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Tag: Diritti delle donne

Siria. La riduzione in schiavitù delle donne rapite

Ovunque il fondamentalismo porta alla schiavitù delle donne

The Cradle, La bottega del Barbieri, 29 aprile 2025

Nella Siria post-Assad, il Rapimento di Massa e la Riduzione in Schiavitù Sessuale delle donne Alawite sotto il Regime di Sharaa (al-Julani) rispecchiano le più oscure atrocità dell’ISIS, eppure incontrano il silenzio globale.

Da dicembre, quando l’ex affiliata di al-Qaeda, Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ha rovesciato il governo di Bashar al-Assad, la Siria ha assistito a un’agghiacciante ondata di misteriosi rapimenti di giovani donne, prevalentemente appartenenti alla comunità Alawita.
Continuano a emergere prove che queste donne, principalmente appartenenti alla componente religiosa Alawita, siano state rapite e condotte a vivere come schiave sessuali nel Governatorato di Idlib, tradizionale roccaforte di HTS, da fazioni armate affiliate al nuovo governo siriano.
Incredibilmente, il rapimento di massa e la riduzione in schiavitù di donne Alawite, ora perpetrati da fazioni affiliate a HTS, rispecchiano la Riduzione in Schiavitù di migliaia di donne Yazide da parte dell’ISIS durante il Genocidio del 2014 a Sinjar, in Iraq.

L’ATTIVISTA CHE HA DENUNCIATO

In un post di Facebook ora cancellato, Hiba Ezzedeen, un’attivista siriana di Idlib, ha descritto il suo incontro con una donna che ritiene sia stata catturata e portata nel Governatorato come schiava sessuale durante l’ondata di massacri perpetrati dalle fazioni affiliate al governo e dalle forze di sicurezza contro gli Alawiti nelle zone costiere del Paese il 7 marzo.

“Durante la mia ultima visita a Idlib, ero in un posto con mio fratello quando ho visto un uomo che conoscevo con una donna che non avevo mai incontrato prima”, ha spiegato Hiba.” Quest’uomo si era sposato diverse volte in precedenza e si ritiene che attualmente abbia tre mogli. Ciò che ha attirato la mia attenzione è stato l’aspetto della donna: in particolare, era chiaro che non sapesse indossare correttamente l’hijab e il suo velo era indossato in modo disordinato”.

Dopo ulteriori indagini, Ezzedeen ha appreso che la donna proveniva dalle zone costiere dove si sono verificati i massacri del 7 marzo, in cui sono stati uccisi oltre 1.600 civili Alawiti.
“Quest’uomo l’aveva portata al villaggio e l’aveva sposata, senza ulteriori dettagli disponibili. Nessuno sapeva cosa le fosse successo o come fosse arrivata lì, e naturalmente la giovane donna aveva troppa paura di parlare”, ha aggiunto Ezzedeen.
Poiché la situazione le sembrava così strana e allarmante, ha iniziato a chiedere a tutti quelli che conosceva, “ribelli, fazioni, attivisti per i diritti umani”, informazioni sul rapimento di donne Alawite dalla costa.
“Purtroppo, molti hanno confermato che ciò è effettivamente accaduto, e non solo da una fazione. In base a quanto affermato dagli amici, le accuse puntano a fazioni dell’Esercito Nazionale e ad alcuni combattenti stranieri, con motivazioni diverse”, ha riferito.
Le nuove forze di sicurezza siriane guidate da HTS hanno incorporato gruppi estremisti armati, tra cui Uiguri del Partito Islamico del Turkestan e turcomanni siriani appartenenti a fazioni dell’Esercito Nazionale Siriano, sostenuto dai servizi segreti turchi, fin dalla loro ascesa al potere a Damasco.
Diversi comandanti dell’Esercito Nazionale Siriano ed estremisti stranieri sono stati nominati a posizioni di vertice nel Ministero della Difesa siriano.
Mentre le unità della Sicurezza Generale, dominate da HTS, hanno partecipato ai massacri del 7 marzo in molte zone, si ritiene che ex fazioni dell’Esercito Nazionale Siriano e di combattenti stranieri abbiano guidato la campagna. I militanti sono andati porta a porta nei villaggi e nei quartieri Alawiti, giustiziando tutti gli uomini in età militare che hanno trovato, saccheggiando case e, a volte, uccidendo donne, bambini e anziani.
Ezzedeen ha concluso il suo post affermando: “Questa è una questione seria che non può essere ignorata. Il governo deve rivelare immediatamente la sorte di queste donne e rilasciarle”.
Invece di indagare sulla questione e cercare di salvare le donne prigioniere, il Governatore di Idlib nominato da HTS ha emesso un ordine di arresto per Ezzedeen, sostenendo che avesse “insultato l’hijab”.
La coraggiosa rivelazione di Ezzedeen ha fatto luce sul destino di molte giovani donne appartenenti a comunità minoritarie, misteriosamente scomparse negli ultimi mesi, dopo che il Presidente Ahmad al-Sharaa e HTS avevano rovesciato Assad e preso il potere a Damasco.

UN MODELLO DI RAPIMENTI

In uno dei primi casi, una giovane donna Drusa del sobborgo di Jaramana a Damasco, Karolis Nahla, è scomparsa la mattina del 2 febbraio 2024, mentre si recava all’università nella zona di Mezzeh. Il caso era singolare perché non fu richiesto alcun riscatto e non si seppe più nulla di lei.

Col tempo, iniziarono a trapelare informazioni secondo cui giovani donne come Karolis venivano rapite e portate a Idlib come schiave, come infine confermato da Hiba Ezzedeen.
Il 21 marzo, Bushra Yassin Mufarraj, madre Alawita di due figli, è scomparsa dalla stazione degli autobus di Jableh. Suo marito ha poi pubblicato un video di appello in cui affermava che era stata rapita e portata a Idlib.
“Mia moglie è stata rapita a Idlib. C’è qualcosa di più crudele al mondo che possa accadere a un uomo? Che sua moglie e la madre dei suoi figli si trovi in tali circostanze”, ha dichiarato in un video di appello pubblicato sui social media dieci giorni dopo.
La scomparsa di Bushra è stata seguita da un’ondata di rapimenti nei giorni e nelle settimane successive. L’Agenzia Curda Jinha ha riferito il 25 marzo, citando fonti locali, che più di 100 persone sono state rapite da gruppi armati nelle regioni costiere della Siria nelle 48 ore precedenti, tra cui molte donne.

Il 5 aprile, la ventunenne Katia Jihad Qarqat è scomparsa. L’ultimo contatto con lei è avvenuto alle 9:40 del mattino presso la farmacia del circolo Bahra a Jdeidat Artouz, nella campagna di Damasco. La sua famiglia ha implorato che chiunque l’avesse vista o avesse informazioni su di lei li contattasse.

L’8 aprile, la diciassettenne Sima Suleiman Hasno è scomparsa alle 11:00 del mattino dopo aver lasciato la sua scuola nel villaggio di Qardaha, nella campagna di Latakia. Sima è stata rilasciata quattro giorni dopo a Damasco, dove è stata riconsegnata alla zia da membri del governo siriano guidato da HTS.
I filmati di sorveglianza dei negozi vicino al luogo del rapimento sono circolati ampiamente sui social media, scatenando un’ondata di indignazione.
L’11 aprile, alle 16:00, si è persa la comunicazione con la ventiduenne Raneem Ghazi Zarifa nella campagna di Hama, nella città di Masyaf.
“Siamo estremamente preoccupati per lei. Chiediamo a chiunque abbia informazioni su di lei, anche minime, di contattarci immediatamente”, ha dichiarato la sua famiglia in un post sui social media.
Il 14 aprile, Batoul Arif Hassan, una giovane donna sposata con un bambino di tre anni di Safita, è scomparsa dopo aver fatto visita ai familiari nel villaggio di Bahouzi. I contatti con lei si sono interrotti intorno alle 16:00 mentre viaggiava su un minibus pubblico sulla strada Homs-Safita. La sua famiglia ha chiesto in un post sui social media a chiunque avesse informazioni sulla sua posizione di contattare telefonicamente suo fratello.
La mattina del 16 aprile, Aya Talal Qassem, 23 anni, è stata rapita dopo aver lasciato la sua casa nella città costiera di Tartous. Tre giorni dopo, il rapitore di Aya l’ha liberata e l’ha condotta a Tartous, sull’autostrada per Homs, solo per essere arrestata dalla Procura Generale guidata da HTS.
La madre di Aya ha pubblicato un video sui social media in cui spiegava che alla sua famiglia non era permesso stare con lei durante la detenzione e che suo padre era stato arrestato perché aveva insistito per vederla. La madre ha affermato che la Procura Generale ha cercato di costringere Aya a testimoniare, affermando che non era stata rapita, ma che era fuggita con un amante. La madre ha aggiunto di essere stata costretta a raccontare una simile storia nonostante la presenza di tagli e ferite sanguinanti sul suo corpo. Un video è stato pubblicato in Rete nel momento del suo emozionante ritorno a casa, tra familiari e parenti che l’attendevano con ansia.

Il 21 aprile, Nour Kamal Khodr, 26 anni, è stata rapita insieme alle sue due figlie, Naya Maher Qaidban di 5 anni e Masa Maher Qaidban di 3.
Nour e le sue figlie hanno lasciato la loro casa nel villaggio di Al-Mashrafa, nella zona rurale di Homs, a mezzogiorno, dirigendosi verso l’abitazione di un vicino. Testimoni hanno visto un gruppo mascherato affiliato alla Sicurezza Generale guidata da HTS rapirle, caricarle su un veicolo contrassegnato con l’emblema del gruppo prima di darsi alla fuga.

ECHI DI SINJAR

Entro il 17 aprile, l’emittente irachena Al-Daraj ha riportato la notizia di dieci rapimenti confermati di donne Alawite nelle regioni costiere. Secondo una sopravvissuta, pseudonimo Rahab, è stata rapita in pieno giorno e tenuta chiusa a chiave in una stanza con un’altra donna.
Una donna che ha parlato con Al-Daraj con lo pseudonimo Rahab è stata rilasciata dopo che i rapitori avrebbero temuto un’irruzione della Sicurezza Generale. Ha dichiarato di essere stata rapita in pieno giorno e tenuta in una stanza con un’altra donna, affermando:
“Ci hanno torturato e picchiato. Non ci era permesso parlarci, ma ho sentito l’accento dei rapitori. Uno aveva un accento straniero e l’altro un accento locale di Idlib. Lo sapevo perché ci insultavano perché eravamo Alawite”.
L’altra donna, trattenuta con lei, pseudonimo Basma, rimane prigioniera. È stata costretta a chiamare la sua famiglia per dire loro che stava “bene” e per rassicurarli che “non avrebbero dovuto pubblicare nulla” sul suo rapimento.
Al-Daraj ha anche documentato il caso di una ragazza di 18 anni, anch’essa rapita in pieno giorno, nelle campagne di una città costiera in Siria.
La sua famiglia ha poi ricevuto un messaggio di testo che la intimava di rimanere in silenzio sul suo rapimento, altrimenti sarebbe stata riconsegnata morta. La ragazza ha poi inviato alla famiglia una registrazione vocale da un numero di telefono registrato in Costa d’Avorio, dicendo che stava bene e che non sapeva dove fosse stata portata.
I media iracheni hanno paragonato questi casi al Genocidio degli Yazidi perpetrato dall’ISIS a Sinjar. Oltre 6.400 Yazidi sono stati ridotti in Schiavitù dall’ISIS nel 2014.
Migliaia di loro sono stati trafficati in Siria e Turchia, venduti come Schiavi domestici o sessuali, o addestrati per il combattimento. Molti risultano ancora dispersi.

HTS: LA CONTINUITÀ IDEOLOGICA DELL’ISIS

Che donne Alawite stiano ora comparendo a Idlib non sorprende, data la discendenza ideologica di HTS.
HTS, che ha conquistato Idlib nel 2015 con missili TOW forniti dalla CIA, condivide la stessa visione Genocida dell’ISIS.
È stata fondata dall’ISIS e guidata da Sharaa, allora noto come Abu Mohammad al-Julani, inviato in Siria nel 2011 dal defunto “Califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi per fondare il Fronte Al-Nusra, precursore di HTS.

Nel 2014, l’analista siriano Sam Heller descrisse quindi i religiosi di Al-Nusra come promotori di un “fanatismo tossico, persino Genocida” nei confronti degli Alawiti, basato sugli insegnamenti dello studioso islamico medievale Ibn Taymiyyah.
Sebbene HTS e ISIS si siano scontrati nel 2014, i loro legami sono durati. Quando Al-Baghdadi fu ucciso nel 2019, si nascondeva a Barisha, appena fuori Sarmada, controllata da HTS. All’epoca, anche numerosi Yazidi ridotti in Schiavitù si trovavano a Idlib.
Il quotidiano The Guardian lo ha confermato, citando Abdullah Shrem, un soccorritore Yazida, e Alexander Hug della Commissione Internazionale per le Persone Scomparse, i quali hanno affermato che le persone scomparse venivano spesso trattenute “in aree al di fuori del controllo governativo”.
Nel 2019, Ali Hussein, uno Yazida di Dohuk, raccontò alla giornalista della Radio Pubblica Nazionale Jane Arraf del suo tentativo di comprare la libertà di una bambina Yazida di 11 anni, rapita dall’ISIS ma “venduta a un emiro di un’organizzazione affiliata ad Al-Qaeda in Siria, Jabhat Al-Nusra, e non più vergine”.
“Vi avevo detto 45.000 dollari (40.000 euro) fin dall’inizio. So quanto pagano a Raqqa. Vi avevo detto che in Turchia avrebbero pagato 60.000 o 70.000 dollari (53.000 – 62.000 euro) e le avrebbero asportato gli organi. Ma non voglio farlo”, minacciò il contatto dell’ISIS durante la trattativa.
Reuters ha riportato il salvataggio di un giovane Yazida, Rojin, catturato e ridotto in schiavitù dall’ISIS insieme al fratello nel 2014. A 13 anni, Rojin fu portato nel campo Curdo di Al-Hol, nella Siria Orientale. Fu trattenuto lì insieme a migliaia di famiglie e sostenitori dell’ISIS dopo la sconfitta finale dell’organizzazione nella città di confine siriana di Baghouz nel 2019.
Il combattente saudita dell’ISIS che aveva acquistato Rojin organizzò poi il suo trasporto clandestino da Al-Hol a Idlib. Fu liberato cinque anni dopo, nel novembre 2024, mentre HTS preparava il suo assalto lampo ad Aleppo.
Reuters ha riferito che in un altro caso, un Yazida di 21 anni di nome Adnan Zandenan ricevette un messaggio su Facebook da un fratello minore che presumeva morto, ma che era stato anch’egli portato clandestinamente a Idlib.
“Mi tremavano le mani. Pensavo che uno dei miei amici mi stesse prendendo in giro”, ha ricordato Zandenan. Tuttavia, l’euforia di Zandenan si è rapidamente trasformata in disperazione quando suo fratello, ormai diciottenne e profondamente indottrinato dall’ideologia Salafita-Jihadista, si è rifiutato di lasciare Idlib e tornare nella comunità Yazida di Sinjar.

IL CALIFFATO RICONFEZIONATO

Nel dicembre 2024, appena un giorno dopo l’ingresso di HTS di Jolani a Damasco per rovesciare Assad, il giornale curdo iracheno Rudaw riferì che una donna Yazida di 29 anni era stata salvata dalla schiavitù a Idlib, affermando che molte donne Yazide erano state salvate dal campo di Al-Hol, gestito dai Curdi.

Tuttavia, altre “sono state trovate in zone della Siria controllate dai ribelli di HTS o da gruppi armati sostenuti dalla Turchia (Esercito Nazionale Siriano), e alcune sono state localizzate in Paesi terzi”, aggiunse.
Nei giorni successivi alla caduta di Assad, folle esultanti si riversarono nelle piazze cittadine, intonando canti a sostegno di al-Julani, ora ribattezzato Ahmad al-Sharaa.
Eppure, mentre i diplomatici occidentali si affrettavano a incontrare il nuovo sovrano, il significato della sua “libertà” divenne rapidamente chiaro. I rapimenti di donne Alawite, che rispecchiano la tragedia Yazida, hanno dimostrato che al-Julani aveva semplicemente riconfezionato il modello ISIS.
Con la scusa della liberazione, un brutale sistema di violenza fanatica, schiavitù e stupri è stato scatenato contro coloro che ora erano sotto il suo controllo.
In risposta al crescente negazionismo, l’esperto di genocidio Matthew Barber ha messo in guardia contro lo stesso schema che ha caratterizzato i primi giorni del genocidio Yazida: incredulità, rifiuto e derisione, finché la verità non si è rivelata ben peggiore.
“Nessuno credeva che potesse accadere. Persino analisti e giornalisti occidentali non credevano alle nostre affermazioni”, ha detto Barber. “La realtà era persino peggiore di quello che affermavamo”.
Il silenzio delle vittime non è volontario, è forzato. E mentre questa campagna di terrore di genere continua, la domanda rimane: per quanto tempo il mondo distoglierà lo sguardo?

Traduzione: La Zona Grigia.

L’intervento di Belquis Roshan alla conferenza stampa presso la Camera dei deputati

Belquis Roshan, Cisda, 28 aprile 2025

Saluto le amiche del CISDA, le mie compagne in Italia, e gli onorevoli membri Parlamento italiano, che hanno consentito lo svolgersi dell’incontro odierno.

Rappresento le donne dell’Afghanistan e apprezzo il vostro impegno e senso di responsabilità per aver voluto far sentire il grido di chi sottostà alle leggi del governo più medievale, misogino e malvagio della storia. Vi sono immensamente grata per avermi invitata all’evento di oggi. Le donne afgane, da quasi quattro anni, sono sotto l’ombra sinistra dei talebani; la loro libertà è repressa con le pratiche più barbare.

I governi occidentali, in particolare quello degli Stati Uniti, hanno tradito il popolo e le donne dell’Afghanistan consentendo ai talebani, quattro anni fa, di riprendere il potere. I talebani ricevono segretamente sempre più sostegno finanziario e diplomatico, e questo garantisce la continuazione del loro regime degenerato. Gli interessi strategici ed economici dei governi occidentali in Afghanistan hanno la netta prevalenza rispetto al destino del popolo, specialmente delle donne. La maggior parte di questi governi, e anche le Nazioni Unite, si dicono preoccupati per i diritti delle donne in Afghanistan, ma non hanno simpatia per il nostro popolo e hanno fatto accordi vergognosi con i terroristi talebani.

In questa situazione, qualsiasi voce si alzi da parte delle forze libere e progressiste dei paesi del mondo, specialmente dell’Occidente, a sostegno delle donne afghane è lodevole e preziosa. Avete fatto il vostro dovere umano e di base, diventando così buoni amici delle donne afghane.

Ciò che accade alle donne afghane non è soltanto sotto la categoria “gender apartheid”. Contro le donne vengono commessi crimini brutali e barbarie, le donne non sono considerate esseri umani, sono private di tutti i diritti e non possono svolgere alcuna attività sociale. Non solo il lavoro e l’istruzione sono vietati. La maggior parte delle ragazze viene privata della scuola e deve sottostare alle leggi maschili, e in molti casi, le ragazze sono costrette a una vita terribile.

I talebani, come tutti i gruppi fondamentalisti e aggressivi, vogliono cancellare le donne, la metà della popolazione, confinandola in casa, in modo che per l’altra metà della popolazione, gli uomini, sia più facile reprimerle e ridurle in schiavitù. Ma la maggior parte delle donne afghane si è finora opposta ai talebani in vari modi, le donne non si sono arrese.

Avete fatto molto per riconoscere l’apartheid di genere contro le donne afghane e avete creato un documento prezioso. Questi sforzi, pur non avendo un impatto diretto e duraturo sulla situazione delle donne afghane sono un esempio di solidarietà del popolo occidentale, e dimostrano che, a differenza dei loro governi, ci sono persone che nutrono una sincera simpatia e mostrano solidarietà nei confronti delle donne afghane. In questi quattro anni, le donne afgane hanno cercato di fare sentire la loro voce nella maggior parte dei paesi in cui sono presenti amici come voi, speriamo che in questa lotta sarete i primi, speriamo che il vostro governo riconosca l’apartheid di genere.

Sappiamo che anche se l’apartheid di genere verrà riconosciuto questo non impedirà ai governi occidentali di cooperare con i talebani. Nella pratica vediamo che i governanti guerrafondai dell’Occidente non hanno minimamente rispettato le leggi e i trattati universali che hanno firmato, e li hanno calpestati ogni volta che avevano necessità di tutelare i loro interessi. In molti casi abbiamo visto che non hanno rispettato e hanno fatto carta straccia delle risoluzioni dell’ONU. Proprio adesso, con lo sgomento e la rabbia di tutti coloro che vedono ciò che accade, il fascista Netanyahu, il macellaio di un popolo sofferente, nonostante sia stato emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti da parte della Corte penale internazionale, ha viaggiato tranquillamente in Europa, e nessun governo europeo osa alzare la voce contro questo criminale di guerra.

Questi sono i giochi dei governanti occidentali con i diritti umani. E nel mondo sono molti gli esempi di queste pratiche. Serajaldin Haqqani, il leader degli attentatori suicidi e assassino del popolo afghano, che gli Stati Uniti avevano messo nella lista nera, mettendo una taglia di milioni di dollari per la sua cattura, negli scorsi tre anni ha viaggiato liberamente nei paesi arabi per fare accordi vergognosi con i paesi occidentali e con gli Stati Uniti. Sapeva che in seguito i suoi crimini sarebbero stati perdonati dal suo alleato americano.

Ma se il vostro lavoro darà buoni frutti e l’apartheid di genere dei talebani verrà riconosciuto come tale, sarà un risultato prezioso per l’alleanza globale in difesa delle donne afghane e incoraggerà le donne afgane a proseguire la loro lotta per i diritti contro il fondamentalismo e il terrorismo talebano. Il successo di questo lavoro dimostrerebbe che c’è una distanza profonda tra i governi oppressivi e il popolo occidentale che ama la libertà.

Devo però mettere in guardia i veri amici delle donne oppresse dell’Afghanistan: gli Stati Uniti, l’Occidente e le sue istituzioni hanno cercato negli ultimi quattro anni di introdurre un certo numero donne che si fanno passare come rappresentanti delle donne afghane e promuovono invece gli interessi degli stati imperialisti. Tra queste Fawzia Kofi, Habiba Sarabi, Sima Samar, Mahboubeh Seraj, Fatemeh Gilani, Shakriyeh Barakzai Shahrzad Akbar e altre, che sono manovrate dall’intelligence occidentale e cercano di deviare la lotta delle donne afghane dal cammino per la libertà. Durante i colloqui di Doha, in cui il potere è stato restituito ai talebani, queste donne erano tra i lobbisti che hanno favorito il ritorno al potere di questi criminali sanguinari.

Sono stata con alcune di queste donne per molti anni in Afghanistan perché facevo parte del parlamento, so che queste sono le nemiche delle donne oppresse e hanno fatto dei diritti delle donne uno strumento per raggiungere le proprie mire ambiziose. Ma poiché sono diventate competenti e capaci, l’America e l’Occidente ne hanno beneficiato per oltre vent’anni. Sono certa che in occasione di importanti conferenze mondiali, presso le Nazioni Unite e il Parlamento europeo, e ovunque esse abbiano degli interessi, verranno assegnati loro premi internazionali. Nessuna di loro rappresenta le donne afghane; rappresentano solo l’imperialismo e i governi occidentali, quindi non hanno posto nella lotta per la liberazione delle donne. Anche alcune delle donne che ho citato parlano di apartheid di genere, ma bisogna essere consapevoli che c’è una differenza tra voi e loro. Voi, con la formalizzazione dell’apartheid di genere, dovreste anche denunciare e prendere una posizione chiara contro il sostegno ai fondamentalisti talebani e dei jihadisti da parte dell’imperialismo in modo che la vostra campagna sia distinta dalla loro e mostri la vostra reale volontà di difendere le donne afghane. Dovreste essere molto decise.

Qui voglio sottolineare un altro punto importante, anche se va al di là del disastro afghano. Quando si tratta di tutelare i propri interessi gli stati imperialisti del mondo non esitano ad allearsi con fascisti e fondamentalisti massacratori di popoli; parlo ad esempio dell’orribile genocidio del regime sionista di Israele a Gaza, parlo dell’aver portato al-Qaeda e ISIS al potere in Siria, oggi guidata da Jolani, parlo delle guerre in Yemen, Iraq, Ucraina condotte grazie alle armi e al sostegno finanziario delle potenze mondiali. È una necessità storica e politica incredibilmente importante che i movimenti decoloniali dichiarino che l’imperialismo, il fondamentalismo e il terrorismo sono facce della stessa medaglia e pericolosi nemici dell’umanità; fino a quando non ci sarà un’alleanza globale e popolare contro questi gravi pericoli il futuro dell’umanità e del pianeta sarà a rischio.

Vi invito a creare questa alleanza. Infine vi chiedo, in quanto rappresentanti del popolo italiano nel parlamento, di unire il popolo italiano e le donne afghane nella lotta contro l’apartheid di genere in Afghanistan. Non dimenticate la lotta contro i fondamentalisti e non lasciate che il governo dei talebani in Afghanistan sia riconosciuto dai vostri governi.

Ancora una volta, stringo la mano del vostro onorevole e umano sostegno e mi inchino a ciascuno di voi per il vostro lavoro e la vostra solidarietà con le donne oppresse dell’Afghanistan. Viva l’unità dei popoli del mondo.

Belquis Roshan, ex parlamentare dell’Afghanistan è ora rifugiata in Europa

Comunicato L’apartheid di genere ci riguarda

“Apartheid di genere” (ADG) è stata la parola chiave della conferenza stampa che l’8 aprile il Cisda ha convocato presso la sala stampa del parlamento per illustrare la campagna Stop fondamentalismi – Stop apartheid di genere e la petizione al governo italiano – finora firmata da 2000 persone e 80 associazioni, ma è ancora possibile aderire – che chiede l’intervento attivo dell’Italia sia nel riconoscimento che in Afghanistan è in atto un sistematico e intenzionale ADG, sia nel sostegno del reato specifico di ADG nella Convenzione per la prevenzione e la punizione dei crimini contro l’umanità in preparazione all’ONU e che sarà in discussione all’Assemblea degli Stati nel 2026/27.

Una giornata importante per la nostra campagna, che nel pomeriggio si è concretizzata con la presentazione al mondo dell’attivismo e della solidarietà in un incontro aperto a tutti dove sono intervenuti/e rappresentanti di associazioni e di ong con testimonianze e opinioni.

Dopo la presentazione del Cisda che ha ripercorso la situazione attuale in Afghanistan e spiegato le motivazioni della campagna e della petizione al governo italiano, è intervenuta Belquis Roshan, ex parlamentare dell’Afghanistan ora rifugiata in Europa, ricordando che le donne afghane sono sottoposte a condizioni di vita orrende sotto il regime fondamentalista del suo paese. Alle donne è vietato lavorare e le ragazze, che non possono più frequentare la scuola, sono costrette, ancora giovanissime, a sposare i talebani, nell’immobilismo della maggior parte dei governi del mondo che si limitano a dichiarare il loro rammarico ma senza fare nulla, mentre gli Usa continuano a finanziare il governo talebano per difendere i loro interessi economici e strategici.

Lo sforzo che si sta facendo per il riconoscimento dell’ADG subito dalle donne afghane è importante – ha inoltre affermato Roshan – e dimostra un’alleanza sincera con le donne afghane.

Anche se sappiamo che molti governi hanno dimostrato di ignorare e calpestare i trattati internazionali e le risoluzioni delle Nazioni Unite, com’è avvenuto per i mandati di arresto verso personaggi politici che sono rimasti inapplicati senza che alcun governo abbia alzato la voce contro quei criminali e mentre Haqqani veniva vergognosamente graziato, il riconoscimento dell’ADG sarà un importante traguardo per le donne, la legalizzazione dei loro diritti e delle loro lotte.

Inalienabili, indivisibili e parte integrante dei diritti umani

Ci sono voluti 45 anni, dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, perché anche i diritti delle donne fossero dichiarati inalienabili, indivisibili e parte integrante dei diritti umani, nel 1993 con la Dichiarazione della Conferenza mondiale sui diritti umani di Vienna.

Poiché le convenzioni fra gli stati e le leggi esistenti riconoscono i diritti delle donne e dei bambini solo in situazione di guerra, e il crimine di Persecuzione di genere non è sufficiente a difendere le donne perché può essere applicato solo se connesso con altri crimini, è necessaria una Convenzione dell’ONU sui crimini contro l’umanità che contempli specificatamente il reato di Apartheid di genere, che è l’unico che può definire esaurientemente la situazione di segregazione e persecuzione che subiscono le donne in quanto genere nei paesi fondamentalisti e in particolare in Afghanistan, il più emblematico tra tutti.

Questo ha spiegato la giurista Laura Guercio, relatrice intervenuta alla conferenza stampa per illustrare la definizione di ADG redatta con il Cisda e inviata alla 6° Commissione dell’Onu incaricata di preparare i lavori della Convenzione con il contributo anche della società civile e dell’associazionismo. Definizione che ha già avuto un importante riscontro di apprezzamento da parte degli incaricati dell’ONU.

Ma la nostra Campagna non si limita a questo: chiede che il governo italiano, coerentemente con i trattati per la difesa delle donne e dei diritti umani sottoscritti dall’Italia, neghi il riconoscimento giuridico e di fatto al governo fondamentalista dei talebani, impedisca loro l’agibilità politica nei consessi internazionali e si associ all’azione degli Stati nella denuncia ai Tribunali internazionali.

La Conferenza stampa ha visto la partecipazione e il sostegno dei parlamentari Livia Zanella e Francesca Ghitta di AVS, Valentina Ghio del PD, Oscar Scalfarotto di Italia Viva, oltre a Marilena Grassadonia della Segreteria Nazionale di Sinistra Italiana, che hanno dichiarato la loro disponibilità a farsi carico degli obiettivi della Campagna con iniziative presso il Parlamento.

Finché non saranno diritti per tutte, i nostri saranno solo privilegi

Molto interessante è stato anche il dibattito proposto da CISDA nel pomeriggio al Polo Civico Esquilino. A esporre le loro esperienze e le tematiche di riflessione relative al fondamentalismo religioso e politico e alle ripercussioni sulla vita e i corpi delle donne, accanto a Belquis Roshan c’erano alcune rappresentanti dell’associazionismo: l’attivista curdo-iraniana Mayswon Majidi, Celeste Grossi dell’ARCI, Mirella Mannocchio della Federazione italiana delle donne evangeliche, Lorena Di Lorenzo dell’associazione Binario 15.


In questo incontro Belquis ha avuto modo di raccontare con maggiore libertà e tempo la sua vita, iniziata durante la guerra che ha ucciso milioni di afghani e proseguita prima in Iran poi in Pakistan. Tornata in Afghanistan con la promessa degli Usa di ristabilire la democrazia, decide di impegnarsi in politica e vince varie elezioni fino a diventare parlamentare nel 2018, unica rappresentante a opporsi al patto di sicurezza con gli Usa, considerato paese invasore, e a opporsi alla liberazione delle migliaia di terroristi talebani nel 2020.

Costretta a lasciare il paese nel 2021, vive attualmente in Germania dove rappresenta la comunità afghana e lavora a sostegno delle donne afghane.

Parlando del suo paese, dice che il corpo delle donne afghane è un campo di battaglia tra Occidente e talebani, oggetto di trattativa per ottenere riconoscimento e fondi. Il governo talebano riceve sostegno economico da tutti i paesi del mondo, ma se questi aiuti non arrivassero non resisterebbe un solo giorno. Il fondamentalismo è uno strumento nelle mani occidentali per portare avanti i propri interessi geopolitici ed economici in alcune parti del mondo. “Solo con la solidarietà internazionale possiamo sopravvivere e combattere insieme le guerre nel mondo”.

Mayswon Majidi, imprigionata in Italia con l’assurda accusa di essere una scafista, e poi scagionata, ha parlato della sua esperienza di vita e di lotta con le donne curde contro il regime iraniano, lotta che è diventata globale perchè l’ADG è diffuso in tutti i Paesi anche se in forme meno evidenti. In Italia il patriarcato si manifesta con i femminicidi, in Iran con la repressione politica e la sharia. Tutte le situazioni sono legate e bisogna trovare una soluzione mondiale, fare alleanze per la pace fra tutte le donne facendo crescere in loro la consapevolezza dei loro diritti e delle loro capacità.

Mirella Mannocchio, pastora metodista presidente della FDEI, network di donne e organizzazioni appartenenti alle chiese evangeliche, da anni si impegna nella lettura della bibbia secondo una visione femminista e nella sensibilizzazione sulle tematiche che riguardano le donne.

Il termine fondamentalismo è nato all’interno del cristianesimo, da cui poi sono derivati tutti i fondamentalismi. L’idea che la donna deve avere il corpo coperto proviene dall’ambito religioso, è legata al bisogno maschile di controllare il corpo femminile che riproduce la vita, capacità interdetta all’uomo. Nelle prime comunità cristiane alle donne veniva riconosciuto un ruolo di potere, ruolo perduto con l’istituzionalizzazione del cristianesimo. Da qui la necessità di recuperare una diversa interpretazione della bibbia e dei testi.

Celeste Grossi, della segreteria nazionale dell’Arci, ha spiegato che la sua associazione fin da subito ha sostenuto la campagna contro l’ADG e sostiene le donne iraniane e afghane anche con corridoi umanitari e case rifugio. Questo non per altruismo ma nella consapevolezza che finché i diritti non saranno per tutte, i nostri sono solo privilegi. “Siamo immerse nella cultura patriarcale e abbiamo atteggiamenti patriarcali. In alcuni luoghi il patriarcato è sistematico, in altri, come qui da noi, i diritti si stanno perdendo e quindi non dobbiamo accomodarci perché i diritti non sono per sempre. Bisogna sostenere le lotte di tutte, non sono le nostre lotte, sono le nostre lotte insieme alle loro e le loro insieme alle nostre”.

Lorena Di Lorenzo ha parlato dell’Afghanistan che è in Italia, quello delle migranti afghane. L’associazione, nata sul binario 15 della Stazione Ostiense, dove arrivavano e ripartivano i migranti afghani prevalentemente maschi, è ora un luogo di amicizia e di scambio paritario con un’ottantina tra donne e bambini, con funzione ponte tra i bisogni delle immigrate e i servizi del territorio e in dialogo con chi è rimasto là.

Dal 2021 stanno arrivando donne diverse, che sono scomode in Afghanistan perché contro corrente. Costrette in un sistema di assistenza frammentario e carente, rimangono deluse nelle loro aspettative e molte se ne vanno via. Bisogna parlare di cosa manca alle donne qui e non solo in Afghanistan, far accogliere un approccio di genere nelle politiche migratorie che colga la complessità dei loro bisogni e competenze.

Il lungo incontro è stato seguito con interesse e ha visto la presenza nel pubblico di diverse donne afghane immigrate in Italia da più o meno anni interessate ad avere un confronto con chi, come Belquis, è uscita dal paese in tempi recenti e ha avuto un ruolo di donna leader nel precedente sistema. Una giusta occasione per chi è sempre stata costretta a stare in silenzio.

Costruire un’impresa come donna nell’Afghanistan dei Talebani

 Atia FarAzar, Zan Times, 8 aprile 2025
Il mio laboratorio si trovava all’interno di una casa in un villaggio a pochi chilometri dalla città di Faizabad. Nel settembre del 2023, decisi di trasferire la filiale del laboratorio in città, ma per farlo era necessario il permesso del Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio. Un giorno, io e un amico andammo nel loro ufficio, ma quando arrivammo all’indirizzo indicato non ci fu permesso entrare.

Quel ministero è fondato sull’odio e l’esclusione delle donne. Quel giorno, nemmeno la guardia all’ingresso ci ha guardato, né ci ha parlato direttamente. Quando ho provato a parlargli, se n’è andato senza rispondere e ha portato un altro uomo. Anche quell’uomo ci ha parlato con disprezzo e riluttanza.

A causa del mio genere, mi trattavano con disprezzo, si vergognavano della mia presenza in pubblico e accanto a loro. Mentre iniziavo a spiegare il motivo della mia visita, la guardia mi interruppe e disse: “Il nostro capo non ti riceverà. Vai a casa e fai le faccende domestiche. Cosa c’entra una donna con gli affari? Gli affari sono per gli uomini”. Le sue parole mi sembrarono proiettili al cuore: crudeli e disumanizzanti. Risposi con fermezza: “Ho una licenza del governo talebano, perché non dovrebbe essermi permessa?”. Senza dire una parola o lasciarmi finire, si voltò e scomparve nel suo ufficio.

Di conseguenza, non ho potuto aprire la filiale cittadina della mia officina a Faizabad.

Khatereh racconta

Mi chiamo Khatereh e ho 28 anni. Prima dei talebani, quando studiavo economia all’Università del Badakhshan, gestivo anche una piccola attività parallelamente agli studi. A quel tempo, io e un amico compravamo tessuti a poco prezzo, li facevamo cucire da un sarto e vendevamo i vestiti finiti online, guadagnando un piccolo reddito.

Dopo la laurea, mi sono trasferita a Kabul e ho trovato lavoro in un ufficio governativo. Come migliaia di altre ragazze, avevo molti sogni: costruirmi un futuro, avanzare nella mia carriera e far crescere la mia attività.

Ma nell’estate del 2021, quando i talebani entrarono in città, sembrava che tutte le porte della speranza fossero state sbattute. Il terrore travolse il Badakhshan. La gente era in preda al panico, cercava disperatamente di fuggire dal Paese: l’aeroporto era così affollato che c’era a malapena spazio per stare in piedi. A Faizabad, le notti risuonavano degli spari e dei lanci di razzi celebrativi dei talebani, a suggellare la loro vittoria. Per una come me – che, solo pochi giorni prima, inseguiva i suoi sogni – la vita sotto il dominio dei talebani divenne rapidamente insopportabile.

Col passare del tempo, alle donne vennero imposte sempre più restrizioni. Persero il diritto di studiare, lavorare o camminare da sole in pubblico. Per salvarmi dalla depressione, decisi di riprendere il mio vecchio lavoro, con qualche modifica. Alla fine del 2021, ho avviato un workshop con una formatrice e otto allieve. Non è stato facile: ho dovuto affrontare molte sfide.

Le donne sono sempre più invisibili

I talebani avevano quasi raddoppiato le tariffe per le licenze. La tariffa per le licenze delle ONG è stata aumentata da 30.000 afghani [420 dollari] a 50.000 afghani [700 dollari], e quella per le licenze commerciali da 10.000 [140 dollari] a 18.000 afghani [252 dollari]. Non potevo permettermi la licenza per le ONG, quindi mi sono registrata con una licenza commerciale. Ma con una licenza commerciale non posso candidarmi per progetti o accedere a programmi di sviluppo o assistenza di organizzazioni internazionali a sostegno delle donne.

Quando sono andata all’ufficio delle imposte per pagare la tassa di licenza, non c’era nessuna guardia al cancello. Ho bussato nervosamente ed sono entrata lentamente. Il direttore – un uomo con i capelli lunghi, la barba lunga e gli occhi cerchiati di kajal – ha urlato alle sue guardie non appena mi ha visto: “Perché avete lasciato entrare questa donna?”. Le guardie mi hanno trascinato fuori dal suo ufficio e mi hanno mandata in un’altra sezione.

Scossa e spaventata, entrai nel reparto successivo, dove fui trattata come un’aliena. Era chiaro che la presenza di una donna nel loro ufficio li metteva profondamente a disagio. Senza dirmi una parola, presero il pagamento della mia licenza e mi fecero uscire in fretta.

Questo tipo di trattamento non si limitava agli uffici governativi. Persino quando andavo a comprare materiali per l’officina, autisti e negozianti si rifiutavano di aiutarmi semplicemente perché non avevo un mahram. Avevano paura dei talebani perché avevano ordinato che nessun autista potesse dare un passaggio a una donna senza un accompagnatore maschile. Quando dovevo andare in città a fare la spesa, spesso dovevo aspettare a lungo sul ciglio della strada, finché un autista di buon cuore non provava finalmente pietà per me e mi portava in città.

Prima che i talebani salissero al potere, avevo avviato la mia attività con soli 2.500 afghani [35 dollari]. Dopo il loro ritorno, ho ripreso il lavoro con 25.000 afghani [350 dollari].

Ho anche aperto un reparto di incisione, parallelamente alla sartoria. Gli incisori incidono motivi decorativi sulle pietre preziose. Dato che l’estrazione e il mercato delle pietre preziose in Badakhshan sono fiorenti, ho potuto dare lavoro a molte donne e ragazze. Oggi, più di 100 donne e ragazze lavorano nel mio laboratorio, ognuna delle quali guadagna uno stipendio mensile che va da almeno 1.000 afghani fino a 15.000 afghani [209 dollari].

Purtroppo, la vita delle donne diventa sempre più limitata. Sotto il regime talebano, noi donne siamo oppresse con vari pretesti, non ci è permesso viaggiare o spostarci senza un accompagnatore maschile e recentemente queste restrizioni hanno raggiunto il punto in cui persino la voce delle donne è stata bandita.

Eppure, nonostante le difficoltà e le numerose sfide che ho dovuto affrontare – essere stata respinta dagli uffici a causa del mio genere, essere stata messa a tacere e licenziata – non ho perso il mio senso di femminilità né la mia determinazione. Al contrario, sento che ogni nuova pressione non fa che rafforzarmi.

Quello che è iniziato come un piccolo workshop con una formatrice e otto studentesse è ora diventato un luogo di lavoro per cento donne. Oltre al workshop, sono anche in contatto con un gruppo di giovani imprenditrici con cui lavoriamo insieme e ci sosteniamo a vicenda.

Atia FarAzar è lo pseudonimo di una giornalista dello Zan Times

Evento CISDA Roma 8 aprile 2025 sulla Campagna Stop fondamentalismi – Stop apartheid di genere

Incontro organizzato da CISDA presso il Polo Civico Esquilino di Roma. A esporre le loro esperienze e le tematiche di riflessione relative al fondamentalismo religioso e politico e alle ripercussioni sulla vita e i corpi delle donne, accanto a Belquis Roshan c’erano alcune rappresentanti dell’associazionismo: l’attivista curdo-iraniana Mayswon Majidi, Celeste Grossi dell’ARCI, Mirella Mannocchio della Federazione italiana delle donne evangeliche, Lorena Di Lorenzo dell’associazione Binario 15.

Intervista ad Antonella Garofalo sulla campagna Stop fondamentalismi Stop apartheid di genere

L’8 aprile si sono tenuti a Roma due eventi per fare il punto sulla campagna lanciata da Cisda lo scorso 10 dicembre. Nell’intervista l’attivista Antonella Garofalo spiega i punti principali della campagna a margine della conferenza stampa presso la Camera dei deputati

Sotto il regime dei talebani, donne e ragazze in Afghanistan ricorrono alla droga a causa della crescente depressione

8AM Media, Rawa, 10 aprile 2025

Una conseguenza dell’affrontare solo un futuro desolante e del vedersi negato il diritto allo studio e al lavoro

Questo articolo è stato scritto da Behnia per Hasht-e Subh Daily e pubblicato il 27 marzo 2025. Una versione modificata dell’articolo è pubblicata su Global Voices nell’ambito di un accordo di media partnership.

A seguito dell’imposizione da parte dei talebani di restrizioni all’istruzione, agli studi e all’occupazione femminile, molte donne e ragazze in Afghanistan si sono rivolte a diverse sostanze stupefacenti. Un’inchiesta di Hasht-e Subh Daily ha rivelato che ragazze e donne fanno uso di  tabacco, nonché di farmaci sedativi e ansiolitici, per sfuggire a pressioni psicologiche, stress mentale e depressione.

Il rapporto include interviste con 30 persone: ragazze a cui è stata negata l’istruzione, donne che hanno subito la prigionia dei talebani e donne che vivono in esilio. I risultati sono stati raccolti negli ultimi sei mesi nelle province di Kabul, Herat, Balkh, Takhar, Jawzjan, Ghazni e Sar-e Pul.

Diversi psicologi, medici e farmacisti hanno riferito di aver visto, nell’ultimo anno, un numero significativo di giovani donne e ragazze adolescenti ricorrere a sigarette, droghe sintetiche, antidolorifici e farmaci antidepressivi a causa di una grave depressione. Secondo queste fonti, nell’ultimo anno, fino a 500 giovani donne e ragazze hanno cercato un trattamento, utilizzando questi farmaci per alleviare la depressione, forti mal di testa e la solitudine e per prevenire l’autolesionismo.

Le prospettive degli psicologi sulla crescente dipendenza

Uno psicologo dell’Ospedale Mentale di Kabul riferisce che nell’ultimo anno, più di 100 ragazze provenienti da Kabul e da altre province hanno visitato la struttura a causa di una grave depressione. Solo nell’ultimo mese, sono stati registrati due casi di consumo di Tablet K, un tipo di metanfetamina. Lo psicologo ha spiegato in un’intervista con Hasht-e Subh Daily: “Due clienti, di 22 e 19 anni, si sentivano chiuse le porte e usavano Tablet K per ridurre la pressione psicologica e mentale”.

Lo psicologo aggiunge che lo stato mentale ed emotivo delle ragazze peggiora ogni giorno e che le ragioni principali del consumo di tabacco tra le giovani donne e le adolescenti sono la chiusura delle opportunità educative e l’incapacità di realizzare le proprie aspirazioni.

Uno psicologo della provincia nord-occidentale di Balkh, che lavora presso un centro di salute mentale della provincia, afferma che, oltre al suo lavoro presso il centro, collabora con organizzazioni e assiste personalmente ragazze e donne a cui viene negato l’accesso all’istruzione e al lavoro e che soffrono di depressione grave. Nell’ultimo anno, ha avuto più di 130 clienti donne presso il suo studio privato. Osserva che alcune di queste clienti si sono rivolte alle sigarette a causa delle restrizioni imposte dai talebani alle donne.

Perché le studentesse si sono rivolte alle sigarette e alle droghe?

Diverse studentesse e universitarie affermano che le pressioni psicologiche ed emotive derivanti dalla negazione dell’istruzione, unite alle pressioni esercitate dalle loro famiglie, le hanno spinte a fumare. Raccontano che, senza fumare, soffrono di forti mal di testa, solitudine e un senso di soffocamento, che le porta a sentirsi disperate nel continuare la propria vita.

Nilab (pseudonimo), una studentessa del decimo anno, è sotto pressione a causa dell’esclusione scolastica e delle pressioni familiari, che l’hanno portata a una grave depressione. Questa, unita all’eccessiva preoccupazione per il suo futuro incerto, le ha causato forti mal di testa. Inizialmente ha fatto ricorso a sonniferi e sedativi e ora fuma anche sigarette.

Aggiunge che quattro sue amiche si trovano nella stessa situazione e fumano anche loro di nascosto dalle loro famiglie.

I risultati del rapporto indicano che il consumo di tabacco è più diffuso tra le giovani donne e le adolescenti di età compresa tra 18 e 25 anni.

Anche farmaci antidolorifici e antidepressivi come Tramadolo, Zeegap, Zoloft, Prolexa, Sanflex, Zing, Arnil, Amitriptilina, Brufen, Paracetamolo e iniezioni di sedativi sono ampiamente utilizzati. Negli ultimi tre anni, l’uso di questi farmaci ha portato molte ragazze a sviluppare dipendenza, assumendoli da una a quattro volte al giorno.

Dipendenza tra le donne che hanno vissuto la prigionia

L’esperienza della prigionia talebana è un fattore significativo nella dipendenza dal tabacco delle donne. Le pressioni psicologiche ed emotive che le donne portano con sé in esilio dopo aver sopportato le prigioni talebane le hanno portate a usare non solo sedativi prescritti dagli psichiatri, ma anche vari prodotti del tabacco, come sigarette e narghilè elettronici.

Una donna imprigionata dai talebani e ora residente in Pakistan racconta che molte donne con esperienze simili hanno subito gravi danni psicologici ed emotivi, ricorrendo a sigarette e narghilè elettronici per gestire la loro tensione mentale. Il consumo di questi prodotti del tabacco tra queste donne è diffuso e, secondo lei, alcune consumano un intero pacchetto di sigarette in un solo giorno.

Secondo lei, sebbene l’uso del tabacco non curi alcun dolore, le donne si sentono costrette a farlo per sfuggire all’intensità delle loro pressioni psicologiche.

Automedicazione, costi elevati e accesso ai farmaci

Il consumo di droghe tra ragazze e donne avviene in due modi distinti. Alcune, avendo accesso a psicologi, consultano neurologi o psichiatri e utilizzano sedativi, antistress, ansiolitici e sonniferi prescritti come parte del trattamento.

Sebbene l’uso prolungato di questi farmaci non sia raccomandato dagli psichiatri, molte ragazze, attratte dai loro effetti immediati, smettono di consultare il medico e iniziano a procurarseli autonomamente in farmacia. La maggior parte delle donne e delle ragazze, soprattutto a Kabul e in esilio, continua a usare questi farmaci anche dopo la fine del trattamento prescritto.

Tuttavia, la maggior parte delle ragazze e delle donne afferma di usare antidolorifici, sedativi e antidepressivi senza consultare uno psicologo o uno psichiatra. Paracetamolo e ibuprofene, economici e facilmente reperibili in farmacia, sono ampiamente utilizzati dalle ragazze.

Questo è particolarmente comune nelle province con accesso limitato a psichiatri e farmacie. Mahdia, della provincia sudorientale di Ghazni, ad esempio, ottiene questi farmaci dopo una camminata di tre ore fino a una farmacia locale e li assume per forti mal di testa – non ha mai visto uno psichiatra. Anche Fatima, della provincia nordorientale di Takhar, riceve gratuitamente antidolorifici e antidepressivi dall’ospedale locale della sua provincia.

Razia, residente a Kabul, afferma di pagare 1.500 AFN (21 dollari) per uno dei suoi farmaci, l’equivalente del costo di un sacco di farina per la sua famiglia. Se dovesse comprare tutti i suoi farmaci, costerebbe 4.000 AFN (56 dollari) al mese. Maryam, una studentessa di Kabul, aggiunge che spende tra i 400 e gli 800 AFN (6-12 dollari) al mese per i suoi farmaci, un prezzo elevato che deve sostenere nonostante la sua difficile situazione economica.

La crescente tossicodipendenza e dipendenza da farmaci tra donne e ragazze in Afghanistan è uno dei tanti effetti distruttivi involontari delle politiche restrittive dei talebani. Con più tempo e ulteriori ricerche, verranno svelate altre implicazioni sociali ed economiche negative dei maltrattamenti subiti dalle donne in Afghanistan.

Le popolazioni dell’Afghanistan stanno subendo sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate dai talebani

Global Centre for the Responsibility to Protect, Rawa, 7 aprile 2025

I talebani hanno intensificato le restrizioni ai diritti e alle libertà, prendendo di mira in particolare le donne, la società civile e la stampa

CONTESTO

Da quando le forze talebane hanno di fatto rovesciato il governo afghano nell’agosto 2021, i talebani e vari gruppi armati, tra cui il cosiddetto Stato islamico dell’Iraq e del Levante-Khorasan (ISIL-K), hanno commesso violazioni e abusi dei diritti umani diffusi e sistematici in tutto il Paese.

Le autorità talebane de facto hanno implementato politiche e pratiche restrittive che negano a donne e ragazze i loro diritti umani, perpetuando forme estreme di discriminazione di genere e violando palesemente la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW). Dall’agosto 2021 sono stati emanati oltre 100 editti, regolamenti e decreti repressivi radicali che prendono di mira donne e ragazze, limitandone gravemente la libertà di movimento, la libertà di opinione e di espressione, le opportunità di lavoro, la rappresentanza politica e pubblica e l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria. Nell’agosto 2024 i talebani hanno attuato le cosiddette leggi “vizio e virtù”, che mirano a sradicare le donne dalla vita pubblica, anche imponendo loro di coprirsi completamente il volto e vietando loro di parlare o essere ascoltate in pubblico. Gli editti attuati nel 2024 hanno ripristinato la lapidazione pubblica e la fustigazione a morte delle donne per presunto adulterio, tra le altre violazioni dell’ideologia talebana. La Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha documentato arresti e detenzioni arbitrarie di donne e ragazze a causa della presunta inosservanza del “codice di abbigliamento islamico” imposto.

Secondo il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan e il Gruppo di Lavoro sulla Discriminazione contro le Donne e le Ragazze, i Talebani potrebbero perpetrare persecuzioni di genere e apartheid di genere, poiché sembrano governare attraverso una discriminazione sistematica con l’intento di sottomettere donne e ragazze a un dominio totale. Secondo l’UNAMA, le donne afghane temono arresti e punizioni ogni volta che viene annunciato un nuovo editto a causa delle crescenti molestie da parte della polizia. Secondo quanto riferito, donne e ragazze sono state costrette a salire a bordo di veicoli della polizia e sottoposte a maltrattamenti. Le donne e le ragazze sciite Hazara sono state colpite in modo sproporzionato. Anche attiviste per i diritti delle donne e sostenitrici della parità di genere hanno subito uccisioni mirate, sparizioni forzate, detenzioni in isolamento, aggressioni e molestie.

L’UNAMA ha inoltre documentato prove di esecuzioni extragiudiziali, arresti e detenzioni arbitrarie, detenzione in isolamento, torture e maltrattamenti commessi dai talebani nei confronti di operatori dei media, difensori dei diritti umani e individui affiliati al precedente governo, tra gli altri gruppi specifici.

Nel frattempo, individui appartenenti a minoranze etniche e religiose sono spesso presi di mira dai Talebani, dall’ISIL-K e da altri. Membri di queste comunità sono stati arrestati arbitrariamente, torturati, giustiziati sommariamente e costretti alla fuga. L’ISIL-K rivendica frequentemente attacchi contro gli Hazara sciiti, altri musulmani sciiti, musulmani sufi, sikh e altre minoranze, nonché contro luoghi di culto. Il Relatore Speciale delle Nazioni Unite ha riferito che questi attacchi sembrano essere di natura sistematica e riflettono elementi di una politica organizzativa, probabilmente assimilabili a crimini contro l’umanità.

La popolazione afghana sta attraversando una grave crisi umanitaria, aggravata dall’impatto delle sanzioni e dal congelamento dei beni statali. Nel dicembre 2021, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione 2615, che consente l’afflusso di aiuti umanitari in Afghanistan senza violare le sanzioni ONU contro i talebani, in vigore dal 2011.

I Talebani hanno detenuto di fatto il potere in Afghanistan dal 1996 al 2001, prima di essere rovesciati da una coalizione di forze militari della NATO. Durante due decenni di insurrezione contro il governo afghano riconosciuto a livello internazionale, i Talebani hanno perpetrato probabili crimini contro l’umanità e crimini di guerra, mentre le forze di sicurezza afghane e i membri dell’esercito statunitense e della Central Intelligence Agency hanno a loro volta commesso probabili crimini di guerra. Nel marzo 2020, la Corte penale internazionale (CPI) ha avviato un’indagine sulle presunte atrocità commesse a partire dal luglio 2002, concentrandosi sui crimini commessi dai Talebani e dall’ISIL-K.

SVILUPPI RECENTI

Il 23 gennaio, il Procuratore Capo della CPI ha depositato richieste di mandato d’arresto per i leader talebani Haibatullah Akhundzada e Abdul Hakim Haqqani per il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere, segnando la prima accusa di questo tipo presentata dalla Corte. Nel settembre 2024, Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi hanno annunciato l’avvio di un procedimento legale contro l’Afghanistan presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) per violazioni della CEDAW.

I talebani hanno intensificato le restrizioni ai diritti e alle libertà, prendendo di mira in particolare le donne, la società civile e la stampa. Entro la fine del 2024, i talebani hanno annunciato l’intenzione di revocare le licenze alle ONG che impiegano donne afghane, di vietare le finestre che si affacciano su aree in cui le donne lavorano o si riuniscono e di chiudere 12 organi di stampa.

I cittadini afghani in Pakistan, inclusi rifugiati, migranti regolari e irregolari, nonché coloro che attendono il reinsediamento, affrontano rischi crescenti di rimpatrio forzato nell’ambito di un nuovo piano in più fasi del governo pakistano. Decine di migliaia di rifugiati in attesa di reinsediamento in paesi terzi a Islamabad e Rawalpindi devono trasferirsi entro il 31 marzo, pena l’espulsione.

ANALISI

La distorsione dei principi religiosi da parte dei Talebani per giustificare politiche discriminatorie e persecutorie, unitamente a misure che ridefiniscono i confini della pratica religiosa accettabile per la popolazione più ampia, rappresenta un grave rischio di ulteriori crimini contro l’umanità. Gli sforzi dei Talebani per escludere donne e ragazze dalle sfere sociali, economiche e politiche, compresa la discriminazione di genere e la violenza istituzionalizzata su larga scala contro di loro, equivalgono probabilmente a persecuzione di genere, un crimine contro l’umanità. Le continue restrizioni alle libertà fondamentali e l’impunità per violazioni e abusi passati e in corso creano un ambiente favorevole a violazioni più gravi del diritto internazionale e a ulteriori crimini atroci contro donne e ragazze.

I Talebani prendono spesso di mira giornalisti, funzionari pubblici, difensori dei diritti umani e persone affiliate al precedente governo, con violazioni che sembrano perpetrate su base diffusa e sistematica. Gli attacchi mirati sono in gran parte ignorati a causa della repressione talebana dei media indipendenti e della chiusura dello spazio civico. Attualmente non esistono organismi nazionali indipendenti che documentino le violazioni dei diritti umani a causa dello smantellamento di istituzioni chiave, tra cui la Commissione indipendente afghana per i diritti umani e l’Ufficio del Procuratore generale. I Talebani hanno inoltre vietato l’accesso al Paese al Relatore speciale.

VALUTAZIONE DEL RISCHIO

Decenni di violazioni del diritto internazionale e di impunità per tali crimini.

Discriminazione di genere istituzionalizzata, sistematica e su larga scala da parte delle autorità de facto dei talebani nei confronti di donne e ragazze.

Attacchi mirati, diffusi e sistematici, perpetrati dall’ISIL-K e dai talebani contro le minoranze etniche e religiose.

Mancanza di media indipendenti e repressione della società civile e dei difensori dei diritti umani.

Debolezza delle strutture statali nel proteggere le popolazioni vulnerabili e riluttanza delle autorità de facto a rispettare gli obblighi di diritto internazionale.

AZIONE NECESSARIA

In quanto autorità di fatto, i Talebani sono vincolati dagli obblighi internazionali in materia di diritti umani, codificati nei trattati di cui l’Afghanistan è parte, tra cui la CEDAW. Devono rispettare tali obblighi, anche ponendo fine alle violazioni e agli abusi perpetrati dai loro funzionari e garantendo la pari protezione e promozione dei diritti umani a tutte le persone in Afghanistan, indipendentemente da genere, origine etnica, credo religioso o affiliazione politica. I Talebani dovrebbero consentire alla comunità internazionale di fornire assistenza per adempiere a tali obblighi. Qualsiasi sforzo volto alla normalizzazione delle relazioni con i Talebani deve essere subordinato al rispetto dei diritti umani e dei diritti delle donne, in linea con il diritto internazionale.

I Talebani devono indagare sui modelli di violazione dei diritti umani e adottare misure per prevenirli in futuro, anche assicurando i responsabili alle loro responsabilità. Devono revocare le restrizioni e consentire al Relatore Speciale un accesso sicuro e senza restrizioni in Afghanistan. I Talebani dovrebbero collaborare pienamente con l’UNAMA e l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.

La comunità internazionale dovrebbe continuare a perseguire la giustizia per i probabili crimini atroci commessi in Afghanistan, indipendentemente dalla posizione, dalla nazionalità o dall’affiliazione del presunto autore. La comunità internazionale dovrebbe cooperare e fornire supporto alla CPI e alla Corte Internazionale di Giustizia. Tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite dovrebbero garantire che il Servizio per i Diritti Umani dell’UNAMA disponga di risorse sufficienti per svolgere appieno il suo mandato. Gli Stati confinanti devono rispettare il principio di non respingimento.

Il CISDA è con Emily!

CISDA, Comunicato

La vicesindaca di Bologna, Emily Clancy, è stata pesantemente attaccata sui social nei giorni scorsi, con insulti misogini e sessisti, per aver osato commentare una campagna pubblicitaria dell’associazione “Genitori sottratti”, che con manifesti su cui erano riportate frasi violente pronunciate dalle donne nei confronti degli uomini da cui si separano, mirava a ribaltare la campagna avviata dalla regione Emilia-Romagna contro la violenza di genere.

Questo il nostro messaggio di sostegno e vicinanza

COMUNICATO STAMPA

Il Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) esprime la propria vicinanza e solidarietà alla vicesindaca di Bologna, Emily Clancy, aggredita verbalmente attraverso i social con insulti misogini e sessisti.

La vicesindaca, esercitando il proprio mandato, ha espresso un giudizio politico che condividiamo pienamente: ha denunciato la campagna pubblicitaria a favore dei “padri separati” dell’associazione Genitori Sottratti, sedicenti vittime di discriminazione in caso di separazione.

Evidentemente a corto di argomentazioni a favore delle proprie posizioni, che mirano ad occultare la gravità e l’incidenza della violenza domestica nel nostro Paese e la necessità di tutele legali, i sostenitori della campagna hanno confermato la bassezza e l’inconsistenza delle proprie convinzioni, insultando pesantemente la vicesindaca.

Chiediamo che vengano identificati i soggetti responsabili e vengano applicate le sanzioni previste dalla legge. Ma soprattutto, ci preoccupa l’arroganza delle forze politiche che, trincerandosi dietro un male inteso diritto alla libera espressione, sostengono associazioni che veicolano discorsi di odio contro le donne e tentano grottescamente di occultare lo squilibrio di potere che ancora si impone all’interno delle famiglie e nella società anche nel nostro “emancipato” Occidente.

L’impegno nel contrastare la violenza di genere in ogni luogo del pianeta ci impone di non sottovalutare ogni tentativo di intimidire e mettere a tacere le donne che si espongono nella difesa dei diritti di tutte.