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Tag: Talebani

I Talebani intensificano l’apartheid di genere: decine di donne arrestate per “violazione dell’hijab”

CISDA, Comunicato, 25 luglio 2025

In questi giorni abbiamo ricevuto il racconto affranto delle donne appartenenti alle associazioni afghane che sosteniamo, le quali confermano le notizie allarmanti apprese da alcuni siti circa l’arresto arbitrario di decine di donne da parte della polizia morale, presumibilmente per “violazioni dell’hijab”, trattenute senza accesso a un legale, senza contatti con i familiari e senza assistenza medica.

Ci hanno scritto:

“Negli ultimi giorni, la situazione per donne e ragazze è tornata ad essere estremamente allarmante. La polizia morale pattuglia le strade, ferma i veicoli e trattiene le donne con la forza. Molte ragazze sono sotto shock e spaventate, hanno paura anche solo di uscire di casa. Secondo quanto riferito, dopo essere state rilasciate, alcune donne sono state rifiutate dalle loro famiglie, come se il peso dell’ingiustizia fosse ancora una volta posto sulle loro spalle.

Una ragazza, che per paura aveva inizialmente negato di avere subito un arresto, quando ha compreso il nostro sostegno ha iniziato a piangere e ha detto:

‘Per Dio, ero completamente coperta: indossavo l’hijab, la maschera e il chapan. Ma all’improvviso mi hanno circondata come animali selvatici, mi hanno insultata e colpita con una pistola”. Sono svenuta per la paura e il dolore. Quando ho ripreso conoscenza, mi trovavo in uno scantinato buio con decine di altre ragazze assetate e terrorizzate, senza alcun contatto con le nostre famiglie. Quello che abbiamo passato è stato peggio della morte…’.

Con voce tremante, ha aggiunto: ‘La libertà è stata l’inizio di un nuovo dolore. Il comportamento di tutti nei miei confronti è cambiato, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Vorrei non essere mai uscita di casa’.

Questa paura ha colpito profondamente anche le nostre studentesse. In molte, piangendo, hanno confermato quanto amano imparare, ma hanno chiesto di essere esentate dalla frequenza per qualche giorno, finché la situazione non si sarà calmata. Abbiamo deciso di sospendere le lezioni per due settimane. Anche oggi la polizia morale è passata diverse volte davanti al nostro centro e non possiamo mettere a repentaglio la sicurezza delle nostre studentesse.

Sono giorni bui e pesanti, ma la vostra presenza e il vostro sostegno sono per noi una luce di speranza e conforto, la vostra solidarietà ci dà la forza per andare avanti”.

Nel suo sito, RAWA NEWS informa:

In un nuovo e più intenso attacco alle libertà delle donne, i talebani hanno lanciato un’ondata di arresti arbitrari in tutto l’Afghanistan, prendendo di mira donne e ragazze accusate di aver violato l’interpretazione estremista che il gruppo dà delle regole sull’hijab. Solo nell’ultima settimana, decine di donne sono state arrestate a Kabul, Herat e Mazar-e-Sharif, applicando standard di “modestia” vaghi e mutevoli, senza alcun processo o giustificazione legale.

Questi arresti avvengono in strade, centri commerciali, caffè e campus universitari, spazi pubblici dove le donne cercano semplicemente di condurre la propria vita quotidiana. A Kabul, nelle zone di Shahr-e-Naw, Dasht-e-Barchi e Qala-e-Fataullah, i testimoni hanno riferito che in alcuni casi sono state aggredite fisicamente dagli agenti talebani prima di essere costrette a salire sui veicoli. Poi sono state trattenute nei cosiddetti “centri di moralità” – strutture gestite dal Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, un’istituzione temuta che ora opera come una forza di polizia religiosa – e rilasciate solo dopo che i loro tutori maschi firmavano garanzie scritte che avrebbero “corretto” il loro comportamento.

Negli ultimi giorni a Herat sono state arrestate almeno 26 donne, molte delle quali giovani e alcune minorenni; a Mazar-e-Sharif una decina, sempre con l’accusa di non coprirsi completamente il volto. I funzionari talebani hanno confermato gli arresti, sostenendo che le donne erano state avvertite in precedenza.

Secondo quanto riferito, le arrestate sono state trattenute senza poter usufruire di assistenza legale, contattare le proprie famiglie o ricevere cure mediche. Alcune famiglie hanno paura di far uscire di casa le proprie figlie, temendo che possano essere arrestate.

NON PER LA RELIGIONE MA PER IL PREDOMINIO

Le Nazioni Unite e gli osservatori dei diritti umani hanno condannato questi arresti, ritenendoli delle gravi violazioni del diritto internazionale e un chiaro segno di apartheid di genere. Tuttavia, i talebani non sembrano intenzionati a cedere. Anzi, i funzionari del ministero hanno raddoppiato le loro minacce, annunciando che qualsiasi donna trovata a indossare un “cattivo hijab” sarà punita immediatamente e senza preavviso.

Queste azioni non riguardano la religione, ma il predominio: i talebani usano l’imposizione del hijab come arma politica per mettere a tacere e cancellare le donne. Criminalizzando le normali scelte di abbigliamento, i Talebani inviano un messaggio agghiacciante: le donne non appartengono alla sfera pubblica e qualsiasi tentativo di affermare la propria presenza sarà represso con la forza. Si tratta di un’ulteriore fase del sistematico smantellamento dei diritti delle donne da parte dei talebani, che include il divieto di istruzione per le ragazze oltre la prima media, il divieto per le donne di lavorare con le ONG e le organizzazioni internazionali e dure restrizioni nella possibilità di movimento  e nell’abbigliamento.

Nonostante la crescente repressione, molte donne afghane resistono, rifiutandosi di scomparire, documentando gli abusi e parlando, anche a rischio della propria vita. Ma le loro voci sono accolte con indifferenza dalla maggior parte della comunità internazionale.

Il tempo delle condanne simboliche è finito. Le azioni dei talebani equivalgono a una prolungata campagna di persecuzione di genere e devono essere trattate come tali. Senza una pressione internazionale concreta, il regime continuerà senza controllo la sua guerra contro le donne, incoraggiato dal silenzio di un mondo che un tempo aveva promesso di stare dalla parte del popolo afghano.

Afghanistan, centinaia di donne arrestate a Kabul: apartheid di genere

Focus on Africa, 20 luglio 2025, di Giorgia Pietropaoli

Le forze talebane hanno condotto una nuova ondata di arresti di decine di giovani donne a Kabul, suscitando reazioni e condanne unanimi.

Gli arresti, avvenuti principalmente nei quartieri di Qala-e Fathullah, Kote- e Sangi, Dasht-e-Barchi e Shahr-e-Naw, sollevano gravi interrogativi sul rispetto dei diritti umani e sulla condizione femminile in Afghanistan.

Tra venerdì 17 luglio e sabato 18 luglio, per ordine del Ministero della Promozione della Virtù e della Prevenzione del Vizio diverse giovani donne sono state portate via, letteralmente sequestrate, senza precise accuse. Secondo fonti locali e testimonianze dirette raccolte da Afghanistan International e da testimoni presenti sul posto, gli arresti sono avvenuti in strada, anche nel centro città. Un testimone oculare ha riferito che i talebani hanno usato particolare violenza durante le operazioni, anche a causa dell’assenza di agenti donne.

Questa nuova ondata segue di pochi giorni un’analoga retata avvenuta mercoledì 15 luglio a Shahr-e-Naw, dove sono state arrestate quasi 100 giovani donne. I familiari, che ancora ignorano dove siano state condotte, sono molto preoccupati; hanno raccontato che le donne sono sono state arrestate nonostante la maggior parte di loro indossasse il velo islamico, prelevate da strade, mercati, minibus e persino ospedali e trasferite in centri di detenzione senza che siano state fornite motivazioni.

Un video diffuso da Afghanistan International mostra diverse donne terrorizzate circondate dai talebani, una di loro grida: “Ci avete privato della vita, dell’istruzione e della scuola; cosa volete di più? Temete Dio!”. Alcune delle donne arrestate mercoledì sono state rilasciate dopo una notte, ma solo dopo che le loro famiglie hanno fornito garanzie scritte.

Finora, i talebani non hanno fornito alcuna spiegazione ufficiale per queste detenzioni di massa. Contemporaneamente agli arresti, sono state segnalate ispezioni da parte di agenti talebani nei ristoranti di Shahr-e-Naw, a Kabul, dove il Ministero della Promozione della Virtù e della Prevenzione del Vizio controlla regolarmente le sale da pranzo e ordina alle donne di coprirsi il volto in pubblico.

Questi eventi hanno scatenato forti condanne. Il Fronte per la Libertà, che ha già preso di mira negli ultimi mesi combattenti e funzionari talebani, ha annunciato che il Ministero della Promozione della Virtù e della Prevenzione del Vizio sarà ora un obiettivo dei “legittimi attacchi”. Anche figure di spicco come l’ex Ministro degli Interni afghano Mohammad Omar Daudzai hanno criticato aspramente le azioni “arbitrarie” dei talebani, definendole una prova della loro “inaffidabilità”. Anche l’ex leader jihadista Abdurrab Rasool Sayyaf ha duramente condannato la detenzione di donne e ragazze, considerandola ingiustificata e contraria alla “decenza umana” e all’”orgoglio afghano”.

Questi arresti si inseriscono in un quadro più ampio di repressione e violenza contro le donne in Afghanistan. Emblematico è il caso di Marina Sadat, una studentessa di 23 anni arrestata nel dicembre 2023 nella zona di Dasht-e-Barchi per “uso improprio dell’hijab”. Dopo 21 giorni di ricerche da parte della famiglia, il suo corpo torturato è stato ritrovato, con segni evidenti di violenze efferate. La famiglia di Marina continua a subire minacce, evidenziando la brutalità e le conseguenze a lungo termine delle azioni talebane.

La sistematica rimozione delle donne dalla vita pubblica, attraverso detenzioni arbitrarie, restrizioni e violenze, è una chiara manifestazione dell’ apartheid di genere che affligge il Paese, un problema deliberato, duro e continuo che richiede una condanna netta e una reazione immediata da parte della comunità internazionale.

I volti degli afghani assassinati dai talebani dopo la fuga di notizie della “lista delle vittime”

RAWA News, 18 luglio 2025, di  Robert Mendick, caporedattore e Akhtar Makoii *

Il segreto governativo impedisce al Telegraph di rivelare se i morti siano stati coinvolti nella violazione dei dati.

Sono stati pubblicati in un dossier i nomi di oltre 200 soldati e poliziotti afghani assassinati dai talebani da quando il Ministero della Difesa (MoD) ha diffuso una “lista delle vittime”.

I loro nomi sono stati raccolti da assistenti sociali indipendenti, evidenziando la difficile situazione degli afghani che hanno lavorato con le forze armate britanniche e statunitensi.

Ma un’ordinanza del tribunale imposta da un giudice di alto rango impedisce al Telegraph di riferire se i morti fossero apparsi per la prima volta nell’elenco del Ministero della Difesa, reso pubblico accidentalmente nel febbraio 2022.

I talebani sostengono che la lista del Ministero della Difesa è entrata in loro possesso nel 2022 e che da allora stanno dando la caccia alle persone in essa identificate.

Il Telegraph può rivelare che un’unità delle forze speciali dei talebani, nota come Yarmok 60, è stata incaricata di localizzarli.

L’elenco riportava i richiedenti asilo a un programma gestito dal Ministero della Difesa, il cui scopo, dopo la caduta di Kabul nel 2021, era quello di dare asilo agli afghani che avevano lavorato con le truppe britanniche.

Non è ancora chiaro quante delle persone presenti nell’elenco siano state identificate dai talebani, rintracciate e di conseguenza uccise.

Mercoledì, il Segretario alla Difesa John Healey ha ammesso di “non essere in grado di affermare con certezza” se qualcuno sia stato ucciso a seguito della violazione dei dati.

Ma ha insistito sul fatto che, a tre anni dalla fuga di notizie, è “altamente improbabile” che essere nella lista aumenti il rischio di essere presi di mira dai taleban

Martedì l’Alta Corte ha revocato una super-ingiunzione, consentendo per la prima volta la segnalazione della fuga di notizie. Rimane però in vigore un’ordinanza del tribunale che impedisce l’utilizzo del database per rivelare l’identità degli afghani che potrebbero essere stati presi di mira a seguito della fuga di notizie.

Tra gli ex soldati delle forze speciali afghane uccisi dai talebani da quando la lista è trapelata ci sono uomini giovani e di mezza età assassinati dal nuovo regime in diverse parti del Paese, alcuni insieme ai loro familiari.

Il colonnello Toorjan, comandante della polizia di Helmand meridionale, è stato ucciso insieme ad altri familiari mentre usciva da una moschea il 24 giugno dell’anno scorso.

Un mese dopo, le forze talebane hanno sparato e ucciso un altro ex ufficiale dell’esercito governativo nella provincia orientale di Khost.

I talebani hanno giustiziato Hamidullah Khosti il 23 luglio nel distretto di Alishar. Era arrivato lì il giorno prima per partecipare a una cerimonia nuziale.

Nonostante l’amnistia generale dichiarata da Hibatullah Akhundzada, il leader supremo dei talebani, il gruppo ha continuato ad arrestare e uccidere ex militari e dipendenti del governo per quasi quattro anni. Un altro ex ufficiale dell’esercito governativo è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco dalle forze talebane nella provincia di Kapisa nel luglio 2022, cinque mesi dopo la fuga di notizie dell’elenco.

Muzamil Nejrabi è stato ucciso di notte nel villaggio di Arbab Khil, nel distretto di Nejrab, nella provincia di Kapisa.

Il giovane era uscito di casa alle 22:30 per irrigare i suoi campi quando è stato colpito dai soldati del Quinto Battaglione talebano, Prima Brigata, di stanza a Kapisa. È morto durante il trasporto in ospedale.

Gli amici dicono che si era sposato tre mesi prima del suo assassinio.

Nel febbraio dello scorso anno, il cadavere insanguinato di Hayatullah Nizami, ex comandante delle operazioni della terza zona di sicurezza nella città settentrionale di Taloqan, è stato scoperto nella zona di Bishkapa, vicino alla brigata dell’esercito talebano della città nella provincia di Takhar.

Secondo una fonte locale, Nizami, in precedenza membro delle forze di sicurezza, lavorava come dipendente presso un’azienda che collaborava con il comune di Taloqan dopo la caduta del governo sostenuto dall’Occidente. Era scomparso con il suo veicolo la notte prima e il suo corpo smembrato è stato ritrovato il giorno seguente.

Fonti locali hanno riferito che, dopo il ritrovamento del corpo, i talebani hanno fatto il nome di Hamidullah, un dipendente comunale, per nascondere il suo passato militare.

Secondo i media locali, il 21 agosto dell’anno scorso, i combattenti talebani hanno trascinato fuori dalla sua casa Abdul Rahman Delawar, ex comandante della sicurezza del distretto di Shekhel, e lo hanno ucciso.

Dopo la caduta di Kabul, Delawar era fuggito in Iran ed era da poco tornato al villaggio dei suoi antenati, dove conduceva una vita normale.

Il dossier sui 200 afghani uccisi dopo la fuga di notizie è stato compilato dall’assistente sociale indipendente, noto solo come Persona A, che per primo ha lanciato l’allarme sulla violazione dei dati.

Inviò un’e-mail a James Heappey, all’epoca ministro delle Forze Armate, in cui avvertiva “di quanto grave sia stata la negligenza in termini di sicurezza dei dati”.

Ha aggiunto: “I talebani potrebbero ora avere una lista di 33.000 persone da uccidere, fornita loro essenzialmente dal governo del Regno Unito”.

Ha inviato l’e-mail il 15 agosto 2023, dopo che un utente anonimo su Facebook aveva minacciato di pubblicare i dati trapelati. Erano stati diffusi accidentalmente 18 mesi prima da un soldato britannico incaricato di controllare gli afghani che richiedevano asilo nell’ambito dell’Afghan Relocations and Assistance Policy (Arap).

Successivamente, nel settembre 2023, la persona A è stata sottoposta a una super-ingiunzione, che le ha impedito – insieme ai giornali – anche solo di menzionarne l’esistenza.

Il dossier compilato dalla Persona A e da altri assistenti sociali è stato trasmesso al Telegraph dopo la revoca della super-ingiunzione, per fornire un’istantanea degli afghani che avevano lavorato con le truppe della coalizione e che si ritiene siano stati successivamente presi di mira dai talebani.

Le identità delle vittime sono state ricavate da post pubblicati sulla stampa locale afghana e sui social media, nonché tramite contatti sul campo. Il Telegraph non è stato in grado di verificare in modo indipendente i nomi contenuti nel dossier delle vittime e le circostanze della loro morte.

La persona A ha affermato che gli afghani potrebbero aver fatto domanda per partecipare al programma Arap, anche se non avevano lavorato con le truppe britanniche, come mezzo per assicurarsi un rifugio sicuro.

Ma ciò significa anche che gli afghani che non avevano alcun legame con l’esercito britannico potrebbero essere stati messi in pericolo semplicemente facendo domanda per partecipare al programma Arap.

La persona A ha dichiarato: “Il problema che abbiamo è che non abbiamo modo di sapere se le persone nel nostro dossier abbiano presentato domanda per il programma Arap o meno. Ci sono moltissime persone che non hanno rispettato il programma Arap, ma hanno presentato domanda tramite Arap”.

*articolo tratto dal Telegraph 18 luglio 2025

[Trad. automatica]

Senzatetto a casa: i rimpatriati si scontrano con gli affitti alle stelle e la negligenza dei talebani

KabulNow, 18 luglio 2025, di Maisam Iltaf

Quando l’anno scorso Ghulam Farooq ha affittato una modesta casa nella provincia occidentale di Herat, in Afghanistan, credeva di aver trovato stabilità per la sua famiglia. Oggi, quel senso di sicurezza è svanito. Il suo padrone di casa, emigrato in Iran, è tornato e ha intimato a Farooq di andarsene immediatamente.

“Da un mese il mio padrone di casa è tornato e mi ha detto di cercare un’altra casa”, ha raccontato Farooq a KabulNow. “Ho dovuto chiudere la mia attività per cercare un alloggio, ma non c’è niente di disponibile. E se c’è una casa disponibile, l’affitto è tre volte più alto di prima”.

La situazione di Farooq riflette le difficoltà di migliaia di rimpatriati e inquilini locali, mentre le deportazioni da Iran e Pakistan aumentano, spingendo il già fragile mercato immobiliare afghano sull’orlo del baratro. Herat, centro urbano e nodo di transito chiave, è diventato il punto zero di questa crisi.

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) segnala che oltre 1,2 milioni di migranti sono stati rimpatriati forzatamente dall’Iran nel 2025 – oltre 574.000 solo dall’Iran questo mese, molti dei quali sono entrati attraverso il valico di frontiera di Herat, a Islam Qala. La maggior parte di loro sono donne e bambini.

La portata di questo rimpatrio è senza precedenti, rendendolo uno dei più grandi spostamenti di popolazione di quest’anno. I centri di assistenza a breve termine e le infrastrutture locali, già indeboliti da anni di conflitto e mancanza di finanziamenti, sono sovraffollati.

Gli affitti salgono alle stelle, la disponibilità diminuisce

Gli agenti immobiliari locali affermano che la domanda è salita alle stelle. Qader (pseudonimo), che gestisce un’agenzia immobiliare, spiega che le richieste giornaliere da parte di famiglie disperate superano di gran lunga gli annunci disponibili.

“Ricevo più di 100 clienti al giorno, ma non ho immobili da offrire”, dice Qader. “Una casa che prima costava 3.000-4.000 afghani ora costa 7.000. Case che costavano 10.000 afghani ora costano 15.000-20.000.”

Altri rapporti confermano un aumento del 40-50% degli affitti nelle principali città a seguito di restituzioni di massa.

L’OIM afferma che oltre 1,2 milioni di migranti afghani sono stati rimpatriati forzatamente dall’Iran nel 2025. Foto d’archivio
Questo ha lasciato le famiglie locali a basso e medio reddito a dover pagare un prezzo troppo alto, poiché molti rimpatriati arrivano esausti e a mani vuote. Hamidullah, deportato dall’Iran, ha descritto il calvario:

Sono tornato 20 giorni fa. Le mie cose sono al sole a casa di mio fratello. Una casa che prima costava 4.000 afghani ora ne costa 6.000-7.000. A nessuno importa della nostra lotta. Lo stress e l’incertezza sono insopportabili.

Il crollo del mercato immobiliare è solo la punta dell’iceberg. L’economia afghana, paralizzata dall’isolamento internazionale e dal ritiro degli aiuti dopo la presa del potere da parte dei talebani, ha tassi di disoccupazione superiori al 30%, secondo la Banca Mondiale. Senza lavoro, i rimpatriati non solo non hanno un tetto, ma anche una speranza.

Gli effetti a catena sono disastrosi. Le famiglie che hanno venduto i propri beni o contratto prestiti per emigrare ora si trovano ad affrontare debiti crescenti. Gli arrivi basati sulla comunità, come Ghulam e Hamidullah, dipendono da servizi di assistenza sovraffollati, ma i finanziamenti rimangono limitati. La Croce Rossa avverte che entro la fine del 2025 potrebbero arrivare fino a un altro milione di rimpatriati dall’Iran.

Le agenzie umanitarie internazionali hanno ripetutamente chiesto un coordinamento con i Talebani per affrontare queste sfide, ma l’impegno è ostacolato dalle condizioni politiche. I paesi donatori rimangono riluttanti a finanziare programmi che potrebbero legittimare l’autorità dei Talebani, mentre le rigide politiche del regime, come le restrizioni all’occupazione femminile, erodono ulteriormente la fiducia.

Di conseguenza, gli sforzi di reintegrazione si basano su aiuti umanitari a breve termine: pacchi alimentari, assistenza medica di base e rifugi temporanei nelle zone di confine. Queste misure tampone rappresentano solo la superficie di un problema che, avvertono gli esperti, potrebbe destabilizzare i centri urbani.

La risposta vuota dei talebani

Sotto la pressione dell’opinione pubblica, le autorità talebane affermano di monitorare il mercato degli affitti e di aver messo in guardia i proprietari contro “aumenti ingiustificati degli affitti”. Manifesti a Herat invitano i residenti a denunciare i proprietari che sfruttano gli immobili. Ma per gli inquilini, questi avvertimenti suonano vuoti.

“Nessuno osa lamentarsi”, ha detto un residente di Herat. “Se segnaliamo un proprietario, verremo sfrattati immediatamente o subiremo abusi. Non c’è alcuna tutela legale per gli inquilini”.

Il Ministero dello Sviluppo Urbano, sotto il regime talebano, ha annunciato piani per progetti di edilizia popolare nel 2022, ma non si sono registrati progressi visibili. I funzionari citano la mancanza di fondi, ma gli analisti sostengono che il problema risieda nella governance: l’isolamento dei talebani dalla finanza internazionale ha impedito al regime di finanziare iniziative di edilizia popolare o di pianificazione urbana su larga scala.

“I talebani non hanno né le risorse né le competenze tecniche per gestire una crisi di questa portata”, ha affermato un urbanista di Kabul. “Si sono concentrati quasi esclusivamente sulla sopravvivenza politica e sul controllo religioso, non sullo sviluppo delle infrastrutture”.

In città come Herat, gli uffici comunali operano con personale ridotto e budget ridotti al minimo. Non esistono programmi strutturati per il controllo degli affitti, né sussidi per i rimpatriati, né un quadro giuridico per prevenire gli sfratti forzati.

Implicazioni umanitarie

La crisi immobiliare di Herat rispecchia le tendenze nazionali. A Kabul, un’indagine di Salam Watandar ha mostrato che i costi degli affitti sono aumentati del 40% in tre anni a causa dell’ondata di rimpatri e del deterioramento delle condizioni economiche. In tutto l’Afghanistan, l’UNHCR e altre agenzie avvertono dell’imminente “crisi dimenticata”, con la diminuzione delle risorse.

Dal 2023, questo afflusso senza precedenti, aggravato dalle deportazioni da Iran e Pakistan, ha messo a dura prova la capacità di risposta umanitaria dell’Afghanistan. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), oltre 23,7 milioni di persone – più della metà della popolazione – necessitano di assistenza umanitaria nel 2025, con i rimpatri forzati che aggiungono ulteriore pressione a risorse già ridotte.

L’UNHCR conferma che ben 1,6 milioni di rimpatriati, compresi quelli provenienti dal Pakistan, hanno messo a dura prova le comunità. Le organizzazioni umanitarie sottolineano che decine di migliaia di famiglie sono ora senza casa, senza riparo, acqua o assistenza sanitaria, mentre la malnutrizione e le malattie mentali sono in aumento.

Le agenzie umanitarie internazionali hanno ripetutamente chiesto il coordinamento con i talebani per affrontare queste sfide, ma l’impegno è ostacolato dalle condizioni politiche. Foto: UNAMA
L’ONU ha chiesto un urgente sostegno internazionale.

“Senza un intervento immediato – iniziative per l’edilizia abitativa a prezzi accessibili, creazione di posti di lavoro e sostegno sociale – milioni di persone rischiano di essere spinte ancora più in basso nella povertà”, ha avvertito un funzionario dell’OIM sul campo.

Gli esperti affermano che la soluzione sostenibile risiede nello sviluppo edilizio su larga scala e nella regolamentazione del mercato degli affitti, misure che richiedono risorse, governance e cooperazione internazionale, tutti aspetti che rimangono irraggiungibili sotto il regime talebano. Nel frattempo, le deportazioni da Iran e Pakistan non accennano a rallentare.

Se le deportazioni continueranno, gli esperti avvertono che i centri urbani afghani potrebbero collassare sotto il peso del fenomeno, causando disordini sociali e sfollamenti. I rimpatriati indifesi potrebbero tentare di migrare nuovamente, alimentando flussi irregolari e instabilità.

Per Farooq, Hamidullah e innumerevoli famiglie, il futuro è pieno di rischi.

“Tutto ciò che vogliamo è un tetto sopra la testa”, sussurrò Hamidullah a bassa voce. “Siamo tornati in patria, ma siamo ancora senza casa.”

[Trad. automatica]

Le forze talebane usano scosse elettriche sulle donne afghane sopra i vestiti

Rukhshana Media, 12 luglio 2025

Secondo quanto riportato da Rukhshana Media, le forze talebane stanno somministrando scosse elettriche alle donne per aver violato un obbligo così restrittivo sull’uso dell’hijab che impone loro persino di coprirsi il volto in pubblico.

Vittime e testimoni oculari hanno descritto donne rese incoscienti da scosse elettriche mentre resistevano ai tentativi della famigerata polizia morale afghana di arrestarle per il loro abbigliamento. Altri hanno riferito che i dispositivi erano ampiamente utilizzati nelle carceri femminili.

L’organizzazione per i diritti umani Amnesty International ha chiesto il divieto globale dei dispositivi che erogano scosse elettriche a contatto diretto, definendoli “intrinsecamente abusivi” e affermando che possono causare lesioni gravi e persino la morte. Gli standard internazionali per le forze dell’ordine stabiliscono che le scosse elettriche dovrebbero essere utilizzate solo come ultima risorsa e per autodifesa.

Nafisa*, 20 anni, stava comprando delle sciarpe invernali con sua sorella a Kabul lo scorso ottobre, quando le due sono state aggredite da quattro agenti della polizia morale talebana in uniforme. Uno di loro le ha chiesto perché non fosse vestita come sua sorella, che indossava un completo nero dalla testa ai piedi e una mascherina sul viso, poi le ha ordinato di salire in macchina. Terrorizzata, ha stretto forte la mano della sorella e ha cercato di resistere mentre una donna che lavorava con la polizia la trascinava via.

“Quando ho opposto resistenza, mi hanno dato la scossa elettrica. Dopo, non ricordo più nulla”, ricorda Nafisa, che è stata trattenuta per la notte in una cella di polizia fredda e buia con altre otto donne e tre ragazze.

Una giovane donna è stata picchiata e arrestata per essere vestita in modo inappropriato, nonostante indossasse abiti lunghi fino al ginocchio, un hijab inappropriato, un’altra per aver avuto contatti con un uomo con cui non aveva alcun legame di parentela. Altre sono state arrestate per aver mendicato per strada.

La sorella maggiore di Nafisa, Zohal*, 24 anni, balbetta nervosamente ricordando quel giorno. “Nafisa è caduta a terra davanti ai miei occhi e i talebani l’hanno trattata come un cadavere, l’hanno gettata in macchina e se ne sono andati”, racconta. “È stato il momento peggiore della mia vita e quei secondi mi sono sembrati ore. Ho continuato a chiedere aiuto alla gente, ma se ne sono andati. Nessuno ha osato dire una parola ai talebani”.

Entrambe le donne hanno dichiarato di essere rimaste traumatizzate dall’accaduto e hanno successivamente assunto antidepressivi per diversi mesi.

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Meno di un anno dopo il loro ritorno al potere nel 2021, i talebani hanno introdotto nuove e severe regole che impongono alle donne di coprirsi completamente indossando un burqa o un hijab completo con una mascherina per il viso e di non uscire se non in caso di assoluta necessità.

L’applicazione della legge è stata rigorosa e ha incluso arresti di massa, inizialmente in un’area della parte occidentale di Kabul, dominata dalla popolazione di etnia hazara, e poi in altre parti del paese, secondo una ricerca delle Nazioni Unite . Alcune donne sono state rilasciate dopo poche ore, ma altre sono rimaste in custodia per giorni o addirittura settimane, ha scoperto. Il loro rilascio è stato spesso subordinato alla promessa da parte dei parenti maschi di vigilare sul loro abbigliamento in futuro.

Una fonte che ha parlato con Rukhshana in condizione di anonimato ha ricordato di aver sentito le urla di una donna a un posto di blocco talebano in una zona centrale di Kabul. Si è precipitato verso la folla che si era radunata e ha visto una donna alle prese con la polizia morale, che stava cercando di trascinarla dentro un veicolo. Diversi uomini tra la folla hanno cercato di intervenire e liberare la donna, ma è stato intimato loro di non interferire con il lavoro del Ministero per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, che controlla gli sforzi dei talebani per imporre la legge islamica in Afghanistan, ha riferito la fonte. Poi, uno degli agenti ha estratto un dispositivo dalla tasca e lo ha puntato al collo della donna, infliggendole scosse elettriche più volte fino a farla perdere conoscenza e cadere a terra. Quattro agenti di polizia l’hanno afferrata per braccia e gambe e hanno trascinato il suo corpo senza vita dentro il veicolo, ha ricordato.

Un altro testimone oculare ha descritto un incidente avvenuto nei pressi di un centro commerciale di Kabul, dove gli ufficiali talebani hanno utilizzato scosse elettriche per fermare una giovane donna che si rifiutava di salire sul loro veicolo.

“Resisteva molto, diceva ‘Non ci vado'”, ha detto il testimone. “Alla fine, le hanno dato una scossa elettrica. La poveretta è crollata a terra e l’hanno spinta violentemente dentro il veicolo. La polizia morale è terrificante.”

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Quasi tutte le donne e le ragazze che hanno avuto incontri con militari o agenti di polizia talebani affermano di aver subito violenze di qualche tipo. La nuova legge, ampiamente criticata, sulla Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio conferisce agli agenti ampia autorità di affrontare le donne in merito al loro abbigliamento e di infliggere punizioni immediate. Anche prima della sua introduzione, gli agenti talebani utilizzavano dispositivi per la scossa elettrica contro le donne, in particolare il 16 gennaio 2022, quando furono impiegati per disperdere una protesta pacifica di piazza .

Wahida Amiri, ex detenuta e attivista per i diritti delle donne di 33 anni, ha descritto l’incidente in un’intervista rilasciata a Rukhshana Media dopo l’accaduto.

“Le loro forze armate ci hanno circondato in uno spazio aperto e ci hanno fatto prigioniere”, ha detto. “Il trattamento riservato dai talebani alle manifestanti in strada è stato terrificante e orribile. Hanno usato gas lacrimogeni, sparato colpi in aria e usato scosse elettriche contro le donne”.

Sebbene l’uso di scosse elettriche contro manifestanti disarmati costituisca una chiara e grave violazione dei diritti umani, sembra che per gli ufficiali talebani l’utilizzo di tali dispositivi sia diventato una prassi routinaria. Non sembra esistere un protocollo formale o un sistema di responsabilità per il loro utilizzo, né alcuna supervisione per prevenirne gli abusi.

Rukhshana Media ha anche documentato casi di donne sottoposte a scosse elettriche in carcere. Nel 2022, Zarifa Yaqubi ha trascorso 41 giorni sotto la custodia delle forze talebane, che, a suo dire, l’hanno torturata per costringerla a confessare con l’uso di scosse elettriche e percosse con cavi.

Parwana Ibrahimkhil Najrabi, un’altra ex prigioniera talebana che ha trascorso almeno un mese in isolamento, ha affermato che il gruppo ha utilizzato scosse elettriche durante il suo arresto.

Per Nafisa, il danno è duraturo. Ricorda ancora la cella e si preoccupa per le altre donne con cui l’ha condivisa.

“Non so come andare avanti”, ha detto. “Credo di portarmi dietro la prigione talebana ovunque. Le scosse elettriche, la stanza fredda e buia, le molteplici accuse e le donne il cui destino è sconosciuto.”

Nota*: i nomi sono stati cambiati per motivi di sicurezza.

* Pubblicato in collaborazione con More to Her Story.

[Trad. automatica]

Afghanistan. La Corte Penale internazionale dà la caccia ai leader taleban

Avvenire, 8 luglio 2025, di Angela Napoletano

Confermato l’ordine di arresto delle due massime autorità: il capo supremo Haibatullah Akhundzada e il ministro Abdul hakim Haqqani. L’accusa è di persecuzione contro le donne.

La Corte penale internazionale ha confermato, ieri, l’ordine di arresto delle due massime autorità dei taleban in Afghanistan emesso a gennaio dal procuratore capo Karim Khan. L’accusa che pende sulla testa dell’emiro Haibatullah Akhundzada, il leader supremo del regime islamico, e del ministro della Giustizia Abdul hakim Haqqani, è di «persecuzione contro le donne e le ragazze» e contro le persone «percepite come loro alleate». Reato che lo Statuto di Roma, fondativo della Corte dell’Aja, equipara a «crimine contro l’umanità».

I giudici si sono espressi sulla base delle prove raccolte a documentare gli abusi subiti dalla popolazione femminile da quando i taleban, il 15 agosto 2021, sono tornati al potere a Kabul: omicidi, detenzione, tortura, stupro e sparizione forzata. Al vaglio dei magistrati della Cpi sono finiti anche gli editti emessi a privare le donne e le ragazze afghane dei diritti inalienabili come quello all’istruzione, alla privacy e alla vita familiare, e delle libertà fondamentali come quelle di movimento, espressione, pensiero, coscienza e religione. Servirà, ci si chiede, a contenere la discriminazione sistematica delle donne istituzionalizzata dal governo dell’Emirato islamico?

Per le associazioni a tutela dei diritti umani la mossa è importante per dare speranza alle afghane, fuori e dentro il Paese, a farle sentire meno sole. Anche se non è ancora esecutiva perché legata a un fase preliminare del percorso giudiziario. A questa seguirà un processo e, solo dopo, una sentenza. Il pronunciamento è arrivato quattro giorni dopo il primo riconoscimento ufficiale dei taleban all’estero: venerdì scorso, l’Afghanistan oscurantista è diventato interlocutore ufficiale della Russia di Vladimir Putin. Alla vigilia del quarto anniversario del ritorno al potere, l’emiro Akhundzada ha come “padrino” un Paese che siede in Consiglio di sicurezza Onu.

I Talebani vietano anche il bigliardino: è a rischio idolatria

CISDA, Redazione, 6 luglio 2025

I Talebani non danno tregua con le loro farneticanti e repressive disposizioni. Dalla rassegna stampa locale emergono sempre nuove proibizioni, a volte generali provenienti dal capo Akhundzada e dalla legge sulla Propagazione dei Vizi e delle Virtù, a volte solo locali. Tutte comunque rivolte al controllo dei comportamenti individuali nella vita privata. E non colpiscono più solo le donne…

 

In Afghanistan International troviamo questa notizia:

“A Daikundi i talebani vietano il bigliardino, citando i rischi di idolatria”

I talebani hanno vietato il calcio balilla nella provincia di Daikundi, secondo quanto riferito da fonti locali ad Afghanistan International. Il gruppo sostiene che le miniature dei giocatori del gioco assomigliano a idoli, cosa che, a loro dire, è proibita dall’Islam.
Mercoledì 28 maggio 2025 alcune fonti hanno riferito che i talebani hanno ordinato ai club di calcio balilla di rimuovere le teste delle miniature dei giocatori per consentire la continuazione del gioco. La mancata osservanza di queste disposizioni comporterà il divieto assoluto di giocare.
Negli ultimi quattro anni, il governo talebano ha progressivamente limitato o vietato vari giochi e attività ricreative in Afghanistan. Recentemente, l’autorità sportiva talebana aveva sospeso la Federazione Scacchistica Afghana, dichiarando gli scacchi “haram” (proibiti).

Il 19 giugno su AMU Tv:

“I talebani vietano gli smartphone nelle scuole di Kandahar”

Secondo fonti a conoscenza della direttiva, la Direzione dell’istruzione dei talebani nella provincia di Kandahar ha emesso un’ordinanza che vieta l’uso degli smartphone sia agli insegnanti che agli studenti in tutte le scuole della regione.
Il divieto si basa su un ordine diretto del leader talebano Hibatullah Akhundzada e rimarrà in vigore fino a nuovo avviso, secondo quanto riferito da alcune fonti. I trasgressori affronteranno conseguenze legali, secondo la dichiarazione, condivisa con dirigenti scolastici e personale docente all’inizio di questa settimana.
Un preside di una scuola superiore pubblica di Kandahar ha affermato che il divieto allontanerà ulteriormente gli insegnanti dagli strumenti didattici moderni. “In molti paesi gli istituti scolastici usano internet per connettersi e migliorare la qualità dell’insegnamento”, ha affermato. “Qui, persino gli strumenti tecnologici di base sono vietati”.

Il 16 giugno ancora su Afghanistan International:

“I talebani criminalizzano l’uso di account falsi sui social media”

Il Ministero per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio dei Talebani ha annunciato che l’uso di falsi account sui social media è ora considerato un reato, nell’ambito di una più ampia repressione delle attività online.
In una dichiarazione rilasciata questa settimana, il portavoce del ministero Saif-ul-Islam Khyber ha avvertito che chi viola la direttiva andrà incontro a gravi conseguenze legali. “Nessuno dovrebbe fare un uso improprio dei social media”, ha affermato, aggiungendo che le piattaforme online devono essere utilizzate esclusivamente per “condividere informazioni accurate, affari, istruzione e sensibilizzazione pubblica”.
L’annuncio segna l’ultima di una serie di restrizioni imposte dai talebani alle piattaforme digitali. Il ministero, in coordinamento con l’agenzia di intelligence talebana, ha già arrestato e, a quanto pare, torturato diversi utenti dei social media accusati di diffondere contenuti anti-talebani.

Ancora su AMU Tv il 27 giugno:

“I talebani vietano la fotografia agli studenti dell’Università di Kandahar”

Gli studenti dell’Università di Kandahar affermano che i talebani hanno proibito la fotografia e la videoripresa all’interno del campus, estendendo le restrizioni sempre più stringenti a tutte le istituzioni educative del Paese.
Diversi studenti hanno raccontato ad Amu TV che durante una recente cerimonia di premiazione i talebani hanno avvertito i partecipanti che era vietato scattare foto o video e proibito di farlo anche in futuro.
Gli studenti di giornalismo dell’università hanno riferito che avvertimenti simili erano già stati emessi in precedenza, specificamente rivolti al loro corso di studi, lamentando che l’ordine di non scattare foto o registrare video all’interno dell’università ostacola la loro formazione accademica e il loro sviluppo professionale.
Il divieto arriva mentre le autorità talebane estendono norme sociali sempre più restrittive in tutto il Paese. Fotografare esseri viventi, persone e animali compresi, è stato dichiarato illegale in quasi la metà delle province afghane e Kandahar è stata indicata come il punto di partenza di questa tendenza nazionale.

Su Daryo

“L’Afghanistan reprime gli utenti dei social media e dei videogiochi con arresti di massa”

L’11 maggio i Talebani hanno rilasciato una dichiarazione in cui hanno rafforzato la loro posizione sulla condotta digitale, avvertendo che l’utilizzo dei social media per “scopi non etici e illegali” avrebbe comportato conseguenze legali. Il regime ha ribadito i divieti su TikTok e sul videogioco PUBG, messi al bando nel 2023 perché “corrompono i giovani” promuovendo l’immoralità.
La repressione si è ulteriormente intensificata il 13 maggio, quando Shir Ali Mubariz, noto personaggio di TikTok della provincia di Baghlan, è stato arrestato da agenti dell’intelligence talebana. Noto per le sue divertenti dirette streaming, è stato accusato di “comportamento scorretto” sui social media. La sua detenzione evidenzia la più ampia campagna del regime per reprimere i contenuti digitali che si discostano dai suoi rigidi codici ideologici e religiosi.
Saif al-Islam Khyber, un portavoce dei talebani, ha affermato che i social media dovrebbero essere utilizzati solo per “istruzione, informazione affidabile e affari legittimi” e ha avvertito che “deviazioni ideologiche, insulti, discriminazioni o qualsiasi abuso contrario ai valori religiosi” sarebbero stati considerati reati.

In AMU Tv il 30 maggio:

“A Herat i Talebani impongono multe agli uomini che saltano le preghiere collettive”

Secondo quanto riportato dai residenti informati sulla disposizione, nella provincia occidentale di Herat i talebani hanno imposto una multa agli uomini che non hanno partecipato alle preghiere quotidiane nelle moschee locali.
Otto fonti locali hanno confermato ad Amu che il Ministero talebano per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio ha ordinato ai responsabili delle moschee di monitorare la presenza dei fedeli e di imporre una multa di 100 afghani – circa 1,15 dollari – a chiunque si assenti dalle preghiere quotidiane. La misura fa parte di una più ampia estensione delle misure di controllo religioso e sociale in tutta la città.
I residenti hanno affermato che le pattuglie talebane hanno intensificato il controllo negli spazi pubblici, nei mercati e nei terminal dei mezzi di trasporto, controllando sia gli uomini che le donne per verificare il rispetto del codice di abbigliamento e degli obblighi di preghiera.
Nel vivace mercato dell’usato di Herat, noto come Bazar-e Lailami, la polizia morale avrebbe effettuato ispezioni brandendo fruste, secondo quanto riferito dai residenti. In molti hanno affermato che alle donne vestite con cappotti o altri abiti non approvati era vietato entrare nei centri commerciali come Qasr-e Negine e Qasr-e Herat.
“Negli ultimi giorni, le restrizioni per le donne si sono intensificate”, ha detto una donna. “Anche se già indossavamo abiti lunghi e mascherine, ora ci viene detto che non possiamo uscire di casa senza un abito da preghiera. La polizia morale ha bloccato entrambi i lati della strada di Lailami, nonostante fosse affollata prima dell’Eid.”
Un altro residente ha raccontato di essere stato fermato dagli agenti talebani mentre faceva la spesa con la moglie. “Hanno fermato la nostra auto e mi hanno intimato di non far uscire di nuovo mia moglie indossando un cappotto invece di un abito da preghiera”, ha detto. “Controllavano taxi e risciò, non ovunque, ma in alcuni posti di blocco”.
L’applicazione della legge si è estesa anche agli uomini. In diversi quartieri, i talebani avrebbero distribuito quelle che la gente del posto chiama “liste di presenza alle moschee”, usate per prendere nota di chi partecipa alle preghiere della comunità. Un medico ha dichiarato di ricevere multe quotidiane nonostante i suoi orari di lavoro impegnativi. “Frequento la moschea appena posso”, ha detto. “Ma se perdo le preghiere serali o notturne per via del lavoro, vengo multato di 100 afghani ogni volta. I fedeli della moschea sanno che sono un frequentatore abituale, ma non importa. Non c’è nessuno a cui fare appello”.

Afghanistan International, il 13 giugno

“A Herat, i Talebani vietano la guida alle donne”

Secondo una lettera ufficiale ottenuta dai media locali, la Direzione per la diffusione della virtù e la prevenzione del vizio dei talebani nella provincia di Herat ha ordinato all’autorità locale del traffico di vietare alle donne di guidare.
La lettera, firmata dallo sceicco Azizurrahman Muhajir, capo della direzione, affermando che guidare è “una professione importante e di grande responsabilità” e che anche piccoli errori possono causare la perdita di vite umane, sostiene che “le donne hanno la mente distratta e sono incapaci di imparare a guidare”.

Padri trasformatisi in guardie talebane della propria famiglia

Nelle loro case, gli uomini sono diventati di fatto i garanti e gli esecutori consapevoli delle leggi talebane sulla morale contro la libertà delle donne

Zahra Joya, Annie Kelly, Rukhshana Media, 9 giugno 2025

Essere padre di due figlie nell’Afghanistan dei talebani è diventato un incubo quotidiano per Amir. Ora, dice, è più una guardia carceraria che un genitore amorevole, un esecutore riluttante e non retribuito di un sistema di apartheid di genere che disprezza ma che si sente in dovere di infliggere alle sue due figlie adolescenti per proteggerle dalla furia e dalle rappresaglie dei talebani.

Solo pochi anni fa, le figlie di Amir avevano una vita e un futuro, andavano a scuola, andavano a trovare gli amici e si spostavano nella comunità. Ora, dice, preferirebbe che le sue figlie non uscissero mai di casa. Lui, come molti altri padri in Afghanistan, ha sentito storie su cosa può succedere alle giovani donne che si trovano nel mirino della “polizia morale” dei talebani.

Nei rari casi in cui le loro suppliche e implorazioni per avere il permesso di uscire nel mondo diventano insostenibili per lui, si assicura che vadano accompagnate da un membro maschio della famiglia e che siano completamente coperte.

“Insisto che indossino l’hijab e dico loro che non possono ridere fuori casa o al mercato”, dice. “La ‘polizia morale’ è molto severa e se non rispettano le regole, potrebbero essere arrestate”.

Padri trasformati in guardiani

L’estate scorsa, a tre anni dalla loro presa del potere nell’agosto 2021, la portata dell’ambizione dei talebani di cancellare le donne dalla vita pubblica è stata resa manifesta dalla presentazione di un’ampia serie di leggi su “vizi e virtù”.

In base alle nuove regole, alle donne veniva chiesto di coprirsi completamente quando erano fuori casa, di non far sentire la propria voce mentre parlavano ad alta voce, di apparire in pubblico solo con un accompagnatore maschio e di non guardare mai un uomo che non fosse un loro parente diretto.

Quando queste regole furono annunciate, non era chiaro come un numero relativamente piccolo di “polizia morale” impiegata dai talebani avrebbe potuto farle rispettare e attuarle.

Tuttavia, nei mesi successivi, sono stati i padri, i fratelli e i mariti a trasformarsi, di fatto, in guardie non retribuite che hanno imposto alle donne e alle ragazze afghane il regime oppressivo dei talebani.

Non sono spinti solo dalla paura di ciò che potrebbe accadere alle donne se arrestate dalle forze dell’ordine talebane. Secondo le nuove leggi dei talebani, se una donna viene ritenuta colpevole di aver violato le regole morali, è il suo parente maschio, non lei, a essere punito e a dover pagare multe o persino il carcere.

Il “”Guardian”” e “”Rukhshana Media”” hanno parlato con più di una decina di uomini e giovani donne in tutto l’Afghanistan, di come le leggi morali dei talebani stessero cambiando il loro atteggiamento e il comportamento nei confronti delle donne nelle loro famiglie.

Tra adattamento e frustrazione

“Gli uomini sono diventati soldati non pagati dei talebani”, afferma Jawid Hakimi, della provincia di Bamiyan . “Siamo costretti, per il bene del nostro onore, della nostra reputazione e del nostro status sociale, a far rispettare gli ordini dei talebani alle donne delle nostre famiglie. Giorno dopo giorno, la società si sta adattando alle regole dei talebani e le loro restrizioni [sulle donne] stanno gradualmente rimodellando la società secondo la loro visione – e ci sentiamo in dovere di allineare le nostre famiglie alle loro aspettative. È un’atmosfera soffocante”.

Parwiz, un giovane proveniente da una provincia nel nord-est dell’Afghanistan, racconta che quando sua sorella è stata arrestata dalla “polizia morale” perché non indossava l’hijab, era terrorizzato per la sua sicurezza e determinato a fare in modo che ciò non accadesse mai più.

“Sono stato costretto ad andare alla stazione di polizia, dove sono stato insultato e mi è stato detto che dovevo fare tutto quello che i talebani dicevano”, racconta. “Quando sono tornato a casa, ho sfogato tutta la mia rabbia e frustrazione su mia madre e mia sorella“.

Altri uomini hanno raccontato di come il rischio della vergogna sociale se fossero stati puniti per un comportamento “immorale” si stesse trasformando in repressione e violenza nei confronti delle loro familiari.

Freshta, una giovane donna della provincia di Badakhshan, racconta di essere picchiata dal marito quando esce di casa, anche solo per andare a comprare del cibo al mercato. “Ero andata all’angolo della strada a comprare la verdura e indossavo un lungo hijab nero, ma non il burqa. Quando sono tornata, mi ha colpita in faccia e mi ha picchiata.

Ha detto: “Vuoi che infrangiamo le regole? E se uno dei miei colleghi di lavoro ti vedesse?”. Da mesi ormai non esco quasi mai di casa. Dice che se esco devo indossare il burqa.”

“Non possiamo rischiare il disonore”

Rahib, 22 anni, afferma che non può rischiare che la sua famiglia affronti il ​​”disonore” se sua sorella maggiore Maryam esce e la gente pensa che sia vestita in modo immodesto.

“Il nostro orgoglio non lo permette. Abbiamo vergogna, abbiamo onore. Non possiamo sopportare il pensiero che, Dio non voglia, si possa dire qualcosa su di lei in città o al mercato”, dice.

Le giovani donne hanno parlato del dolore delle loro famiglie trasformate in esecutori di un codice morale imposto loro da un’ideologia estremista che le aveva già private del diritto all’istruzione, al lavoro e all’autonomia.

“Il comportamento di mio padre è cambiato dopo l’arrivo dei talebani. Prima non gli importava molto dei nostri vestiti [delle sue figlie]”, racconta Masha, 25 anni. “Prima non ci diceva mai di non indossare qualcosa o di evitare certi luoghi, ma non appena sono arrivati ​​i talebani è cambiato. Ci ha detto: ‘Se mi considerate vostro padre e avete a cuore la dignità della vostra famiglia, indosserete l’hijab. Non truccatevi, nemmeno una ciocca di capelli deve essere visibile, non indossate scarpe con i tacchi alti e non uscite così spesso. Se avete bisogno di qualcosa, ditelo a me o ai vostri fratelli così possiamo procurarvelo al mercato'”, racconta.

“Ora, ogni volta che ho il ciclo, devo rinunciare a assorbenti e medicine. Resto semplicemente in casa.”

Richard Bennett, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan, afferma che, pur avendo documentato “atti di resistenza” da parte di uomini afghani contro la repressione istituzionalizzata delle donne da parte dei talebani, “all’interno delle famiglie, i membri maschili stanno imponendo sempre più restrizioni alle loro parenti femmine, e sempre più donne riferiscono di aver bisogno del permesso per uscire di casa. Sono sempre più numerose anche le segnalazioni di membri femminili che garantiscono il rispetto delle regole”.

“La presenza di funzionari di fatto e presunti informatori nelle comunità, la minaccia di una sorveglianza costante e l’imprevedibilità dell’applicazione della legge contribuiscono ulteriormente al senso di insicurezza, aumentando lo stress psicologico e l’ansia, soprattutto tra le giovani donne”, afferma.

*Pubblicato in collaborazione con “The Guardian”.

La nuova direttiva sui media è un altro attacco alla libertà di stampa

Siyar Sirat, AMU Tv, 4 luglio 2025

Una nuova direttiva sui media emanata dai talebani ha provocato aspre critiche da parte delle organizzazioni per la libertà di stampa, che avvertono che il provvedimento segna una significativa escalation nella repressione dei talebani contro il giornalismo indipendente e le voci dissidenti.

La direttiva, annunciata dal Ministero dell’Informazione e della Cultura, vieta la programmazione politica senza previa approvazione, impone credenziali rilasciate dai Talebani per gli analisti e ritiene i giornalisti personalmente responsabili per qualsiasi contenuto che si discosti dalle politiche del gruppo. Le norme proibiscono inoltre opinioni contrarie alle narrazioni ufficiali e richiedono un “tono rispettoso” nei riferimenti alle autorità Talebane.

“Questa nuova direttiva è un chiaro segno di un governo autoritario”, ha dichiarato in un comunicato NAI in Exile, un ente di controllo dei media afghani ora con sede in Canada. “Chiude l’ultimo spazio rimasto per la critica e il dibattito pubblico nel Paese”.

La direttiva, intitolata “Politica sulla gestione dei programmi politici”, esige di fatto che tutti i commenti politici siano conformi al quadro ideologico dei talebani. In base alle sue disposizioni, conduttori e produttori potrebbero incorrere nella sospensione o revoca della licenza in caso di violazione.

Il Free Speech Centre, con sede in Canada, ha paragonato tali misure ai sistemi mediatici controllati dallo Stato in Corea del Nord, Cina e Iran.

Impone il conformismo ideologico

“Questo è uno degli attacchi più estesi alla libertà di stampa dal ritorno al potere dei talebani”, ha affermato il gruppo. “La direttiva impone il conformismo ideologico e trasforma il discorso politico in propaganda di Stato“.

I funzionari talebani hanno difeso le norme come un tentativo di promuovere “l’unità nazionale” e un “giornalismo sano”. Ma i sostenitori della stampa sostengono che le misure criminalizzano il dissenso e rafforzano un clima di paura e censura.

La direttiva limita inoltre la partecipazione al dibattito pubblico in settori come la religione o il diritto ad analisti qualificati e che sostengono esplicitamente le politiche talebane. Sono vietati i servizi giornalistici ritenuti dannosi per i “valori islamici” o per l'”unità nazionale”.

Da quando i talebani hanno preso il potere nell’agosto 2021, il panorama mediatico del Paese, un tempo fiorente, è stato gravemente compromesso. Più di 350 testate hanno chiuso i battenti e molti giornalisti, in particolare donne, si sono nascosti o sono fuggiti dal Paese. NAI in Exile stima che meno di 180 organizzazioni giornalistiche rimangano operative.

“Queste misure non riflettono la volontà del popolo afghano, ma la paura di un regime che non può tollerare controlli o responsabilità”, ha affermato il Free Speech Centre.

Entrambe le organizzazioni hanno chiesto alla comunità internazionale di sostenere i giornalisti afghani e di fare pressione sui talebani affinché cambino rotta.

“Se questa direttiva verrà mantenuta”, ha avvertito NAI in Exile, “l’Afghanistan diventerà presto un paese senza una sola voce indipendente”.

 

Scontri mortali tra talebani e popolazione locale nel distretto di Khash

La brutale campagna di eradicazione del papavero da oppio dei talebani lascia la popolazione locale senza mezzi di sopravvivenza; i rapporti affermano che fino a 15 civili sono stati uccisi nella repressione del Badakhshan

RawaNews, 2 luglio 2025

Nuove violenze sono scoppiate nel distretto di Khash, nella provincia di Badakhshan, dove gli scontri armati tra le forze talebane e la popolazione locale hanno causato almeno sette morti e oltre 40 feriti, secondo quanto riportato da fonti locali. Alcune fonti giornalistiche hanno riportato che fino a 15 persone sono state uccise dai talebani durante la repressione.

I disordini sono iniziati dopo che i combattenti talebani sono intervenuti durante una cerimonia funebre per le vittime di precedenti violenze nella zona. I residenti si sono opposti alla loro presenza, innescando violenti scontri. Secondo le autorità sanitarie di un ospedale locale, lunedì sono state uccise 7 persone, mentre martedì ne è morta un’altra. Almeno altre 12 sono rimaste ferite solo negli scontri di martedì.

In risposta alle crescenti tensioni, i talebani avrebbero interrotto le telecomunicazioni nel distretto e schierato forze speciali tramite elicottero per reprimere ulteriore resistenza. Il governatore del Badakhshan nominato dai talebani, Mohammad Ayub Khalid, ha confermato le vittime, attribuendole a “fuoco accidentale” da parte dei combattenti talebani.

La violenta repressione dei talebani

Secondo quanto riferito, gli scontri sono stati innescati da un’operazione talebana volta a distruggere i campi di papaveri locali, nell’ambito di un più ampio sforzo per eliminare la produzione di oppio. Ma per molti in queste zone, coltivare il papavero non è una scelta, ma un mezzo di sopravvivenza. Le persone sono estremamente povere e i talebani non offrono mezzi di sostentamento o sostegni alternativi; le famiglie non hanno altra scelta che coltivare oppio per sfamare i propri figli. L’uccisione di contadini durante l’operazione ha provocato una rabbia diffusa, con i residenti che hanno bloccato le strade per Fayzabad e Baharak e hanno preso d’assalto l’ufficio del governatore distrettuale di Khash, danneggiandone alcune parti.

Non è la prima volta che simili violenze scoppiano nel Badakhshan, una provincia nota per il suo ruolo significativo nella coltivazione e nel traffico di oppio in Afghanistan. Incidenti simili si sono verificati lo scorso anno nel distretto di Jurm in circostanze analoghe.

La situazione attuale a Khash rimane estremamente instabile, con crescenti timori tra i residenti riguardo a ulteriori violenze e all’isolamento causato dal blackout delle comunicazioni.