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Tag: Curdi

Kurdistan, una svolta di pace?

Pressenza, 2 marzo 2025, di Renato Franzitta

Il PKK ha dichiarato un cessate il fuoco effettivo immediato accettando la dichiarazione storica di Abdullah Öcalan. Di ieri, primo marzo, sono le dichiarazioni ufficiali del Comitato Esecutivo del PKK in merito all’appello del leader Apo Abdullah Öcalan.

La dirigenza del PKK dichiara che l’“Appello per la pace e una società democratica, fatto il 27 febbraio è un Manifesto dell’epoca che illumina il cammino di tutte le forze della libertà e della democrazia. […] In quanto PKK, condividiamo il contenuto dell’appello così com’è e affermiamo che rispetteremo e metteremo in pratica i requisiti dell’appello da parte nostra. Tuttavia, vorremmo sottolineare che per avere successo, anche la politica democratica e le basi giuridiche [in Turchia, nda] devono essere adeguate. […]

È chiaro che con questo Appello è iniziato un nuovo processo storico nel Kurdistan e nel Medio Oriente. Ciò avrà un impatto importante anche sullo sviluppo della vita libera e della governance democratica in tutto il mondo. Su questa base, la responsabilità ricade su tutti noi; tutti devono assumersi i propri oneri e assolvere ai propri doveri e al proprio ruolo.

La consapevolezza data dal leader Apo e la grande esperienza creata dal PKK danno al nostro popolo la forza di portare avanti la lotta per il bene, la verità, la bellezza e la libertà con una politica democratica. […] In questo contesto, dichiariamo un cessate il fuoco effettivo da oggi, per spianare la strada all’attuazione dell’appello del leader Apo per la pace e una società democratica.”

La dichiarazione del PKK è precisa in modo lapidario: “Per il successo del congresso, il leader Apo deve condurlo personalmente, […] è necessario creare un ambiente di sicurezza adeguato e il leader Apo deve guidare e gestire personalmente il congresso [del PKK, nda] affinché vada a buon fine.
L’esperienza creata dal PKK fornisce al nostro popolo il potere di portare a termine la lotta
[…] Nessuna delle nostre forze intraprenderà un’azione armata a meno che non venga attaccata. Inoltre, solo la leadership pratica del leader Apo può rendere pratiche questioni come il disarmo. […]

I fatti concreti mostrano chiaramente che, affinché l’Appello per la pace e una società democratica possa essere attuato con successo, affinché la democratizzazione della Turchia e del Medio Oriente si basi sulla soluzione democratica del problema curdo e affinché si sviluppi un movimento democratico globale, il leader Abdullah Öcalan deve poter vivere e lavorare in piena libertà fisica e poter stabilire relazioni senza ostacoli con chiunque desideri, compresi i suoi amici. Ci auguriamo che le istituzioni statali competenti rispettino tali requisiti […]. L’appello del Leader Apo non è certamente una fine, ma piuttosto un nuovo inizio. […]

È di importanza storica affrontare il contenuto dell’appello con grande responsabilità e serietà e attuarlo con successo in ogni campo. […] l’Appello per la pace e una società democratica sta avviando un nuovo processo di lotta per tutti gli oppressi, in particolare, donne e giovani. […] Sviluppiamo la nostra organizzazione democratica e la nostra lotta per la libertà in ogni campo con grande coraggio e dedizione, nel Kurdistan, nel Medio Oriente e in tutto il mondo.

[…] Stiamo costruendo la Rivoluzione per la libertà delle donne sulla base della Jineologia e organizzando la vita morale e politica della comunità sulla linea della civiltà democratica. […] Lunga vita all’eroico leader del nostro popolo, il PKK!”

La dichiarazione ufficiale del Comitato esecutivo del PKK viene fatta a soli due giorni della diffusione dell’appello storico per la risoluzione del conflitto turco-curdo e la democratizzazione della Turchia fatto nel corso della visita di una delegazione del partito DEM il 27 febbraio 2025, al leader curdo Abdullah Öcalan, detenuto dal 1999 nell’isola carceraria di Imral nel mar di Marmara, dove sta scontando l’ergastolo.

L’appello di Öcalan solleva la speranza di porre fine a più di quarant’anni di conflitto fra il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e l’esercito della Turchia, sollevando però diversi interrogativi sul futuro della politica curda in tutta la regione mediorientale. Certamente l’invito a deporre le armi e a sciogliere il PKK ha lasciato molti interdetti. Come lascia da pensare il credito elargito a Devlet Bahçeli presidente del MHP (Partito del Movimento Nazionalista) e fondatore dell’organizzazione di estrema destra Lupi Grigi, e allo stesso Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan.

Non è la prima volta che Abdullah Öcalan tende la mano per intavolare colloqui di pace col governo turco. Già il 28 settembre 2006 Öcalan chiedeva al PKK di dichiarare un armistizio e cercare di raggiungere la pace con la Turchia. La dichiarazione affermava che “Il PKK non dovrebbe utilizzare le armi tranne che se attaccato con l’intento di annichilimento” e che “è molto importante costruire un’unione democratica tra i Turchi e i Curdi. Con questo processo la via al dialogo democratico verrà finalmente aperta”.

Ricordo benissimo mentre ero, nel marzo 2015, nel Kurdistan turco, dopo la vittoriosa battaglia di Kobane contro i tagliagole dell’ISIS, che i dirigenti dell’HDP e i militanti che facevano riferimento al PKK aspettavano con ansia la notizia della liberazione del loro leader, data per imminente, convinti che l’amministrazione Erdoğan fosse in procinto di attuare la pacificazione con il movimento di resistenza curdo e la conseguente liberazione delle migliaia di detenuti politici rinchiusi nelle carceri turche da tanti anni.

Come ben sappiamo le aspettative dei curdi non furono esaudite, anzi cominciò una pesante campagna militare che portò la guerra dentro città e villaggi del Kurdistan, l’arresto di centinaia e centinaia di militanti, la deposizione di tutti i sindaci curdi e lo scioglimento dei municipi. Fu persino arrestato, nel novembre 2016, il Presidente dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli) Selahattin Demirtaş, deputato al Parlamento di Ankara, e successivamente condannato a 42 anni di carcere per aver sostenuto le manifestazioni in sostegno della resistenza di Kobane contro i tagliagole dell’ISIS, represse violentemente da esercito e polizia nel 2014.

L’appello di Öcalan a deporre le armi e a sciogliere il PKK è riferito essenzialmente alla componente turca del movimento curdo. Nell’appello non c’è alcun riferimento all’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est, diretta dal Consiglio Democratico Siriano, dove è in corso l’esperimento rivoluzionario di una società basata sul Confederalismo Democratico, né alle propaggini del PKK operanti in Iraq e Iran.

Da Kobane fanno sapere, “le dichiarazioni di Öcalan: niente che ci riguardi in Siria”. Il Rojava rivoluzionario è sotto attacco dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA), formazione creata e finanziata da Ankara, composta da jihadisti provenienti dall’ISIS e da al-Nustra (al-Qaeda in Siria), dai primi giorni del dicembre 2024.

L’intenzione del presidente turco Erdogan di dare un colpo mortale al Rojava e cancellare l’esperimento rivoluzionario è stata palese. A frenare i piani del despota turco sono state le milizie YPG, YPJ e SDF, sostenute da una grandiosa mobilitazione popolare, che hanno attualmente fermato i tagliagole dello SNA alla diga di Tishrin sull’Eufrate e respinto l’attacco dalla citta martire di Kobane.

Negli ultimi giorni sembra che Ankara abbia ammorbidito la sua posizione, poiché diverse nazioni arabe hanno respinto la crescente influenza della Turchia in Siria, dove dall’8 dicembre a Damasco, dopo il crollo del regime di Bashar al-Assad, governa una propaggine di al-Qaeda.

Foza Yusuf, un funzionario chiave nell’amministrazione guidata dai curdi, ha sottolineato che l’appello di Öcalan non allude alla Siria. “La sua dichiarazione rivela ancora una volta la sua brillantezza strategica. Sapevamo che non ci avrebbe reso parte di alcun patto. I nostri accordi, i nostri affari devono essere fatti con Damasco, non con la Turchia”.

Il partito turco filo-curdo DEM ha prontamente diffuso l’appello mostrando Öcalan, su schermi giganti, affiancato da deputati del DEM che lo avevano incontrato sulla sua isola-prigione. Migliaia di persone si sono radunate davanti ai maxi schermi installati nelle piazze di Istanbul e nelle principali città del Kurdistan turco per guardare la conferenza stampa. Il giornalista locale Selim Kurt ad Al-Monitor da Diyarbakir ha riferito che mentre ascoltavano le parole del leader curdo le persone si sono chieste perché Öcalan avesse rinunciato a così tanto senza ottenere nulla in cambio.

Sentimenti simili sono riecheggiati a Istanbul, spingendo il parlamentare DEM Sırrı Sureyya Onder a notare che il leader del PKK aveva anche affermato che erano necessarie “politiche democratiche e un quadro giuridico” da parte di Ankara, affinché i suoi seguaci disarmassero e si sciogliessero. Ancora non è chiaro cosa abbia offerto il governo in cambio dell’appello di Öcalan. Molto probabilmente si profila l’amnistia per i combattenti del PKK e la liberazione degli altri leader curdi come Demirtaş. Al-Monitor riferisce che è probabile che il governo regionale del Kurdistan (KRG) in Iraq abbia offerto asilo ai quadri superiori del PKK.

Ovviamente il primo passo per iniziare il processo di pace passa dal cessate il fuoco reciproco fra Esercito turco e PKK.
La liberazione di Öcalan è la condizione chiave per portare a buon fine il processo di pacificazione in Turchia, rafforzando contemporaneamente le conquiste rivoluzionarie del Confederalismo Democratico.
Tante ombre rimangono ma un barlume di luce sembra apparire all’orizzonte.

 

Dialogo con Ankara, le linee rosse curde per il disarmo

 

Il Manifesto, 16 febbraio 2025, di Tiziano Saccucci

Kurdistan In attesa dell’appello-video del leader Ocalan al Pkk, il partito Dem in missione nel Kurdistan in Iraq. Poca fiducia dei combattenti nelle promesse turche

 

 

A meno che non ci sia una seria opposizione e un intervento golpista, sembra che Reber Apo (il leader Öcalan) darà inizio a un nuovo processo di cambiamento, trasformazione e ricostruzione per tutti», si legge in un comunicato del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) in occasione del 15 febbraio, ventiseiesimo anniversario della cattura di Abdullah Öcalan.

«Il nostro popolo lo definisce “il giorno nero”, Reber Apo quest’anno vuole trasformare questo giorno nero in un giorno bianco», ha detto Murat Karayılan, comandante delle Forze di difesa del Popolo (Hpg) legate al Pkk, in un’intervista al canale curdo SterkTV.

DA TEMPO, infatti, circolano voci su un’imminente appello di Öcalan al Pkk affinché questo si impegni in un nuovo processo di pace che porti al disarmo dell’organizzazione, cogliendo l’opportunità aperta a ottobre dal leader nazionalista turco Devlet Bahçeli in parlamento.

L’appello, probabilmente in video, era atteso per proprio per il 15 febbraio ma potrebbe essere rimandato. Ad accennarlo è stata Tülay Hatimogulları, co-presidente del Partito per l’uguaglianza e la democrazia dei popoli (Dem), rispondendo alle domande di alcuni giornalisti al margine di una sessione del parlamento turco. Il ritardo è probabilmente dovuto a una visita di Dem nella Regione del Kurdistan in Iraq, programmata nel fine settimana per incontrare i leader delle due principali famiglie che controllano la regione semiautonoma, Barzani e Talabani.

«La società è pronta, la politica è pronta, l’opposizione è pronta, ma è ovvio che il governo non è pronto. Dovrebbero annunciare le loro tabelle di marcia per un processo di pace. Per cominciare, l’isolamento del signor Öcalan dovrebbe essere revocato», ha dichiarato Hatimogulları.

«I processi del 1993, 1995, 1998 e, più di recente, i colloqui di Oslo tra il 2013 e il 2015, hanno gettato le basi per una soluzione. La questione può essere risolta senza guerra», ha dichiarato il membro del Comitato centrale del Pkk Nedim Seven all’agenzia curda Firat News, confermando tuttavia lo scetticismo del partito sulle reali intenzioni di Ankara: «Sfortunatamente, lo stato turco e i suoi rappresentanti hanno utilizzato questi processi per i propri interessi di potere e hanno agito non per risolvere un problema vecchio di un secolo, ma per mantenere il proprio potere».

ANCHE KARAYıLAN ha criticato l’approccio di Ankara: «Recep Tayyip Erdogan dice di sostenere l’appello di Bahçeli, eppure in Rojava dal confine fino a Tabqa passando per Jarabulus c’è un fronte di guerra e contro i curdi lo stato turco sta usando tutte le possibili tecniche».

Nella stessa occasione, il comandante Hpg ha chiarito le condizioni per il disarmo: «Siamo un movimento con migliaia di combattenti, non sono combattenti per soldi che fanno il loro lavoro e se ne tornano a casa. Combattono per un’idea, per ciò in cui credono. Se la persona che ha creato quell’ideologia, il leader Apo, non parla con questi compagni direttamente, se fa solo una chiamata via video, come possono convincersi a lasciare le armi?».

Secondo Karayılan un messaggio da parte di Öcalan sarebbe «senza dubbio un inizio molto importante» ma non sufficiente se non seguito da un cessate il fuoco bilaterale: «Oggi a Zap, i soldati dello stato turco e i nostri compagni stanno combattendo a 200 metri di distanza, come potrei andare a dirgli di deporre le armi?».

IL PASSAGGIO successivo, linea rossa più volte esplicitata da Karayılan e Seven, dovrebbe essere il rilascio di Öcalan, così che possa discutere il disarmo direttamente con i militanti del partito, magari in un congresso. «Non siamo amanti delle armi, siamo amanti della libertà e della democrazia, della vita equa – ha concluso il comandante della guerriglia – Se queste condizioni si realizzeranno non ci sarà senza dubbio più bisogno delle armi».

Turchia: possibile accordo coi Curdi

I due principali parlamentari della comunità curda in Turchia Sirri Sureyya Onder e Pervin Buldan.

Settimana NEWS, 23 gennaio 2025, di Riccardo Cristiano

Alle volte la storia riparte da dove si era interrotta. Così la storia del pluralismo “mediorientale” potrebbe ripartire dalla Turchia. Forse, con molti punti interrogativi, il complesso mondo mediorientale arabo e turco potrebbe vedere un nuovo pluralismo prendere le mosse dall’Anatolia – prima testimone di un nazionalismo malato.

Parliamo di Paesi complessi, quali sono la Turchia, la Siria, il Libano, l’Iraq.

Nazionalismo arabo vs. colonialismo europeo
Per quanto esistano idee diverse al riguardo del genocidio armeno, è innegabile il ruolo cruciale che vi svolsero i nazionalisti che presero proprio allora il potere, i Giovani Turchi. Così a cavallo tra le due guerre mondiali si è diffuso un nazionalismo che si è definito in queste aree diverse, ma da una storia comune in reazione al colonialismo europeo.

Se in Turchia ne sono stati caposaldo i Giovani Turchi, nel mondo arabo ne sono stati espressione i pan-arabisti, che volevano la nazione degli arabi, ossia di coloro che parlano arabo. Scivolata dalle mani dei grandi intellettuali in quelle di possenti generali, l’idea di nazione è parsa respingere ogni complessità: una nazione ha una lingua, un’etnia, un capo. Ci possono essere state delle parziali eccezioni, o delle aggiunte, ma l’unicità è stata un forte collante.

La storia è stata feroce, o atroce, con quelle che chiamiamo minoranze e che, invece, dovrebbero essere ricchezze di un territorio: etniche e religiose. Oggi i curdi ne sono una nota vittima, perché si tratta non di etnia turca in Turchia, non di etnia araba in Siria e Iraq. Altre ce ne sono.

Ora, sorprendentemente per il momento che il mondo sta vivendo e che sembra caratterizzato da idee molto strette di cosa sia una “nazione”, per i curdi sarebbe alle porte il possibile inizio di una pagina nuova, che se funzionasse potrebbe essere foriera di grandi novità anche in Siria, Paese dove ai curdi era proibito anche il passaporto. Questo avrebbe peso per tutti, non solo per i curdi: si comincerebbe a pensare diversamente a cosa sia una nazione? Intanto parliamo dei fatti.

Curdi turchi: lungo colloquio con Ocalan
I due principali parlamentari turchi appartenenti alla comunità curda, Pervin Buldan e Sirri Sureyya Onder (del partito DEM), si sono intrattenuti per quattro ore con Ocalan: il doppio del tempo trascorso con lui a dicembre nel penitenziario di massima sicurezza dove è detenuto da 26 anni, cioè dal secolo scorso, in isolamento. DEM pubblicherà presto un comunicato ufficiale.

Fonti autorevoli, citate dal sito specializzato sul Medio Oriente al-Monitor, hanno però fatto capire ufficiosamente il percorso che si delinea. Il 15 febbraio prossimo, 26esimo anniversario della sua cattura, Ocalan potrebbe chiedere, in particolare al suo PKK, di deporre le armi e annunciare la fine della lotta armata. Contemporaneamente la Turchia porrebbe fine alla detenzione in regime di isolamento cui Ocalan è sottoposto da così tanti anni, libererebbe i politici e attivisti curdi più noti, a cominciare dal leader di DEM Selahattin Demitras, e accantonerebbe la sua contrarietà a un’autonomia de facto curda – secondo forme e criteri sin qui non divulgati.

L’accordo coinvolgerebbe anche l’azione politica dei curdi in Siria, dove il partito di Ocalan, il PKK, è molto presente, combattendo contro i turchi che bombardano anche villaggi curdi. Anche qui la linea sarebbe la stessa: cessazione delle ostilità in presenza di una rinnovata e riconosciuta forma di autonomia non belligerante con le istituzioni centrali siriane.

L’ottimismo però deve fare i conti con la storia. Un appello a favore della pace e della partnership strategica tra turchi e curdi, Ocalan lo aveva già fatto proprio il 21 marzo del 2013. Ma negli anni successivi i negoziati tra Erdogan e DEM fallirono. Il leader turco si alleò con la destra nazionalista, anche quella estrema, per resistere. Ora però uno dei più noti esponenti del nazionalismo estremo turco, Umit Ozdag, è stato arrestato – probabilmente per impedirgli di organizzare eventi ostili all’intesa.

Le ambizioni di Erdogan e la fine del conflitto turco-curdo
Nel retrobottega della politica si considera che se Erdogan perseguirà davvero questa strada, potrebbe considerare di aver posto termine a un conflitto gravissimo e lunghisismo, dimettersi da Presidente e, in virtù della Costituzione che gli impedirebbe di ricandidarsi se completasse il suo secondo mandato, ricandidarsi perché dimessosi in anticipo e così sperare di essere rieletto.

Quanto conseguito gli darebbe la speranza di vincere, soprattutto se la pacificazione della Siria fosse effettiva e parte dei tantissimi profughi siriani potesse cominciare a scegliere di rientrare in patria, anche considerato quanto i nazionalisti turchi gli rendano difficile la vita in Turchia. Calcoli ottimisti? Va ricordato che alle recenti presidenziali Erodgan fu rieletto per pochissimi voti e i curdi sostennero il suo sfidante. In questo caso potrebbero almeno non correre in massa alle urne. Altri dicono che Erdogan vorrebbe cambiare la Costituzione sulla rieleggibilità, con il sostegno dei curdi.

Le ricadute sulla Siria
Il capitolo siriano non è certo irrilevante, visto che lì i turchi e i curdi si combattono aspramente, soprattutto con le parti di milizie curde legate al PKK turco. Ma per favorire l’intesa è sceso in campo il leader dei curdi iracheni, Barzani, che proprio in questi giorni si è incontrato con la sua controparte in Siria, il leader curdo Kobane. Il destino degli aderenti curdi di origini turche aderenti al PKK rimane incerto, per i miliziani siriani si prefigurerebbe un ingresso nell’esercito siriano, come auspicato dal leader de facto siriano Ahmad al Sharaa.

Sarà chiesta l’espulsione dei curdi turchi in armi dalla Siria? Di questo si sa solo che la questione è stata sollevata, non è noto con quali possibili risultati. E questo punto sembra difficile per le molte difficoltà operative e tecniche. I dettagli da chiarire, non irrilevanti, sono moltissimi.

L’importanza di questo accordo per la Siria è enorme: non solo perché i curdi sono circa il 12% dell’attuale popolazione siriana, ma perché si aprirebbe una prospettiva nuova per la Siria. I timori più noti riguardano i gruppi jihadisti come l’Isis, contro i quali i curdi combattono da anni e il loro ingresso nell’esercito siriano gli darebbe credibilità come forza nazionale e anti jihadista al cospetto di tutti coloro che, da varie milizie, ancora oggi hanno dubbi al riguardo.

Sarebbe un rafforzamento del governo centrale, ma con un’impostazione non centralista, il che aiuterebbe a dar forma a un Paese plurale: non una sommatoria di pezzi disconnessi tra loro, ma neanche una “dittatura” di una forza che si impone sulle altre.

Una nuova prospettiva per il Medio Oriente
Se così andranno le cose, e soprattutto se andassero bene, sia la Turchia che la Siria troverebbero una stabilità tutta nuova: ossia, l’idea che lo Stato sia proprietà di un gruppo etnico sotto un capo indiscutibile, o di una sola comunità di credenti, si comincerebbe a modificare e questo potrebbe a nuove amicizie, a Stati non ostili l’uno all’altro e senza più, almeno in prospettiva, cittadini di “serie b”.

Questo si incrocia con i cambiamenti che stanno emergendo dal Libano e che potrebbero dare linfa nuova all’idea di Stato plurale. Non si tratta di “cantonalizzare” un Paese, ma di creare uno Stato che li consideri cittadini uguali di diverse identità religiose che devono servire insieme l’interesse comune.

È quello che un sorprendete premier, Nawaf Salam, giurista formatosi tra Harvard e Sorbona, sta cercando di fare, togliendo ai partiti il potere di scegliere i ministri: “saranno delle diverse comunità di fede per rappresentare tutti, ma scelti da me e votati da tutto il Parlamento” – non da un solo partito, quello che li designa. Ci riuscirà?

Sembra difficile, ma se già riuscisse a cominciare a muovere qualche passo in questa direzione darebbe un colpo durissimo a tutte le famiglie feudali che si sono impossessate della rappresentazione delle comunità religiose, ridando smalto alla politica. E a quel punto i nuovi rapporti con la nuova Siria potrebbero immaginarsi. Forse…

Turchia, Erdogan tenta il dialogo con Ocalan per dividere i curdi in Siria ma in patria arresta i loro sindaci: 5 in pochi mesi

Il Fatto Quotidiano, 17 gennaio 2025, di Roberta Zunini

Nell’ultimo mese al leader del Pkk è stato permesso di ricevere le visite di parlamentari nella prigione di Imrali dove sconta l’ergastolo.

Mentre l’esercito turco bombarda i civili curdi a est della città siriana di Aleppo, uccidendo anche due giornalisti, il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan cerca – non è dato sapere se genuinamente o per dividere le milizie curde siriane del Ypg che hanno uno stretto legame con il Pkk – di dialogare con Abdullah Ocalan e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, offrendo la possibilità addirittura di toglierlo dalla lista delle organizzazioni terroristiche. E potrebbe non essere un caso che a Ocalan, dopo anni, sia stato permesso di ricevere per ben due volte nell’ultimo mese le visite di alcuni parlamentari nella isola-prigione di Imrali dove sta scontando l’ergastolo.

Intanto sul terreno, ogni giorno si fa sempre più fitta la lista dei sindaci – di etnia turca e curda – che vengono prelevati dal letto all’alba e arrestati. In queste ultime due settimane la lista si è allungata in modo impressionante. Il nome più influente è quello del primo cittadino del grande quartiere di Beşiktaş, a Istanbul. Rıza Akpolat è detenuto per 4 giorni con accuse tra cui “appartenenza a un’organizzazione criminale”, “offerta collusiva” e “arricchimento ingiusto”. Dopo un controllo medico, ieri è stato condotto davanti al tribunale di Çağlayan e oggi rilascerà una dichiarazione al pubblico ministero, che deciderà se deferirlo in tribunale o rilasciarlo.

L’arresto ha scatenato una protesta di fronte alla sede municipale. Özgür Özel, leader del maggior partito di opposizione, il repubblicano laico Chp, il sindaco della municipalità metropolitana di Istanbul Ekrem İmamoğlu, anch’egli del Chp, il sindaco di Ankara Mansur Yavaş, assieme ai sindaci di altre province e ad altri dirigenti del Chp hanno manifestato di fronte al palazzo municipale di Beşiktaş. Anche il presidente provinciale del Chp di Istanbul Özgür Çelik ha invitato la popolazione a partecipare alla protesta. Nei giorni precedenti era stata la volta dei copresidenti del comune distrettuale di Akdeniz della provincia di Mersin, Hoşyar Sarıyıldız e Nuriye Arslan, e i membri dell’assemblea comunale Özgür Çağlar, Hikmet Bakırhan e Neslihan Oruç del Partito per l’uguaglianza e la democrazia dei popoli (DEM) – evoluzione del partito filo curdo democratico dei Popoli Hdp – che sono stati arrestati durante le retate della polizia.

⁠ La repressione non conosce soste. L’ufficio del procuratore capo di Mersin, città costiera del sud est, ha avviato un’indagine per “propaganda di un’organizzazione terroristica“, “appartenenza a un’organizzazione terroristica armata”, “violazione della legge sulla prevenzione del finanziamento del terrorismo” e “opposizione alla legge n. 2911 su riunioni e dimostrazioni”. Cinque persone sono state arrestate mentre la polizia ha effettuato una perquisizione anche nel comune di Akdeniz. L’agenzia Mezopotamya ha riferito che c’è un ordine di segretezza sul fascicolo.

Alle elezioni locali tenutesi il 31 marzo 2024, il partito Dem ha vinto con il 36,92% dei voti nel distretto di Akdeniz della provincia di Mersin (47 mila 843 voti). “La polizia ci ha impedito di entrare in comune di Akdeniz – ha raccontato Ali Bozan, parlamentare Dem di Mersin -, affermando che il governo ha nominato un fiduciario per gestire il comune. La nomina di fiduciari a posizioni elettive è un’usurpazione, un furto alla volontà del popolo”. “Abbiamo vinto il comune di Akdeniz alle elezioni locali del 31 marzo in seguito alla libera decisione di decine di migliaia di persone . ha aggiunto Bozan su X -. Oggi, vogliono nominare un fiduciario governativo al posto di quella volontà. Invitiamo tutti coloro che in questa città sono dalla parte della giustizia di fronte all’edificio municipale alle 10”.

L’Associazione medica turca (Ttb) ha affermato che la nomina di fiduciari governativi presso i comuni è “un segno che sia il diritto di voto che quello di candidarsi alle elezioni vengono deliberatamente e costantemente ignorati e che il sistema giudiziario viene utilizzato come arma in linea con gli interessi politici del governo”. La dichiarazione prosegue con queste parole: “Ricordiamo ancora una volta che è impossibile lavorare per la salute o la scienza senza un ambiente democratico e pacifico; e invitiamo l’autorità politica a rispettare il diritto di voto e di candidarsi alle elezioni e la volontà del popolo”.

Dalle elezioni locali del 31 marzo 2024, sono stati già nominati i fiduciari governativi in ​​5 municipalità governate dal partito Dem e 2 dal Chp. Mehmet Sıddık Akış, sindaco Dem di Hakkari, è stato licenziato il 3 giugno e al suo posto è stato nominato un fiduciario governativo. Il 30 ottobre è stata la volta di Ahmet Özer, sindaco del CHP del distretto di Esenyurt. Il 4 novembre, il sindaco metropolitano di Mardin Ahmet Türk, quello di Batman Gülistan Sönük e quello del distretto di Halfeti della provincia di Şanlıurfa Mehmet Karayılan sono stati rimossi dai loro incarichi. Il 22 novembre è toccato al sindaco di Dersim Cevdet Konak (Dem) e a quello di Ovacık Mustafa Sarıgül (Chp).

Oggi la Turchia è di fatto un ologramma della democrazia che avrebbe voluto essere: non ha mai raggiunto la piena maturità da quando venne fondata da Kemal Atarurk un secolo fa sulle ceneri del dissolto impero Ottomano.

 

Turchia. Delegazione del Pkk incontra Ocalan: urge la ‘fratellanza curdo-turca’

Notizie Geopolitiche, 29 dicembre 2024, di Shorsh Surme

Una delegazione del Pkk curdo ha incontrato ieri presso il centro di detenzione di Imrali il leader . A seguito della visita la delegazione ha constatato che Ocalan gode di buona salute e che “ha proposto una soluzione positiva agli scenari oscuri che si stanno imponendo nella regione”.
“Il rafforzamento della fratellanza curdo-turca non è solo una responsabilità storica, ma anche di importanza decisiva per tutte le nazioni”, ha affermato Ocalan in una nota.
In occasione dell’incontro è stato notato che per il successo del processo di pace, tutti i partiti politici in Turchia devono prendere l’iniziativa e avere un atteggiamento positivo e costruttivo senza dipendere da calcoli temporanei e ristretti. Naturalmente, uno dei settori più importanti di questa partecipazione sarà il parlamento turco.
In merito alla questione di Gaza e a quella della Siria Ocalan ha affermato che “Ho la competenza e la determinazione per dare il contributo necessario al nuovo paradigma sostenuto da Bakcelli ed Erdogan”, auspicando “un’era di pace, democrazia e fratellanza per la Turchia e la regione”.
Nel corso degli ultimi decenni, ci sono stati vari tentativi di pace e negoziati tra il governo turco e i rappresentanti curdi, ma nessuno di questi processi ha portato a una soluzione duratura e definitiva. Di seguito sono descritti i principali momenti dei negoziati:

– Processo di pace degli anni ’90: durante gli anni ’90 la Turchia ha affrontato una guerra contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), organizzazione curda separatista, che ha causato migliaia di vittime. Negli anni ’90 ci furono alcuni tentativi di negoziati, ma furono interrotti a causa del rifiuto del governo di concedere autonomi diritti ai curdi e della violenza da entrambe le parti.

– Processo di pace degli anni 2000: negli anni 2000, soprattutto durante il governo di Recep Tayyip Erdogan, ci furono segnali di apertura verso una soluzione politica del conflitto. Tra il 2006 e il 2009, ci furono alcuni tentativi di negoziato informali, ma questi non portarono a risultati concreti.

– Processo di pace (2013-2015): il periodo più significativo di negoziato tra il governo turco e i rappresentanti curdi è stato tra il 2013 e il 2015, noto come il “Processo di Pace”. Il governo di Erdogan e il leader del PKK, Abdullah Ocalan, detenuto nelle prigioni turche, hanno avviato un dialogo segreto che ha portato a un cessate-il-fuoco tra le parti e alla formulazione di alcune proposte per una soluzione politica. Tuttavia il processo è stato interrotto nel 2015 a causa dell’escalation del conflitto, delle difficoltà interne alla Turchia e delle operazioni militari contro il PKK nel sud-est del paese.

– Fasi successive: dopo il fallimento del processo di pace, la situazione è tornata a essere caratterizzata dalla violenza e dalla repressione nei confronti delle organizzazioni curde. La Turchia ha continuato a combattere contro il PKK, mentre il governo curdo nel nord della Siria (le Forze Democratiche Siriane, SDF), che include il PYD (Partito dell’Unione Democratica, considerato dalla Turchia affiliato al PKK), ha ottenuto il sostegno degli Stati Uniti nella lotta contro lo Stato Islamico. Questo ha acuito ulteriormente le tensioni tra la Turchia e le forze curde regionali.

 

La Turchia non chiude all’attacco ai curdi: Siria ancora in bilico tra guerra e pace

Inside Over, 21 dicembre 2024, di Giuseppe Gagliano

Il  19 dicembre un portavoce del Ministero della Difesa turco ha smentito categoricamente la possibilità di un accordo di cessate il fuoco tra Ankara e le Syrian Democratic Forces (SDF), nonostante le dichiarazioni del Dipartimento di Stat

americano che annunciavano una tregua fino al 22 dicembre. Definendo l’annuncio di Washington un “lapsus”, il rappresentante turco ha ribadito che la Turchia non dialogherà con quelle che considera estensioni del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), classificato come organizzazione terroristica.

La tensione crescente tra la Turchia e le forze curde in Siria, sostenute dagli Stati Uniti, è parte di un conflitto più ampio che coinvolge anche le relazioni già fragili tra Ankara e Washington. Gli Stati Uniti, pur riconoscendo il PKK come organizzazione terroristica, continuano a collaborare con le SDF, il cui principale componente, le Unità di Protezione Popolare (YPG), è considerato dalla Turchia una minaccia esistenziale. Le forze sostenute da Ankara, tra cui l’Esercito Nazionale Siriano (SNA), hanno intensificato le operazioni lungo il confine per “liberare” le aree controllate dalle YPG.

Secondo fonti statunitensi riportate dal Wall Street Journal, un’importante concentrazione di truppe turche è stata osservata nei pressi di Kobani, città simbolo della resistenza curda, suggerendo l’imminenza di un’operazione transfrontaliera. Il dispiegamento include commandos, artiglieria e milizie alleate, in una manovra che richiama le operazioni militari turche precedenti. Le implicazioni di una nuova offensiva sono significative: oltre 200.000 civili curdi potrebbero essere sfollati, e le già vulnerabili comunità cristiane nella regione rischiano di essere travolte.

Ankara ha già lanciato tre operazioni militari in Siria dal 2016, con l’obiettivo dichiarato di impedire ai curdi di stabilire un’entità autonoma lungo il confine turco-siriano. Ora, con l’accumulo di truppe e l’intensificazione della retorica, sembra pronta a ripetere questo schema. Il portavoce turco ha dichiarato che “la lotta al terrorismo continuerà fino a quando il PKK/YPG non deporrà le armi e i combattenti stranieri non lasceranno la Siria”, senza fornire dettagli su eventuali nuove operazioni dirette.

La situazione ha attirato l’attenzione di un alto funzionario curdo, Ilham Ahmed, che ha inviato una lettera al presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, esortandolo a intervenire. Ahmed ha accusato Ankara di voler consolidare il controllo sui territori curdi prima dell’insediamento della nuova amministrazione americana, ricordando a Trump le sue precedenti promesse di proteggere le forze curde, definite “alleati fondamentali” nella lotta contro il terrorismo.

La prospettiva di una nuova offensiva turca rischia di destabilizzare ulteriormente una regione già fragile, minacciando gli sforzi internazionali per contenere il conflitto. Con Antony Blinken che non è riuscito a ottenere impegni concreti da Recep Tayyip Erdogan, e l’amministrazione Trump ancora in transizione, il futuro delle relazioni tra Turchia, Stati Uniti e SDF appare più incerto che mai. Nel frattempo, sul terreno, gli equilibri si spostano pericolosamente verso un’altra escalation, lasciando le popolazioni locali intrappolate in un conflitto senza fine.

Imminente attacco turco alle città della Siria settentrionale – L’UE deve fermare Erdoğan

pressenza.com Bolzano, Göttingen Associazione per i Popoli Minacciati 17dicembre 2024

L’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) chiede all’UE di impedire al sovrano turco Recep Tayyip Erdoğan di lanciare un grande attacco alle città settentrionali siriane di Kobani e Raqqa, che sono sotto il controllo delle Forze Democratiche Siriane (SDF) guidate dai curdi.

Nei suoi colloqui con il Presidente Erdoğan, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen deve fare tutto il possibile per impedire un attacco turco alle città di Kobani e Raqqa. Nelle ultime settimane circa 200.000 rifugiati hanno trovato rifugio nella regione controllata dai curdi intorno alle due città. In caso di nuova aggressione turca, essi e centinaia di migliaia di curdi, assiri/aramaici, armeni, cristiani, yazidi, aleviti e molti sunniti che rifiutano un regime islamista in Siria dovranno fuggire. Un attacco turco sarebbe una catastrofe umanitaria e la fine di un futuro pluralistico per la Siria. La città curda di Kobani è una città simbolo nella lotta contro l’IS. Raqqa, l’ex capitale dell’IS, è stata liberata dai curdi con grande sacrificio.

Anche l’IS sarebbe rafforzato dagli attacchi turchi. Inoltre, circa 11.000 membri dell’IS potrebbero evadere dalle prigioni nella regione del Rojava e raggiungere l’Europa attraverso la Turchia. Se i membri dell’IS evadono dalle prigioni nel nord della Siria e vengono in Europa, il rischio di attacchi islamisti aumenta anche qui, ad esempio nei mercatini di Natale. I politici, soprattutto in Germania, che non riconoscono questi pericoli e sostengono Erdoğan agiscono in modo irresponsabile e mettono in pericolo la vita delle persone.

L’APM critica l’invio di un diplomatico tedesco dell’UE in Siria. Per anni abbiamo chiesto alla Germania e all’UE di fornire aiuti umanitari ai curdi che combattono contro l’IS nel nord della Siria. La richiesta è stata respinta perché il PKK curdo è classificato come organizzazione terroristica dalla Turchia e dai suoi sostenitori. La Germania e l’UE considerano l’SDF vicina al PKK. Il fatto che l’islamista HTS, che ora controlla gran parte della Siria, sia sulla lista dei terroristi delle Nazioni Unite non sembra invece essere un problema.