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Tag: Manifestazioni

Manifestazione nazionale 1° novembre a Roma #controlaGuerra #IostoconiCurdi

rojava

Retekurdistan.it – 28 ottobre 2019

Alle ore 15:00 del 9 ottobre la Turchia ha iniziato l’attaco di invasione del Nord – Est della Siria, il Rojava, provando a distruggere quello che curdi, armeni, arabi, assiri e turcomanni, cristiani, siriaci hanno costruito insieme.

Questi popoli sono il simbolo mondiale della resistenza all’ Isis e in un Paese martoriato da anni di guerra civile sono riusciti a dare vita ad un sistema.

Questa invasione viene portata avanti con il pretesto di un presunto problema di sicurezza e di pericolo per la Repubblica Turca ma da quando ha avuto inizio il conflitto in questa regione, ossia a Marzo 2011, nessun tipo di iniziativa o attacco sono stati intrapresi né contro il confine, né tanto meno contro la Turchia.

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6 TAURUS 1398 – 26 aprile 2019 – Manifestazione a Kabul per i Black Days del 1992

Kabul – Commemorazione dei Black Days

4 hambastagi 8th saur 26 april 2019Senza perseguire i criminali del 27 aprile 1978 e 28 aprile 1992, il nostro popolo non potrà mai vedere pace e prosperità!

Nonostante siano ormai passati molti anni da quei giorni bui del 27 aprile 1978 e 28 aprile 1992 (ndt. ingresso dei jihadisti a Kabul, inizio della guerra civile), il popolo afghano sta ancora pagando le conseguenze disastrose di quei due giorni infausti.

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Nonostante siano ormai passati molti anni da quei giorni bui del 27 aprile 1978 e 28 aprile 1992 (ndt. ingresso dei jihadisti a Kabul, inizio della guerra civile), il popolo afghano sta ancora pagando le conseguenze disastrose di quei due giorni infausti.

1 hambastagi 8th saur 26 april 20192 hambastagi 8th saur 26 april 20193 hambastagi 8th saur 26 april 201913 hambastagi 8th saur 26 april 20198 hambastagi 8th saur 26 april 20197 hambastagi 8th saur 26 april 201912 hambastagi 8th saur 26 april 2019Quei terribili giorni hanno causato centinaia di migliaia di vittime del nostro paese; milioni di sfollati; la scomparsa di migliaia di esseri umani liberi e consapevoli; lo stupro di bambine di 7 anni e di anziane di 70; la distruzione delle nostre infrastrutture economiche e sociali. Ogni istituzione della nostra nazione è stata saccheggiata e sono state commesse brutalità e depravazioni di ogni genere. Conosciamo i colpevoli: le fazioni Khalqi-Parcham e i leader jihadisti sono le principali cause della distruzione del nostro paese e di quanto succede oggi. È a causa del loro tradimento che l’Afghanistan è diventato il terreno di scontro tra Pakistan e Iran, e di occupazione permanente per ben quaranta paesi guidati dagli Stati Uniti.

Ma è ancora più doloroso quando gli autori di quelle violenze stanno ancora governando il nostro paese e il destino del popolo afghano, protetti dagli Stati Uniti e dai loro alleati. E ancora sono responsabili di oppressione, avidità e crimini, con la pretesa di definirsi “eroi”. I criminali del 28 aprile 1992, i loro padroni pakistani, arabi e iraniani, hanno trasformato l’Afghanistan in una macelleria e sono così spudorati da non assumersi nemmeno un milionesimo di responsabilità per i crimini commessi. Pensano solo a salvare se stessi dalla giustizia di un tribunale, che li condannerebbe senza appello per le violenze sanguinarie degli ultimi quattro decenni. Se questi crimini non fossero accaduti in Afghanistan, di sicuro il nostro popolo non avrebbe dovuto affrontare il terrore di talebani e ISIS, esplosioni e attentati suicidi, i bombardamenti continui degli Stati Uniti e della NATO.

Il governo dell’Afghanistan è composto da corrotti che con la scusa del “processo di pace” hanno reso omaggio ad assassini talebani e pro-Gulbuddin Hekmatyar, amnistiando i peggiori criminali e liberandoli dal carcere . MA NON C’È PACE SENZA GIUSTIZIA! Quella giustizia che nel corso degli ultimi decenni è stata sacrificata allo strapotere di oppressori e predatori. Gli attentati suicidi a Kabul e nelle province sono le conseguenze di questa mancanza di giustizia e ancora una volta il popolo afghano ne è la principale vittima. E l’esecutore di queste politiche è proprio il governo mafioso di Abdullah e di Ghani, così come lo è stato Karzai, al servizio di John Kerry e della Casa Bianca. I risultati di queste politiche hanno determinato l’insicurezza nel Nord, soprattutto a Kunduz, e hanno affondato il paese nella violenza, ostilità etniche e religiose, povertà, disoccupazione, crisi ed estremismo: questi sono i risultati di queste politiche demagogiche. Gli Stati Uniti stanno trasformando l’Afghanistan in un centro per il narcotraffico e per il terrorismo internazionale, sperando così di destabilizzare i paesi rivali Cina e Russia. Il popolo afghano sta pagando un caro prezzo per i programmi neo-coloniali degli Stati Uniti…

Finché non riusciremo a cancellare la vergogna del 27 e 28 aprile 1992 non riusciremo a chiudere i conti con i disastri che ne sono scaturiti e non avremo MAI pace e felicità! La cultura dell’impunità per i criminali è la ragione principale per cui il nostro Paese sta affondando nell’oppressione e nel terrore. Uniamoci per liberare il nostro paese dall’oscurità e dalla violenza. Solo l’unità, la lotta e la consapevolezza possono liberare il nostro popolo!

Il Partito della Solidarietà dell’Afghanistan (SPA) chiede il sostegno di tutte le organizzazioni che si battono per la liberta del nostro paese e fa appello per la mobilitazione e la lotta contro tutti i fondamentalismi, contro le le forze reazionarie e contro le ingerenze straniere. L’unità e la lotta sono l’unica via per raggiungere la pace, la giustizia e la democrazia. Solo le nazioni del mondo che si sono ribellate all’ingiustizia hanno vissuto nella sicurezza e nell’orgoglio.

16 Febbraio a Roma: Libertà per Ocalan e per tutte e tutti i prigionieri politici & Difendiamo il Rojava per la libertà e la pace in Medio Oriente – Adesioni

UIKI – MANIFESTAZIONE NAZIONALE – Roma il 16 febbraio 2019 ore 14.:00

corteo 2 1 630x325 599x275Sono 20 anni che il leader del popolo curdo Abdullah Ocalan è sequestrato nell’isola-carcere di Imrali, in condizione di totale isolamento. Dal 2011 gli è negato l’incontro con i suoi legali e dal 2015 lo Stato turco impedisce ogni qualsivoglia contatto.

Solo qualche giorno fa, per pochi minuti ha potuto riabbracciare il fratello, stante la pressione esercitata nel mondo dal #HungerStrike di migliaia di curde/i, in particolare nelle carceri turche dove la deputata HDP Leyla GÜVEN è giunta al 70° giorno di sciopero insieme a centinaia di detenute/i con l’intento di “porre fine all’isolamento di Ocalan”.

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“VOI VANDEA, NOI MAREA”: IN 200 MILA A ROMA AL CORTEO DI NON UNA DI MENO

Dinamopress – 24 novembre 2018

copLa potenza ha tante forme. Quattro ragazzine che camminano abbracciate con il pañuelo fuxia tirato sopra il naso. Gli striscioni che puntellano il corteo con i nomi delle città più disparate. I cartelli e i cori che esprimono le richieste più urgenti: basta violenza maschile sulle donne, libertà di scelta, no al Ddl Pillon e al decreto Salvini.

il corteo è stato segnato da diverse azioni performative. Si è aperto con le ancelle che hanno letto il proclama contro il Ddl Pillon e gettato la loro cuffia al grido di «ci volete ancelle, ci avrete ribelli!». È proseguito con i palloncini pieni di riso per le tante donne uccise da femminicidio e violenza di cui non sempre sappiamo i nomi.
A Piazza Esquilino è stato simbolicamente chiuso con il nastro bianco e rosso l’accesso al Viminale, un grande pañuelo fuxia riportava la scritta «freedom of movement is our struggle». A piazza Santa Maria Maggiore le precarie Istat vestite da ancelle hanno protestato contro la candidatura “inconcepibile” del pro-life Blangiardo  alla direzione dell’Istituto. Diversi interventi hanno denunciato l’apertura della nuova sede di Provita, ulteriore conferma dell’alleanza tra antiabortisti e estrema destra. prima di entrare in piazza le donne Curde hanno letto un testo inviato dalle compagne delle Ypj e dato vita a una danza tradizionale sulle note di una delle canzoni più toccanti della lotta di liberazione della Siria del Nord.

Tantissime le città da nord a sud scese in piazza: Alessandria, Bari, Bergamo, Bologna, Brescia, Brindisi, Firenze, Genova, Latina, Livorno, Lucca, Mantova, Milano, Monterotondo, Napoli, Padova, Vicenza e Ferrara, Pavia, Perugia, Pescara, Pisa, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini, Salerno, Siena, Torino, Trento, Treviso, Trieste, Venezia, Verona, Viareggio.

In piazza sono scese 200 mila persone. Ma più dei numeri conta l’energia della manifestazione. «Ho 18 anni – racconta Marta, studentessa romana – vengo alle manifestazioni di Non Una Di Meno da quando ne avevo 16. Dobbiamo lottare contro questo governo che vuole portarci indietro al Medioevo». Dietro di lei sfila lo spezzone della Casa internazionale delle Donne, minacciata di sgombero dalla giunta Raggi. Le donne che reggono lo striscione hanno combattuto tante battaglie.

Accanto passa una mamma con tre figlie. «Chi dice che i femminicidi non esistono, che sono omicidi come gli altri – dice Roberta, studentessa universitaria di 21 anni – lo fa perché vuole nascondere una società maschilista in cui l’uomo sente sua moglie, sua sorella, la ragazza che passa per strada come sua proprietà».

Slogan e voci raccontano una condizione di violenza strutturale che attraversa la società: dalla vita quotidiana ai provvedimenti del governo. «Sono qui perché non è giusto che devo aver paura di tornare a casa di notte, come fanno i miei compagni maschi», dice Alessia, 18 anni. «I problemi delle donne – aggiunge Marta, che di anni ne ha 40 – vengono da molto lontano, dalla storia di questa società. Noi adesso abbiamo deciso di cambiare tutto e non sarà questo governo sessista e razzista a fermarci».

Un grido ha attraversato tutta la mobilitazione: stato di agitazione permanente. Contro questo governo e contro questa società patriarcale: le voci e gli slogan che rimbalzano nel corteo testimoniano della capacità del movimento femminista di tenere assieme rivendicazioni generali e mobilitazioni diffuse sui territori.

Mentre si svolge la manifestazione romana, Giulia racconta che a Verona erano previste per oggi due iniziative: «il convegno di Forza Nuova che riuniva molti leader dell’estrema destra internazionale e il comitato “No 194” a cui è iscritto anche il Ministro della Famiglia Lorenzo Fontana che sfilava per le vie della città per chiedere l’abrogazione della legge». «Poco più di 100 persone – continua Giulia – diversamente dalle molte centinaia che hanno preso parte alla piazza organizzata da Nudm Verona e dagli altri movimenti della città».

L’attacco contro l’accesso delle donne all’aborto era passato recentemente dalla mozione presentata proprio a Verona e riproposta anche nei Consigli Comunali di Roma, Milano ed Alessandria, suscitando una forte mobilitazione da parte delle reti territoriali del movimento. Come sottolinea un intervento dal microfono, si sta consolidando «un’alleanza tra pro-life e fascisti che oggi sfilano insieme contro la libertà e l’autodeterminazione delle donne per abolire la 194».

Adele di Pisa ci parla della nomina ad Assessore alla Cultura Andrea Buscemi accusato di stalking e condannato per questo in sede civile: «è in corso una mobilitazione in città per far dimettere questo assessore».

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L’8 Marzo di Malalai in Germania a fianco delle donne Curde

Tratto da facebook di Malalai

Traduzione di Cristina Cangemi, Giulia Giunta, Ester Peruzzi, Dalila Scaglione e Sara Somaini

malalaiVorrei estendere i miei più sinceri ringraziamenti all’International Women Space per avermi invitato a partecipare a questa dimostrazione nella Giornata internazionale della donna e a portarvi il messaggio degli afghani sofferenti e oppressi, soprattutto le donne.

Vengo da un paese dilaniato e ferito dalla guerra chiamato Afghanistan, un paese dove gli uomini e le donne non hanno alcuna emancipazione e continuano a subire il fascismo di diversi tipi di fondamentalismo e l’occupazione da parte degli Stati Uniti e della NATO. Un paese dove le bombe, gli attacchi suicidi, gli attacchi di droni, le esecuzioni pubbliche, gli stupri di gruppo, il rapimento, la tossicodipendenza e il traffico di droga, la corruzione e un migliaio di altre tragedie minacciano la vita della popolazione ogni secondo.

A più di sedici anni dalla cosiddetta “liberazione delle donne afghane” da parte degli Stati Uniti e della NATO e dopo aver speso più di 100 miliardi di dollari, sfortunatamente il nostro paese occupa ancora la prima posizione nella lista dei paesi dilaniati dalla guerra, produttori di droga, corrotti, analfabeti, infelici e segnati dalla guerra. Il genocidio perpetrato nel nostro paese non è inferiore alla brutalità dell’era talebana.
Tuttora le principali vittime sono le donne afghane. La condizione delle donne in Afghanistan è tanto catastrofica quanto lo era durante il regime ignorante e misogino dei Talebani.
Forse vi è arrivata la scioccante notizia dell’uccisione della ventisettenne Farkhunda che è stata brutalmente picchiata a morte da un gruppo di criminali ignoranti e il suo corpo è stato bruciato in pubblico a solo un paio di chilometri dal palazzo presidenziale. Ciò ha dimostrato che le grandi affermazioni del governo statunitense e di quello occidentale, dei media e dei loro fantocci afghani sui diritti delle donne nel paese sono solo grandi bugie per fini propagandistici. Sfortunatamente assistiamo a uccisioni, stupri, lapidazioni a morte, tagli di orecchie e nasi, pestaggi pubblici di donne sia da parte dei talebani, signori della guerra locali e da parte dell’ISIS, flagellazione, perseguimento, tossicodipendenza, matrimoni forzati, spose bambine, attacchi con acidi a ragazze, violenza domestica, aggressioni a studentesse o avvelenamenti e altri crimini medievali contro le nostre donne avvengono ogni giorno.

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Nessun Rifugio in Afghanistan

da hrfw.org – 19 Marzo 2018

Il Governo afghano cerca di assumere il controllo dei Rifugi per le donne… di nuovo

201803asia afghanistan protest violence women farkhunda 1Membri delle organizzazioni della società civile intonano slogan durante una protesta per condannare l’uccisione della ventisettenne Farkhunda, avvenuta giovedì 24 marzo 2015. La donna è stata picchiata con dei bastoni e bruciata da un gruppo di uomini nel centro di Kabul, in pieno giorno.

© 2018 Reuters

Traduzione: Cristina Cangemi, Giulia Giunta, Ester Peruzzi, Dalila Scaglione, Sara Somaini.

Nel corso della loro vita, più di otto donne e ragazze afghane su dieci subiscono violenza domestica e altre forme di violenza. Prima del 2001 non avevano alcun posto in cui andare. Oggi ci sono alcuni porti sicuri: la piccola, ma disperatamente importante rete di rifugi per le donne del paese.

Ma questi rifugi ora sono sotto attacco del governo afghano e non è la prima volta. Il mese scorso, il Ministry of Women’s Affairs (MoWA) ha annunciato che avrebbe attuato diversi piani per ottenere il controllo dei fondi per i centri di accoglienza forniti da donatori stranieri e che avrebbe chiesto agli operatori dei rifugi di cercare i finanziamenti attraverso il ministero. Potrebbe sembrare un’iniziativa ragionevole: una caratteristica del governo del presidente Ashraf Ghani è stata spingere per un maggiore controllo del governo sui fondi dei donatori in nome della lotta alla corruzione.
Tuttavia, abbiamo già visto accadere cose simili.

Nel 2011, il MoWa aveva anche fatto pressioni per ottenere il controllo dei rifugi e si era comportato esattamente come ora, riferendosi a “problemi” nei centri di accoglienza e lasciando intendere, falsamente, che i rifugi siano dei bordelli. Ma queste bugie sono state diffuse per anni dagli oppositori dei diritti delle donne che credono che quest’ultime non debbano avere un rifugio sicuro dai mariti, non importa quanto violenti essi siano, e che un padre o un fratello debbano avere totale controllo sulla vita, o morte, di una donna.

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La protesta delle donne contro il vertice G20 è forte e variegata

www.uikionlus.com – 27 giugno 2017

G 20 1Come Associazione delle Donne del Kurdistan in Germania (YJK-E) e Ufficio delle Donne per la Pace (Cenî), condanniamo la politica del G20 ostile alle donne, basata sullo sfruttamento e la repressione. Gli Stati del G20 rappresentano una politica del dominio e un sistema economico che si contrappone in modo distruttivo alle persone, alla natura e alla vita.

I rappresentanti governativi che all’inizio di luglio si incontrano ad Amburgo, sono i rappresentanti del sistema capitalista di economia finanziaria e sfruttamento il cui obiettivo è di scaricare le perdite finanziarie della loro crisi sulle aree e le persone che meno di tutti ne sono responsabili. Già Rosa Luxemburg descriveva che il capitalismo senza lo sfruttamento di sempre nuove fonti – non ancora conquistate dal capitalismo – non può continuare ad esistere. Per questo il sistema economico cerca di penetrare sempre di più in tutti gli ambiti della vita delle persone.

È molto importante riconoscere il nesso tra patriarcato e i problemi sociali, politici ed economici in essere. Il patriarcato rappresenta la prima forma di oppressione. Il dominio dell’uomo sulla donna è stato la prima spaccatura nella società attraverso la quale gli esseri umani sono stati divisi in oppressi e oppressori.
Costruendo su questi rapporti di potere hanno potuto svilupparsi altre forme di oppressione e per questo il patriarcato è parte di ogni struttura di potere e di dominio. La spaccatura patriarcale della società ha causato la prima divisione del lavoro che poi ha portato alla società divisa in classi. Schiavitù e servitù della gleba hanno costruito sulle esperienze dell’oppressione delle donne e anche il capitalismo è potuto nascere solo in base all’oppressione di genere, perfino sviluppandola ulteriormente. Per questo in tutte le forme di oppressione è possibile trovare elementi patriarcali. Per questo una lotta per la liberazione dei generi è sempre anche una lotta contro le forme del sistema capitalista.

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I dimostranti levano le tende, ma la protesta continua

Afghanistan Times

Protest on Human Rights 660x415Kabul – I dimostranti di “Rivolta per il cambiamento”, che protestano contro le politiche del governo, martedì scorso hanno smantellato sei tende che avevano montato sulle strade principali della città di Kabul.

In seguito al recente attacco a Kabul, venerdì scorso centinaia di dimostranti sono scesi per le strade della capitale nel tentativo di marciare fino al Palazzo Presidenziale. Protestano contro il gravissimo attentato di mercoledì, quando un camion carico di esplosivo è stato fatto saltare nella città uccidendo oltre 150 persone. I dimostranti accusano i funzionari per la sicurezza di non essere stati capaci di assicurare l’incolumità dei cittadini e chiedono le loro dimissioni. Da venerdì hanno montato diverse tende di protesta a Kabul, provocando ingorghi e caos nel traffico cittadino, creando un problema di ordine pubblico durante il mese sacro del Ramadan.

“Per rispetto alle persone e al mese sacro del Ramadan, la Rivolta per il cambiamento ha deciso di smontare 5-6 tende dalle strade di Kabul, facendo ritornare il traffico alla normalità”, ha detto un organizzatore della manifestazione, Haroon Motaref.

Ha inoltre aggiunto che le rivendicazioni dei dimostranti non sono ancora state ascoltate, ma sperano che il governo risponda positivamente alle loro richieste. Una tenda di protesta è rimasta vicino alla piazza Zanbaq, e se il governo non risponderà positivamente alle richieste il numero delle tende verrà nuovamente aumentato.

In seguito al recente attentato l’ufficio del procuratore generale (AGO) ha sospeso il comandante della guarnigione e il capo della polizia di Kabul.

Membri del parlamento, jihadisti e partiti nazionali hanno più volte espresso preoccupazione per le tende issate in occasione di sit-in di protesta a Kabul che provocano grossi problemi al traffico durante il mese sacro del Ramadan, e hanno chiesto ai dimostranti di mettere fine al blocco delle strade.

Traduzione di Giovanna Gagliardo

L’Exdeputata Malalai Joya: «L’Isis arruolerà gli afghani respinti dall’Europa»

Corriere della sera Esteri – di Viviana Mazza – 31 maggio 2017

xx kJKF U433201038364711nCH 1224x916Corriere Web Sezioni 593x443La «donna più coraggiosa dell’Afghanistan» espulsa dal parlamento per aver accusato i Signori della Guerra: «Nel 2001 speravamo negli Stati Uniti, ma non sono stati onesti»

«Siamo la generazione perduta. Nella vita abbiamo visto solo sangue, esodi, occupazione, guerra», dice al Corriere
Malalai Joya. L’hanno definita la donna più coraggiosa dell’Afghanistan per le parole che pronunciò nel 2003, appena eletta deputata: «Perché permettiamo ai Signori della Guerra, che opprimono le donne e hanno distrutto questo Paese, di sedere in Parlamento?». Malalai aveva 25 anni. Fu espulsa dal Parlamento e da allora vive braccata a Kabul: è sfuggita a molti attentati, da un anno non vede il figlio (che ne ha 4). «Piccole sofferenze rispetto alla tragedia del mio Paese», dice. Un mese fa, prima del suo arrivo in Italia per partecipare al festival «Mediterraneo Downtown» di Prato, un kamikaze ha fatto 78 vittime a Kabul; ieri è tornata in patria, accolta dall’ennesimo attentato. La sede della Ong «Cospe» che l’ha ospitata a Prato, era vicina all’esplosione: l’italiana Federica Cova era in ufficio, l’afghana Rohina Bawer era diretta al lavoro in taxi, si è salvata per pochi istanti.

A Kabul ieri ci sono state proteste contro il governo oltre che contro i talebani e l’Isis. Cosa chiede la gente?

«Il problema non sono solo i fondamentalisti ma anche l’occupazione e il governo fantoccio di Ghani. Ero neonata ai tempi dell’invasione sovietica, profuga durante la guerra civile, insegnante clandestina sotto i talebani. Dopo la tragedia dell’11 settembre, speravamo davvero nella pace e nella giustizia.
Ma gli Stati Uniti non sono stati onesti: hanno rimpiazzato i talebani con i Signori della Guerra, travestiti da democratici in giacca e cravatta ma anche loro fondamentalisti e con le mani sporche del sangue della guerra civile. Ora è stato tolto dalla lista nera dell’Onu pure Gulbuddin Hekmatyar, il macellaio di Kabul: i suoi uomini, scarcerati, fanno attentati e difendono l’Isis in tv. I criminali di guerra si contendono il potere. Ognuno ha una tv: da “Tamadon” che vuol dire “progressista” e appartiene ai fantocci fondamentalisti di Russia e Iran, a “Tolo”, portavoce del Pentagono».

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Turchia, lacrimogeni contro manifestanti 1 maggio: oltre 160 arresti

Adnkronos – 1 maggio 2017

Turchia 1Maggio manifestazioni AfpPiù di 160 persone sono state arrestate dalla polizia oggi a Istanbul in seguito agli scontri scoppiati tra le forze dell’ordine e un gruppo di manifestanti che volevano radunarsi in piazza Taksim, per celebrare il primo maggio nonostante il divieto delle autorità. Lo riferisce l’agenzia di stampa Dogan.

In precedenza l’emittente Ntv aveva parlato di circa 70 fermi nel distretto di Besiktas.

Gli agenti hanno utilizzato i gas lacrimogeni contro un gruppo di manifestanti che si era radunato nel quartiere Mecediyekoy, sventolando delle bandiere con degli slogan contro il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan.

La Turchia celebra il potere del Labour Day, due settimane dopo un referendum che ha rafforzato significativamente i poteri del presidente Recep Tayyip Erdogan.