Mi chiamo Hoda Khamosh, una donna tra i milioni di donne dell’Afghanistan. Qui non rappresento nessun gruppo politico o fazione. Ho vissuto sotto il dominio talebano per cinque mesi e otto giorni a Kabul. Sono venuta qui su invito del governo norvegese per diffondere il messaggio delle donne afghane che stanno protestando per le strade dell’Afghanistan contro la repressione e il terrore di cui il mondo è responsabile.
Erano chiuse dall’avvento dei talebani al potere da agosto
Le università pubbliche in alcune province afghane hanno riaperto oggi per la prima volta da quando i talebani hanno preso il potere lo scorso agosto: sono ammesse anche le donne che però, secondo le autorità, saranno in aule separate dagli uomini.
Meena Keshwar Kamal (1956-1987) è nata il 27 febbraio 1956 a Kabul. Durante la sua scuola, gli studenti di Kabul e di altre città afghane erano profondamente coinvolti nell’attivismo sociale e nell’ascesa dei movimenti di massa. Nel 1977, mentre era studentessa all’Università di Kabul, Meena ha fondato la Revolutionary Women’s Association of Afghanistan (RAWA), un’organizzazione formata per promuovere l’uguaglianza e l’istruzione delle donne e che continua a “dare voce alle donne private e messe a tacere in Afghanistan”.
Rawanews BBC World Service Yalda Hakim 28 gennaio 2022
In un nuovo documentario le manifestanti hanno detto a Yalda Hakim della BBC di essere state minacciate e spruzzate di peperoncino.
Sheila Dost trattiene le lacrime mentre mi racconta del giorno in cui ha portato i suoi due bambini piccoli a manifestare contro le restrizioni talebane all’istruzione delle ragazze.
Norvegia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e poi Russia, Iran, Qatar, Cina, Pakistan. Nei giorni scorsi la delegazione talebana guidata dal ministro degli Esteri Muttaqi, condotta su un aereo norvegese sino a Oslo, ha discusso con tutti i rappresentanti d’un pezzo di mondo interessato alla crisi umanitaria prima che socio-politica dell’Afghanistan.
Norvegia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e poi Russia, Iran, Qatar, Cina, Pakistan. Nei giorni scorsi la delegazione talebana guidata dal ministro degli Esteri Muttaqi, condotta su un aereo norvegese sino a Oslo, ha discusso con tutti i rappresentanti d’un pezzo di mondo interessato alla crisi umanitaria prima che socio-politica dell’Afghanistan.
Quando il 15 agosto i talebani entrano a Kabul e occupano il palazzo presidenziale, non c’è politico o istituzione che non si dica al fianco delle popolazioni afgane. Terminate le rapide e confuse operazioni di evacuazione che hanno riguardato poche migliaia di personela grandissima parte delle persone che temono ritorsioni e violenze da parte dei nuovi padroni è rimasta bloccata nel paese.
«Fiero che il governo norvegese abbia invitato a Oslo il governo taliban, la società civile e i paesi chiave. E compiaciuto, da veterano, di aver incontrato il facente funzioni ministro degli esteri Amir Khan Muttaqi.
Il progetto ha visto impegnate le associazioni Io Donna, coordinamento donne Anpi, coordinamento donne Spi Cgil, Auser, Fiab, associazione Fr/Azione Tuturano.
Era il 2017 e la delegazione Cisda conobbe una donna che girava per Kabul vendendo libri, il suo nome è Del Jan e questo suo girare per la città continua ancora oggi, nonostante i talebani, per diffondere cultura attraverso i libri. Questo è il racconto di quell’incontro che è anche riportato nel libro “Sotto un cielo di stoffa, avvocate a Kabul” di Cristiana Cella che il Cisda vende.
È un tramonto nuvoloso a Kabul, la luce grigia, opaca. Del Jan si prepara. Sceglie accuratamente dei libri dalla pila alta, nell’ingresso di casa sua, accanto alla scala. Li mette in un grosso zaino e se lo infila in spalla. Altri, li sistema in un grande sacco di plastica rosa. È pronta. Esce e cammina a passo svelto per le strade.
I capelli grigi che s’intravedono appena sotto lo scialle nero, il viso senza età, bello di una compostezza serena, la forza di chi sorregge la propria vita con dignità.
Ha smesso di piovere, Del Jan si appoggia su una sedia, estrae i libri con cura dal sacco. Li tiene sulle braccia perché si vedano meglio, fa un effetto migliore. Entra decisa in un negozio di parrucchiere, li appoggia su un tavolo. Un ragazzo sceglie, contratta, paga due libri. Del Jan riprende la sua strada. Cammina spedita, la pioggia sta ricominciando. Entra in un ristorante, ancora abbastanza vuoto. Mostra la sua preziosa mercanzia. Sono quattro adesso gli uomini che la circondano. Chiedono, parlano, cercano, comprano. Del Jan risponde con competenza. La sua espressione è gentile, impassibile, mentre si mette in tasca i soldi.
Piove forte ora, sulla strada lucida, sulle macchine, nelle pozze di fango, si riflettono le luci colorate delle bancarelle, delle insegne dei negozi. Si sistema meglio lo scialle, rimette la plastica sopra i libri perchè non si bagnino e continua a camminare.
Lo fa da sedici anni, ogni giorno, Del Jan. È il suo mestiere, venditrice ambulante di libri. L’unica donna a Kabul. Il marito è scrittore, così lei può vendere anche le sue opere. Non è stato facile all’inizio. «I primi anni sono stati molto duri per me. La gente mi guardava male, gli uomini mi fermavano, m’insultavano, mi minacciavano. Ma poi, poco a poco, le cose sono cambiate. Ormai mi conoscono e piace a tutti comprarsi un libro. Adesso è diventato normale vedermi girare per la strada e le persone sono gentili, m’incoraggiano nel mio lavoro. Hanno bisogno di me, di qualcosa di nuovo, diverso, per le loro faticose giornate».
Durante la guerra civile, Del Jan era scappata da Kabul, si era rifugiata a Mazar-e-Sharif e poi in Pakistan. A quel tempo, con l’aiuto del figlio più grande, preparava del cibo in casa e lo an- dava a vendere per la strada. Era il 2002 quando è tornata. Ha pensato che, invece del cibo, poteva vendere libri nelle strade della sua città. I talebani, con i loro divieti, se ne erano appena andati e molti libri erano stati distrutti. Un lungo digiuno.
Nella sua casa, invasa da volumi di tutti i tipi, l’aspetta il marito, grossi occhiali e cappellino di lana in testa. «La nostra gente ha fame qui – dice, toccandosi lo stomaco – ma, ancora di più, ha fame qui, si tocca la testa – nella mente». Parlano, fianco a fianco, per spiegare il loro lavoro. «Io e mio marito pensiamo – dice Del Jan – che il nostro popolo abbia bisogno di essere nutrito con i libri e la letteratura ancor più che con il cibo. Dobbiamo far rinascere la cultura della lettura e, con questa, aumentare il livello di alfabetizzazione e consapevolezza delle persone. Leggere, qualsiasi cosa, apre la mente, sveglia lo spirito critico, t’insegna il rispetto per gli altri. Ne abbiamo molto bisogno».
Per Del Jan e suo marito questo lavoro è una vera missione, ne sono convinti.
Hanno cinque figli, una in particolare, è circondata dall’amore e dall’attenzione di tutti in casa. Si chiama Aizha ed è autistica. «Lei è la persona più speciale di tutta la famiglia. Solo per lei, quando compie gli anni, facciamo una festa». Le piace disegnare, dipingere, ascoltare la musica. Non può andare a scuola, non ci sono scuole per persone come lei. I disabili in Afghanistan hanno un triste destino, l’esclusione. Ma Aizha cresce serena nel suo mondo, nel calore della sua famiglia. Mahbooba, manager di AFCECO, la invita a visitare l’orfanotrofio di Mehan. Le ragazze la circondano, allegre, chiacchierano, la portano per mano a visitare la loro grande casa comune, le mostrano gli strumenti musicali che studiano. Si trova bene qui e viene spesso, adesso, a trovare le sue nuove amiche.
Durante la festa per l’8 marzo, a Mehan, dopo una serie di bellissimi concerti e spettacoli di danza, Del Jan è chiamata sul palco. Le consegnano il premio come “Madre dell’anno”. È commossa.