanno cercato continuamente di impedire a donne e ragazze di svolgere qualsiasi attività. Prima hanno chiuso i cancelli di scuole e università, poi hanno tolto il lavoro alle donne, imposto il tipo di abbigliamento che desideravano, proibito a donne e ragazze di viaggiare, messo a tacere le loro voci, arrestato ragazze con il pretesto di imporre l’hijab, e ora stanno chiudendo l’ultima finestra di speranza, ovvero lo studio e il lavoro online.

Nonostante tutte queste restrizioni, le donne hanno resistito e trovato il modo di continuare a studiare e lavorare, ma i talebani sono sempre stati una spina nel fianco delle ragazze. Noi ragazze afghane abbiamo sofferto molto in questi quattro anni e continuiamo a soffrire, eppure nessuno ascolta la nostra voce. Abbiamo gridato ripetutamente e chiesto la fine dei talebani, ma le nostre voci sono state soffocate. Ora che le nostre libertà si restringono di giorno in giorno, non c’è nessuno che si unisca a noi e protesti ancora una volta contro l’oppressione e l’ingiustizia di questo gruppo.

Abbiamo chiesto solo i nostri diritti fondamentali, ma i talebani non hanno mai ascoltato le nostre richieste. Ora è il momento di opporci a questo gruppo e liberarci dall’ingiustizia che abbiamo subito per quattro anni.

Il leader dei talebani convoca una riunione del governo a Kandahar sulla base aerea di Bagram

Bais Hayat, Amu Tv, 25 settembre 2025

Il leader supremo dei talebani Hibatullah Akhundzada ha convocato i membri del suo gabinetto a Kandahar per delle consultazioni sul futuro della base aerea di Bagram, in seguito ai ripetuti appelli del presidente degli Stati Uniti Donald Trump a rivendicare la struttura, hanno riferito diverse fonti ad Amu.

Le fonti hanno affermato che la riunione del governo è prevista per i prossimi giorni e che gli inviti sono già stati estesi ad alti funzionari talebani. Akhundzada ha già discusso la questione con diversi ministri e con il presidente della Corte Suprema dei talebani, ma, secondo le fonti, ora desidera discussioni più ampie all’interno del governo.

Trump, che ha menzionato pubblicamente Bagram almeno 20 volte da quando è tornato alla Casa Bianca, nelle ultime settimane ha intensificato le richieste per il suo ritorno “immediato”, avvertendo i talebani delle “gravi conseguenze” in caso di rifiuto. La base, un tempo fulcro delle operazioni militari statunitensi in Afghanistan, è stata abbandonata nel luglio 2021 in seguito al ritiro dell’amministrazione Biden.

Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha smentito le affermazioni di Trump secondo cui sarebbero in corso negoziati per la consegna di Bagram. In un’intervista ad Al Arabiya, ha affermato che i recenti colloqui con i funzionari statunitensi si sono concentrati sullo scambio di prigionieri e su questioni economiche, non sulle basi militari.

“Gli afghani non cederanno mai parte del loro Paese a un altro governo”, ha detto Mujahid. “Se l’amministrazione Trump fa una mossa sbagliata, subirà una reazione negativa da parte nostra”.

Mujahid ha aggiunto che, sebbene la retorica di Trump fosse un tempo considerata rivolta al suo rivale politico Joe Biden, la sua recente enfasi suggerisce una strategia statunitense più ampia, legata alla competizione per la sicurezza nazionale con Cina, Russia e Iran.

Gli analisti affermano che qualsiasi tentativo statunitense di riconquistare Bagram non solo riaccenderebbe il conflitto, ma potrebbe anche mettere a nudo le divisioni interne alla leadership talebana. Alcuni ritengono che Washington potrebbe invocare gli accordi di sicurezza firmati con l’ex repubblica afghana per giustificare una rinnovata presenza.

“Gli Stati Uniti controllano già lo spazio aereo dell’Afghanistan”, ha detto ad Amu l’ex ministro degli Interni Mohammad Omar Daudzai. “Se decidessero di atterrare domani, non sarebbe difficile. I talebani e persino i paesi della regione non sarebbero in grado di fermarli”.

Akhundzada ha tenuto incontri di alto livello a Kandahar con importanti esponenti talebani, tra cui il Ministro della Difesa Mohammad Yaqoob Mujahid, il Ministro degli Esteri Amir Khan Muttaqi e il Presidente della Corte Suprema Abdul Hakim Haqqani, per discutere le richieste degli Stati Uniti. Fonti affermano che i leader talebani considerano la questione critica, data sia la pressione internazionale che il peso simbolico di Bagram.

I ripetuti appelli di Trump a Bagram ne sottolineano l’importanza strategica, soprattutto nell’ambito della competizione statunitense con la Cina. I talebani, tuttavia, insistono sul fatto che la base non verrà ceduta e hanno messo in guardia dal ripetere “le esperienze fallimentari del passato”.