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Tag: Diritti delle donne

Abbattiamo le mura del silenzio, ridiamo voce alle donne afghane

Una petizione e una raccolta firme del Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane chiede al nostro governo e all’Onu di riconoscere un nuovo crimine contro l’umanità al pari delle discriminazioni su base etnica. Intanto è il Parlamento su iniziativa di Laura Boldrini ad accogliere la proposta. Mentre Kabul lancia un ultimatum alle Ong contro l’impiego di personale femminile. Per abbattere le mura del silenzio, ridiamo voce alle donne afghane

ANPI, Redazione, 7 gennaio 2025

Se ne parla da anni, con un nulla di fatto. Ma le donne sono determinate quando si tratta di affermare la loro dignità e la richiesta di rispetto e parità. Perché se la strada del riscatto di genere è lunga e tortuosa, la storia delle battaglie dei movimenti femminili lo è altrettanto, e ha temprato lotta dopo lotta.

Cos’è l’apartheid di genere

L’iniziativa è internazionale, volta a sensibilizzare e ottenere “il riconoscimento legale di qualsiasi atto, politica, pratica o omissione che, in modo sistematico e istituzionalizzato, stabilisce, mantiene o perpetua il dominio di un genere sull’altro attraverso la segregazione, l’oppressione o la discriminazione”. Questo il significato di “apartheid di genere” elaborato da giuriste del Cisda, il Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane.

Una nuova fattispecie di reato, dunque, diverso da quello di discriminazione razziale come definito nello Statuto di Roma che, entrato in vigore nel 2002, ha istituito la Corte penale internazionale. Un delitto non ancora previsto dai trattati globali, permettendo così impunità giuridica a chi, realtà statuali o gruppi organizzati, viola i diritti umani con angherie sessuali, stupro, negazione dei diritti riproduttivi, sia delle donne sia della comunità Lgbtqi+.

Come sottolinea la campagna lanciata dal Cisda esiste una stretta relazione tra l’apartheid di genere e tutti i fondamentalismi. Perché il tema non riguarda unicamente alcune rigide interpretazioni dei precetti islamici o le posizioni estreme dei movimenti cristiani antiabortisti, e nemmeno solo la religione. Abita dovunque, precisa l’associazione, prevalga con la forza e la violenza l’idea che tra sfera pubblica – fedeltà a un credo o a una visione politica – e vita civile non ci possa essere distinzione.

La campagna del Cisda, a cui tra le altre associazioni ha subito aderito l’Anpi con il Coordinamento Donne, è stata lanciata, o meglio rilanciata lo scorso 10 dicembre, Giornata mondiale per i diritti umani, in vista del Trattato globale per la prevenzione e la punizione dei crimini contro l’umanità in elaborazione alle Nazioni Unite. Le negoziazioni vere e proprie saranno avviate nel 2028 e 2029, quindi per l’iter necessario a stabilire accordi internazionali il tempo stringe.

L’etimologia della parola apartheid deriva dalla lingua afrikaans dei coloni bianchi nell’Africa meridionale, ma il termine è ormai utilizzato a livello globale per indicare una forma di dominio sistematico di una categoria, sia etnica sia di genere sull’altra. Proprio come in Afghanistan, dove alle donne è vietato perfino parlare in pubblico.

Si tratta anche di assumersi una responsabilità storica e politica: Paesi e potenze mondiali dove la laicità è un valore condiviso, pur di garantire “la loro egemonia coloniale hanno finanziato e armato gruppi fondamentalisti, generando decenni di guerre con migliaia di vittime civili, corruzione endemica, traffico di droga, devastazione del tessuto sociale e ambientale e migrazioni forzate”. Così con i talebani e così dopo il crollo del regime di Assad in Siria, arrivando al paradosso di sentir definire “ribelli” i paramilitari dell’impronunciabile Al Qaeda, ora dipinta in Occidente come democratica e liberatrice.

Il dibattito a Montecitorio

Pochi giorni fa, l’Italia grazie a una mozione presentata da Laura Boldrini in Commissione Esteri a Montecitorio (presieduta da Giulio Tremonti, che con la “cultura non mangia, ricordate”?), ha accolto all’unanimità la proposta di introdurre nella convenzione sui crimini contro l’umanità in discussione all’Onu il reato di “segregazione di genere”.

In un’oretta di dibattito, dove la Lega avrebbe voluto che “genere” si riferisse “esclusivamente ai due sessi, maschile e femminile, escludendo la tutela della comunità Lgbtqi+, e altri rappresentanti della maggioranza di governo (per esempio Forza Italia) si siano opposti ad adottare il termine “apartheid”, nonostante in sede di Parlamento europeo lo scorso settembre avessero votato favorevolmente, il risultato è stato tuttavia raggiunto. Frutto di mediazione lessicale, il vocabolo “segregazione” proposto dal Pd ha messo tutti d’accordo.

Ben disposto anche il viceministro agli Esteri Edmondo Cirielli (arrivato agli onori delle cronache una manciata di giorni fa per aver affermato che “Il tratto distintivo più profondo del fascismo era uno spirito straordinario di libertà”). Conclusione: nonostante la riformulazione non corrisponda esattamente agli obiettivi prefissati “L’Italia sosterrà l’introduzione del reato di ‘segregazione di genere’ nella convenzione sui crimini contro l’umanità in discussione all’Onu”.

Resta essenziale quindi, politicamente ed eticamente, sostenere la campagna del Cisda. Perché bisogna salvare vite umane in Afghanistan, Iran, Arabia Saudita, Yemen, dovunque l’essere donna è in sé fonte di “persecuzione di Stato”.

CLICCA QUI PER FIRMARE

Per sottoscrivere la petizione “STOP FONDAMENTALISMI – STOP APARTHEID DI GENERE” si può cliccare direttamente al link https://www.cisda.it/campagne-e-petizioni/stop-fondamentalismi-stop-apartheid-di-genere. Sulla pagina online del Cisda inoltre è disponibile utile materiale informativo https://www.cisda.it/wp-content/uploads/2024/12/Press-Kit.zip

L’associazione chiede inoltre al governo italiano di sostenere l’azione presa da Australia, Canada, Germania, Paesi Bassi, e appoggiata da altri 22 Stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale (dove devono rispondere gli Stati) per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW, il primo e finora il più importante strumento internazionale giuridicamente vincolante in materia di diritti delle donne), di cui l’Afghanistan è firmatario.

Cisda inoltre chiede che Palazzo Chigi supporti l’attività di Cile, Costa Rica, Spagna, Francia, Lussemburgo e Messico di sottoporre alla Corte Penale Internazionale (che si occupa dei crimini commessi da persone in carne e ossa) per ulteriori indagini le continue violazioni dei diritti delle donne compiute dai talebani.

La capacità di lotta delle donne è straordinaria

Le donne di tutto il mondo possiedono una straordinaria capacità di fare tesoro delle lotte di altre donne, indipendentemente dai confini nazionali. Questa solidarietà femminile trascende le divisioni politiche, culturali e geografiche, creando una rete globale di supporto e resistenza.

La storia propone esempi. Già nell’antica Grecia, donne come Saffo e Aspasia hanno cercato di sfidare le norme patriarcali della loro epoca. Durante la Rivoluzione Francese, le femmes parigine marciarono su Versailles per chiedere pane e giustizia, un atto di coraggio che ispirò future generazioni di attiviste. Allo stesso modo, le suffragette britanniche all’inizio del XX secolo lottarono instancabilmente per il diritto di voto, influenzando movimenti simili in tutto il mondo.

Durante la Resistenza italiana le donne hanno svolto un ruolo fondamentale, non solo nella lotta contro l’occupazione nazifascista ma anche nella costruzione di una rete di solidarietà che ha superato i confini nazionali. Come corriere, infermiere e combattenti, le donne italiane hanno mostrato una straordinaria determinazione. La loro lotta non si è limitata al contesto locale; ha infatti ispirato e ricevuto sostegno da donne in tutto il mondo, creando un legame di solidarietà internazionale.

In tempi più recenti, abbiamo assistito a un incremento della solidarietà femminile internazionale.

Il movimento delle donne curde ha svolto un ruolo cruciale nella difesa e liberazione dall’Isis della regione autonoma del Rojava in Siria. Il loro motto “Jin, Jiyan, Azadî” (Donna, Vita, Libertà) è migrato in Iran dopo l’uccisione da parte della polizia morale iraniana di Masha Amini per sfidare le restrizioni imposte dal regime, con il movimento “Donna, Vita, Libertà”. Un grido che ha visto milioni di donne, da Teheran a New York, unirsi per chiedere cambiamenti significativi.

L’arresto della giornalista italiana Cecilia Sala, dal 19 dicembre scorso detenuta nel carcere di Evin, periferia della capitale, fa riflettere. Non sono state formulate precise accuse formali, solo uno scarno comunicato dell’agenzia statale Irna: “La cittadina italiana è arrivata in Iran il 13 dicembre con un visto giornalistico ed è stata arrestata il 19 per aver violato la legge della Repubblica islamica dell’Iran”. Seppur si sospetta che la vicenda possa essere una rappresaglia per l’arresto in Italia di un ingegnere iraniano, il caso evidenzia le difficoltà e le sfide che le donne giornaliste affrontano in Paesi dove i diritti umani sono costantemente violati.

Le donne afghane, sotto il regime talebano, trovano nella comunità internazionale una voce che amplifica le loro richieste di diritti fondamentali. E Kabul continua con il pugno di ferro. In una lettera pubblicata qualche giorno fa su X (il social di Musk) il ministero dell’Economia del Paese ha minacciato la chiusura di tutte le ONG che impiegano donne afghane, minacciando di sospendere le attività e revocare le licenze alle organizzazioni umanitarie che lavorano nel Paese nei progetti di sviluppo e di aiuto.

Le guerre sono le più acerrime nemiche dei diritti delle donne. Le donne di Gaza stanno affrontando da quindici mesi una realtà devastante, segnata da sofferenze inimmaginabili. L’aggressione targata Netanyau ha causato nella Striscia la morte di oltre 41.600 persone e ne ha ferite 96.000, la maggior parte donne e bambini. La mancanza di accesso a servizi essenziali come ospedali, acqua e cibo aggrava ulteriormente la situazione. Molte donne incinte e in fase di allattamento affrontano sfide critiche per accedere alle cure prenatali e postnatali.

Un altro esempio di lotte comuni dei nostri tempi è quello delle donne migranti, che spesso affrontano discriminazioni e violenze. In risposta, organizzazioni femminili in diversi Paesi hanno creato reti di supporto per offrire assistenza e protezione, dimostrando che la forza della solidarietà può superare le barriere più ostili.

La capacità di fare patrimonio delle battaglie di altre donne è una delle più grandi risorse del movimento femminista. È un richiamo potente alla giustizia e all’uguaglianza, unito dalla convinzione che i diritti delle donne non possono essere limitati da confini nazionali. La lotta di una donna in un angolo del mondo è la lotta di tutte le donne, ovunque esse siano.

Abbattiamo le mura del silenzio, ridiamo voce alle donne afghane.

La lotta contro l’apartheid di genere è una battaglia cruciale per i diritti umani non solo delle donne, nel XXI secolo è di tutte e tutti.

 

CISDA – Stop Fondamentalismi. Stop Apartheid di genere

Giovanna Cardarelli, ANPI Oggi e Domani, dicembre 2024

Dopo quasi tre mesi è terminato il lungo periodo in Italia di Shakiba, militante di Rawa (Associazione Rivoluzionaria Donne Afghane), sostenuta da Cisda dal lontano 1999

La sua presenza in molteplici iniziative sul territorio, con ampia partecipazione ovunque, è stata molto preziosa per poter ascoltare dalla sua voce come vivono le donne in questo momento in Afghanistan ma soprattutto come le attiviste di Rawa, che sono rimaste nel paese, hanno deciso di continuare la lotta politica e di resistenza al regime talebano misogino e fondamentalista.

Sentire dalla sua voce cosa significa lottare e resistere, anche dalla clandestinità, in quel paese è stato molto importante; manifestare è molto pericoloso ma le donne non si fermano, per tutte loro può voler dire essere arrestate, torturate e a volte anche uccise come già successo.

Le costrizioni che i talebani hanno imposto alle donne sono molteplici; non possono studiare, non possono lavorare, non possono uscire sole ma devono essere accompagnate da un uomo, non possono far sentire la loro voce, le donne indigenti arrestate per aver mendicato in base alle nuove e draconiane leggi dei talebani hanno parlato di stupri e percosse “brutali” subite durante la detenzione; insomma qualsiasi cosa è loro preclusa, vivono in un regime di apartheid dimenticate un po’ da tutti ma non da chi vuole fare affari con i talebani a scapito dei diritti umani e riconoscendo così di fatto quel regime

Il paese vive una forte crisi umanitaria, non c’è lavoro, non ci sono soldi, si vive in uno stato di miseria, le inondazioni di quest’autunno hanno aggravato la situazione di interi villaggi che, governate da talebani, non hanno ricevuto aiuti.

Noi continuiamo a sostenerle sia politicamente che con progetti che loro stesse hanno avviato; attraverso raccolte fondi e progetti riusciamo ad inviare danaro per le loro attività, dalle scuole segrete per ragazze e donne, a piccoli shelter ecc. Aggiornamenti su tutto questo su www.cisda.it

Ora che Shakiba è tornata in Afghanistan spetta a noi di Cisda continuare ad essere la loro voce e tenere alta l’attenzione sulle condizione di apartheid che stanno vivendo le donne in quel paese

Cosa abbiamo fatto in questo ultimo periodo
Con la rete di associazioni con la quale collaboriamo in Italia e in Europa, abbiamo lanciato una campagna “STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE” che vuole spingere il nostro Governo – in quanto membro delle Nazioni Unite e di Istituzioni Internazionali – a prendere posizione contro il governo di fatto dei Talebani e a sostenere la proposta di codificazione del reato di Gender Apartheid nei Trattati Internazionali.

Come prima azione della Campagna abbiamo avviato una PETIZIONE in occasione della giornata mondiale per i diritti umani: potete firmarla direttamente sul sito Cisda, sia individualmente che come Associazione, Enti, Partiti ecc. aiutandoci a sostenerla e a diffonderla.

Il CISDA, in collaborazione con alcune giuriste, ha inoltre redatto e inviato una “proposta di codificazione del reato di “apartheid di genere” come contributo della società civile ai lavori in corso della Sesta Commissione giuridica dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per un recepimento nella Convenzione sulla prevenzione e la punizione dei crimini contro l’Umanità in fase di discussione da parte dell’ONU.

Il divieto dei talebani di studiare medicina scatena le proteste delle donne in tutte le province

Il nuovo divieto imposto dai talebani pone fine all’istruzione medica per le donne, sollevando allarme sul futuro dell’assistenza sanitaria per le donne afghane

Afghan Witness, CIR, 20 dicembre 2024

Il 2 dicembre 2024, giornalisti e agenzie di stampa afghane hanno riferito che il leader supremo dei talebani Hibatullah Akhundzada aveva emanato un nuovo decreto che proibiva alle donne di iscriversi e frequentare studi negli istituti medici. Secondo i media afghani , la decisione è stata annunciata dal ministro della Salute pubblica dei talebani in un incontro con i responsabili degli istituti sanitari di Kabul. Questa nuova misura proibirà alle donne di studiare ostetricia, protesi dentarie, infermieristica, scienze di laboratorio, tra le altre materie.

Cronologia delle restrizioni all’istruzione delle donne e delle ragazze
La decisione segue una serie di restrizioni all’istruzione di donne e ragazze. A marzo 2022, le autorità di fatto hanno vietato alle ragazze di studiare oltre la sesta elementare (circa 11 anni). A dicembre 2022, la decisione è stata estesa a un divieto nazionale per le donne di iscriversi e studiare nelle università. A dicembre 2023, le autorità talebane hanno chiuso vari istituti privati, nonostante la mancanza di una decisione ufficiale in merito. A febbraio 2024, i talebani hanno proclamato che alle laureate sarebbe stato consentito di presentare domanda per studiare in istituti medici pubblici in 11 province . Tuttavia, tale risoluzione è stata annullata nell’annuncio più recente.
Secondo fonti di AW a Kabul, l’unica forma di istruzione laica rimasta disponibile per le ragazze oltre la sesta elementare nella capitale sono i corsi di lingua inglese offerti da centri privati ​​a un costo elevato. Questo è probabilmente il caso di altre aree urbane, lasciando donne e ragazze provenienti da famiglie più povere o da aree rurali senza accesso a nessuna forma di istruzione laica.

Reazioni delle organizzazioni internazionali
In seguito alla decisione, Médecins Sans Frontières (MSF, Medici Senza Frontiere) ha rilasciato una dichiarazione sul proprio sito web. L’organizzazione, che gestisce progetti in sette province in cui più della metà dei suoi dipendenti sono donne, ha affermato che “non c’è un numero sufficiente di operatrici sanitarie nel paese” e che “le nuove limitazioni limiteranno ulteriormente l’accesso a un’assistenza sanitaria di qualità e porranno seri pericoli alla sua disponibilità in futuro”.
Il 9 dicembre 2024, l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha rilasciato un comunicato stampa in cui si riferiva alla nuova misura come a un “divieto draconiano”. L’OHCHR ha sottolineato che, poiché attualmente solo le donne sono autorizzate a fornire assistenza medica a ragazze e donne in Afghanistan, la nuova misura “porterà a inutili sofferenze, malattie e forse morti di donne e bambini afghani, ora e nelle generazioni future, il che potrebbe equivalere a femminicidio”.
Le proteste delle donne in risposta all’annuncio
La decisione di vietare alle donne di proseguire gli studi nel settore sanitario è stata accolta con proteste in tutto il Paese. A Badakhshan Kabul , Kapisa e Takhar , decine di studentesse si sono radunate dentro e fuori i loro istituti scolastici per protestare.
A Herat, le donne si sono radunate fuori dal complesso del governatore talebano, tenendo cartelli con la scritta “L’istruzione è un nostro diritto”, “La scienza è un nostro diritto” e “Cerca la conoscenza dalla culla alla tomba” (un detto popolare in dari). Il gruppo di donne che protestavano è stato sfidato da presunti membri talebani di Herat che sono stati visti parlare con il gruppo, tuttavia, AW non è stato in grado di tradurre ciò che è stato detto tra loro. Secondo Afghanistan International, che ha condiviso il video, “i combattenti talebani hanno cercato di interrompere la protesta delle donne”.
La maggior parte delle donne ha scelto di protestare al chiuso, la maggior parte in luoghi non divulgati e con il volto coperto. AW ha identificato cinque gruppi organizzati guidati da donne che protestavano al chiuso. Tutti i gruppi sono stati creati tra il 2021 e il 2023 e sono stati attivi da allora, come si vede nella Tabella 1 di seguito.

 Reazione dei gruppi di opposizione armata
Oltre ai gruppi di donne, anche un gruppo di resistenza armata avrebbe agito per rappresaglia contro le nuove restrizioni. Il 3 dicembre 2024, l’Afghan Freedom Front (AFF) ha condiviso un video che mostrava presumibilmente un attacco contro veicoli talebani. Secondo la dichiarazione dell’AFF, l’esplosione aveva come obiettivo un convoglio talebano diretto all’ospedale Khair Khana da 102 posti letto a Kabul per allontanare con la forza le tirocinanti infermiere e ostetriche dai locali.
Non è la prima volta che AW registra che l’AFF rivendica un attacco a sostegno delle donne: nel gennaio 2024, durante gli arresti in corso di donne e ragazze da parte di membri talebani con l’accusa di abbigliamento inadeguato, l’AFF ha preso di mira anche un convoglio di veicoli talebani nel quartiere Khair Khana di Kabul.

Osservazioni
L’amministrazione de facto dei talebani ha gradualmente imposto restrizioni sempre più severe all’accesso all’istruzione per donne e ragazze da quando hanno preso il potere nell’agosto 2021. Fino a poco tempo fa, alle donne era ancora consentito formarsi per diventare operatrici di supporto sanitario. Tuttavia, la decisione più recente del dicembre 2024 impedisce di fatto alle donne di iscriversi e studiare negli istituti sanitari in tutto il paese.
Con il nuovo divieto in vigore, le ragazze oltre la sesta elementare non hanno accesso all’istruzione laica nel paese, ad eccezione dei corsi di inglese offerti da istituti privati, probabilmente disponibili solo nelle grandi città. Per la maggior parte delle donne e delle ragazze afghane, gli istituti religiosi rappresentano ora l’unica opzione per l’istruzione.

 

GRUPPI CHE HANNO PROTESTATO – PRIMA E ULTIMA LORO PROTESTA

Women’s Movement Toward FreedomMarzo 2023Dicembre 2024
Network for Women’s Political Participation in Afghanistan Settembre 2021Dicembre 2024
Association of Resilient Women of AfghanistanDicembre 2022Dicembre 2024
Purple Saturdays MovementDicembre 2022 Dicembre 2024
Spontaneous Movement of Afghanistan’s Women ProtestersSettembre 2021Dicembre 2024

Afghanistan, scuole itineranti a sostegno del diritto allo studio delle bambine

Vatican News, 8 gennaio 2025 di Federico Piana

L’azione di Wazir Khan a favore dell’istruzione femminile. Con l’organizzazione Today Child ne garantisce l’accesso a ragazze e bimbe. “Senza la cultura, lo sviluppo del Paese è impossibile”

Un gruppo di bambine, sedute in terra, le spalle poggiate ad un muro. La testa coperta da un foulard colorato e l’aria di chi è interessato a scoprire qualcosa di nuovo, che forse non aveva mai visto prima. Gli occhi sono rivolti verso il basso, sulle pagine di un libro che stringono in mano con stupore e curiosità. A prima vista, la descrizione minuziosa di questa fotografia potrebbe apparire insignificante, perfino banale. Ma acquista una forza dirompente se si viene a sapere che quelle pupille voraci di conoscenza sono di chi farà una fatica immane ad avere accesso all’istruzione primaria mentre quelle secondaria ed universitaria rimarranno un sogno, da tenere chiuso nel cassetto. Già, perché, nell’ Afghanistan governato dai talebani, alle donne è stato negato il diritto di apprendere, escludendole di fatto dai maggiori centri educativi e di specializzazione. Non che per i bambini ed i ragazzi le cose vadano meglio: negli ultimi anni, il Paese dell’Asia meridionale ha raggiunto il più basso tasso di alfabetizzazione del mondo e oltre la metà della sua popolazione non sa né leggere né scrivere. Se si guarda bene la foto delle bambine con il libro, ci si accorgerà anche di un’altra rivoluzione: la mano che con amore e gentilezza sta distribuendo il testo è quella di un giovane quasi venticinquenne che ha deciso di sfidare diktat, leggi e consuetudini, mettendo a rischio la propria vita. Un caso più unico che raro in una nazione dove anche le grandi istituzioni internazionali faticano a cambiare la situazione. E dove in molti preferiscono gettare la spugna.

La scuola senza muri

Wazir Khan è un afghano originario del distretto di Pol-e-Khomri, nella provincia di Baghlan, ad oltre 200 chilometri di distanza dalla capitale, Kabul. Musulmano praticante e studente universitario modello, non sopporta la decisione di escludere le donne dai percorsi formativi e odia vedere nelle periferie sperdute del suo Paese intere frotte di bambini lasciati vagare senza istruzione, abbandonati a loro stessi. Ecco che allora prende il coraggio a quattro mani e fonda una scuola itinerante che non c’è. Non ha muri, banchi, aule, sedie.

La lavagna se la porta dietro, in pellegrinaggio come fosse una reliquia, da una zona remota ed impervia all’altra. I suoi alunni si riuniscono ogni volta all’aperto, nella polvere, quando fa freddo o quado fa caldo: ma a loro proprio non importa, non saltano mai una lezione, non lo farebbero per nulla al mondo. All’inizio sono pochi, poi aumentano sempre di più fino a diventare decine e decine perché i genitori e le comunità locali raggiunte dal giovane universitario imparano a conoscerlo e a fidarsi di lui, fino ad affidargli anche le bambine.

Quando i media vaticani riescono a contattarlo per fargli raccontare la sua storia, Wazir Khan spiega che tutto è partito “dall’est dell’Afghanistan, dal distretto di Bagrami e da quello di Khakjabar, dove ho avviato le prime campagne per incoraggiare le persone a sostenere l’istruzione e a far di tutto per educare le loro ragazze”.

La nascita di Today Child

Le materie che insegna fin dal principio sono diverse: “Oltre all’inglese, il pashtu e il dari – lingue ufficiali afghane- e alcune materie islamiche. L’età dei bambini e delle bambine è compresa tra i 5 i 10 anni”. In poco tempo la fama dell’attivista con la passione dell’insegnamento dilaga e lui si rende conto di non potercela più fare da solo al punto che dà vita a un’organizzazione no profit, Today Child: “Era il 2022 e da allora, nel nostro gruppo, abbiamo accolto una trentina di volontari: tutti lavoriamo a titolo gratuito e il nostro principale obiettivo è quello di operare nel campo dell’istruzione continuando le nostre scuole itineranti. Recentemente, abbiamo anche dato vita a delle campagne educative per far capire alla gente quanto sia importante la scuola, quanto sia fondamentale imparare”.

Today Child, fin da subito, ha deciso di sostenere le ragazze che vogliono studiare anche “distribuendo loro libri e materiale di cancelleria. Una battaglia per far rispettare un diritto negato che adesso stiamo combattendo anche utilizzando i social media”.

Wazir Khan e la sua Today Child sono coscienti che tutto quest’attivismo, soprattutto per le ragazze, potrebbe creare qualche problema, anche grosso. “Il governo ci non aiuta, anzi. Ogni passo che faccio può essere pericoloso. Ma la speranza non la perdo: lotterò al fianco delle ragazze affinché possano di nuovo accedere all’istruzione”.

Uno dei suoi obiettivi, nel breve futuro, è quello di creare in tutte le aree rurali della nazione dei centri per lo studio dedicati alle donne: “Sarebbe bello, come sarebbe bello fornire loro contenuti online per l’apprendimento. È vero, tutto questo è rischioso e crea enormi difficoltà ma non sto facendo nulla di sbagliato. Senza l’istruzione, lo sviluppo dell’Afghanistan è impossibile”.

I talebani hanno vietato di costruire finestre da cui si possano intravedere delle donne

Il Post, 30 dicembre 2024

Per esempio quelle che danno su cucine o cortili: è l’ennesima misura adottata in Afghanistan per rendere la loro vita ancora più difficile e isolata

Sabato 28 dicembre il regime dei talebani che governa in Afghanistan dal 2021 ha emanato un decreto che vieta di costruire, nei nuovi edifici, finestre che si affaccino su stanze e ambienti altrui dove potrebbero esserci delle donne. «Vedere le donne che lavorano in cucina, nei cortili o nei pozzi mentre raccolgono l’acqua, potrebbe indurre ad atti impuri», si legge nel decreto.

È soltanto l’ultima di una serie di regole imposte negli ultimi anni per limitare la vita sociale, l’indipendenza e l’autonomia delle donne, che secondo l’interpretazione dell’Islam estremamente conservatrice praticata dai talebani godono di molti meno diritti rispetto agli uomini.

Il decreto è stato emesso dal leader del regime afghano, Hibatullah Akhundzada, ed è stato annunciato su X dal suo portavoce Zabihullah Mujahid. Dal testo del decreto emerge una visione profondamente stereotipata e discriminatoria delle donne, che secondo i talebani appartengono agli ambienti della casa tradizionalmente associati alla cura e all’accudimento della famiglia: la cucina, appunto, e altri luoghi dove si può reperire e preparare del cibo per la famiglia.

L’indicazione del decreto non si limita agli edifici di nuova costruzione, ma anche a quelli già esistenti. Se una stanza ha già una finestra che si affaccia su una cucina o un cortile il proprietario dell’edificio è obbligato a trovare un modo per «evitare danni», per esempio installando un muro o qualcosa che schermi la vista. La norma renderà la vita delle donne ancora più separata da quella degli uomini, in una condizione ormai permanente di subalternità.

I talebani stanno applicando norme simili a quelle che emanarono durante il loro primo regime, dal 1996 al 2001, durante il quale alle donne furono negati moltissimi diritti. Quando ripresero il potere, nel 2021, cercarono di presentarsi come un gruppo moderato e aperto, che avrebbe trattato le donne in maniera diversa rispetto agli anni precedenti.

Già nei mesi successivi tuttavia divenne chiaro che non sarebbe stato così. Tra le altre cose, negli ultimi tre anni i talebani hanno chiuso le scuole secondarie femminili (l’equivalente di medie e superiori italiane), hanno proibito alle donne di accedere all’università, e hanno vietato l’accesso a parrucchieri e saloni di bellezza.

Lo scorso agosto hanno approvato la prima legge emanata dal ministero per la Prevenzione dei vizi e la Promozione delle virtù, creato per promuovere il rispetto di un’interpretazione estremamente rigida della dottrina islamica. La legge, divisa in 35 articoli, stabilisce per esempio che le donne non possano cantare, recitare o leggere ad alta voce in pubblico, dato che secondo i talebani la voce di una donna è qualcosa di intimo e deve rimanere privata. La legge vieta inoltre alle donne di viaggiare senza essere accompagnate da un uomo con cui hanno un legame di sangue, e di avere incontri di qualsiasi tipo con uomini che non siano loro parenti.

Due giorni dopo l’emanazione del decreto sulle finestre, inoltre, il regime ha annunciato che chiuderà le associazioni e le ong afghane e straniere che impiegano delle donne. Già nel 2022 i talebani avevano emanato un divieto simile, che però di fatto non era stato applicato.

Afghanistan, la stretta dei talebani: Le Ong con personale femminile costrette a chiudere

Il Fatto Quotidiano, 30 dicembre 2024

Il Ministero dell’Economia di Kabul ha annunciato la chiusura di tutte le Ong nazionali e straniere che impiegano personale femminile.

Nell’Afghanistan dei Talebani, che a dispetto delle promesse di cambiamento sembrano ricalcare fedelmente quella degli anni 90, un nuovo tassello si aggiunge al processo di cancellazione dei diritti delle donne. Dopo averle costrette a indossare il velo, averle escluse dagli spazi pubblici e dalla scuola oltre la prima media, e vietato l’accesso a gran parte dei lavori, ora arriva un ulteriore restrizione: alle donne sarà vietato lavorare nelle Ong.

Il Ministero dell’Economia di Kabul ha annunciato la chiusura di tutte le Ong nazionali e straniere che impiegano personale femminile. In una lettera pubblicata su X, le organizzazioni sono state avvertite che non rispettare il divieto comporterà la revoca immediata della licenza.

Lo stop riguarda qualsiasi attività che coinvolga donne all’interno di enti non controllati dai Talebani, un provvedimento che conferma la repressione nei confronti della libertà femminile. “In caso di mancata collaborazione, tutte le attività di quell’istituzione saranno cancellate e anche la licenza di attività concessa dal ministero sarà annullata”, ha ribadito il ministero.

 

DICHIARAZIONE DEL CONSIGLIO DELLE DONNE SIRIANE

22 dicembre 2024

DICHIARAZIONE DEL CONSIGLIO DELLE DONNE SIRIANE

Siamo donne che vivono in Siria, abbiamo vissuto per molti anni sotto le politiche nazionaliste e unilaterali del regime nazionalista baathista che non hanno riconosciuto la volontà delle donne. I popoli della Siria che si sono sollevati contro il crudele regime nel 2011 hanno subito la guerra, la migrazione, l’occupazione e la persecuzione dell’ISIS nei 13 anni successivi, periodo durante il quale le donne sono i soggetti che hanno sofferto di più.

Abbiamo lottato contro il regime baathista, contro l’ISIS, e anche contro tutte le forme di oppressione e di schiavitù. Abbiamo pagato un prezzo elevato, ma non abbiamo perso la speranza di vivere in una Siria libera e democratica. Siamo donne di tutte le etnie, religioni e culture, abbiamo fondato il Consiglio delle donne Siriane (Syrian Women’s Counsel),determinato a costruire un futuro libero per tutte le persone della Siria. Ora più che mai abbiamo la volontà e la determinazione di svolgere un ruolo di leadership più efficace in questo processo.

Gli sforzi per costruire un nuovo ordine in Siria dopo la caduta del regime baathistacontinuano. Questo percorso deve riconoscere la volontà delle donne a cui deve essere garantita rappresentanza equa e paritaria in quanto rappresentano più della metà della società siriana. Solo con la partecipazione paritaria delle donne e di tutti i gruppi religiosi, culturali ed etnici della Siria, potremo costruire il Paese democratico, giusto e sicuro che desideriamo.

In questi 13 anni, le donne del nord-est della Siria hanno lottato e si sono organizzate in tutti i settori della vita, ottenendo importanti conquiste. Hanno acquisito importanti competenze in politica, economia, autodifesa, giustizia e in molti altri campi. È ora che tutte le donne siriane beneficino delle conquiste fatte dalle donne in questa regione,ottenute con grandi sacrifici e alti costi, ed è quindi fondamentale difenderle. Una delle condizioni più importanti per la legittimazione a livello regionale e internazionale del nuovo sistema che si instaurerà in Siria è che sia garantito il ruolo delle donne nella creazione e nella gestione del nuovo sistema siriano.

La caduta del regime di Assad è stata un fattore positivo. Tuttavia, purtroppo, i crimini contro le donne a Idlib, Afrin, Jarablus, al-Bab, Serekani e Gire Spi – come le uccisioni, i rapimenti e la privazione dei diritti fondamentali – continuano. In questi luoghi, e ora anche a Minbij, i gruppi armati sostenuti dalla Turchia commettono crimini e proseguono conl’occupazione.

Oggi, mentre celebriamo la caduta del regime baathista, assistiamo anche a un allarmate aumento della violenza contro le donne e le minoranze religiose ed etniche – in particolare cristiane, alawite e druse – nelle regioni costiere e meridionali. Inoltre, continuano gli attacchi nel nord-est della Siria e i crimini efferati, come le brutali uccisioni e la decapitazione di donne, come è avvenuto a Tal Rifaat, da parte di fazioni armate sostenute dalla Turchia. Pertanto, al fine di prevenire queste violazioni e di porre fine alla paura e al pericolo che i nostri popoli stanno affrontando, chiediamo a tutte le forze politiche in Siria di lavorare per raggiungere i seguenti obiettivi.

I popoli siriani devono determinare il futuro della Siria.
Le norme internazionali e gli accordi di pace devono essere rispettati; fine della guerra e dei conflitti nella nostra regione e quindi chiusura dello spazio aereo siriano alle attività militari; cessazione di tutti gli attacchi sul territorio siriano e ritiro di tutti gli eserciti occupanti.
Rilascio immediato di tutte le donne ancora prigioniere nelle carceri dei gruppi armati a Idlib, Afrin, Jarabulus, al-Bab, Gire Spî (Tal Abyad) e Serekaniye (Ras al-Ain).
Istituzione di un comitato con la partecipazione attiva delle donne per garantire il ritorno sicuro dei rifugiati siriani sfollati e fine dell’occupazione del territorio siriano.
Garanzia di un’equa rappresentanza delle donne e delle organizzazioni delle donne di tutte le zone della Siria nella costruzione di un paese democratico e nel nuovo Comitato costituzionale.
Attuazione della Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; adozione di misure per garantire la partecipazione delle donne ai processi di pace; misure per prevenire i conflitti e per prevenire la violenza contro le donne durante e dopo i conflitti; effettiva partecipazione delle donne nei processi decisionali, di attuazione e di responsabilità nell’adozione di queste misure.
Istituzione di una commissione per la verità e la giustizia che indaghi e persegua tutti i crimini contro le donne e i diritti umani.
Garanzia che le donne partecipino in maniera equa e libera a tutti i meccanismi decisionali e settori della politica, dell’istruzione, della scienza e dell’economia.
Riconoscimento giuridico del diritto delle donne all’autodifesa.
Piena attuazione e garanzia del rispetto dei diritti umani sanciti dalle convenzioni internazionali, come la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW). Garanzia dei diritti fondamentali e dei diritti sociali delle donne.
Istituzione di un comitato che lavori per includere la volontà delle donne nelle istituzioni pubbliche e politiche sulla base della pari rappresentanza.
Istituzione di comitati di giustizia per i bambini che hanno subito danni psicologici e fisici a causa della guerra e della violenza.
Istituzione di un comitato che indaghi sulla distruzione dell’ambiente, sui crimini ambientali e per perseguire i responsabili, tra le altre misure necessarie da adottare.

Consiglio delle Donne Siriane

Syrian Women’s Counsil

20.12.2024