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Tag: Manifestazioni

Il tempo della libertà è arrivato: Appello per una mobilitazione in Italia il 12 febbraio per la liberazione di Abdullah Öcalan

Uiki Onlus, 20 dicembre 2021

Ocalan libertàDa 23 anni Abdullah Öcalan è stato imprigionato a seguito della cospirazione internazionale del 15 febbraio 1999. Per oltre dieci anni è stato l’unico prigioniero nell’isola fortezza di Imrali. Nonostante le condizioni indescrivibili del suo isolamento non ha mai smesso di sperare in una soluzione pacifica ai conflitti in Medio Oriente. Per diversi anni Öcalan è riuscito a negoziare con il governo turco per raggiungere questo obiettivo. La stragrande maggioranza della popolazione curda vede Abdullah Öcalan come proprio rappresentante, e ciò è stato confermato dalla raccolta di firme di oltre 3,5 milioni di curdi nel 2005. Ocalan è un attore politico e il suo status ha anche dimensioni politiche più ampie. La società curda, così come gli analisti politici, lo considerano un leader nazionale e il rappresentante politico dei curdi.

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L’Afghanistan affamato manifesta

Enrico Campofreda, 22 dicembre 21

Kabul proteste“Fateci mangiare”. “Dateci i nostri soldi congelati” dicono i cartelli dei cittadini di Kabul, quelli che non vogliono né possono fuggire. Desiderosi di vivere nella propria terra, da cinquant’anni stuprata da soggetti politici – interni e internazionali – che hanno inanellato disastri, lasciandosi alle spalle scie di sangue e un vuoto di futuro. Gli ultimi sono gli occidentali, di cui anche la nazione italiana ha fatto parte, dileguatisi nell’agosto scorso, passando il testimone agli ex nemici talebani diventati statisti.

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KABUL, CHI TACE ACCONSENTE?

kabulKabul, 19 agosto 2021 – la bandiera afghana è un segno di protesta contro i Talebani al potere

Dopo un anno e mezzo di trattative con i Talebani, l’esercito degli Stati Uniti e le truppe alleate lasciano l’Afghanistan. L’ultimo volo degli americani è salutato in Occidente da commenti ironici sull’avventura di 20 anni di guerra finita in una fuga precipitosa e in un indecoroso fallimento.
I più importanti Paesi musulmani tacciono. Imran Kan, primo ministro del Paese che più ha sostenuto la guerra delle bande islamiste, afferma che «gli insorti hanno spezzato le catene della schiavitù». Ha ragione? L’indipendenza nazionale, quella che i Talebani hanno sempre affermato di perseguire e che ora hanno effettivamente conseguito, non è la stessa cosa della liberazione dalla schiavitù, ma è esattamente ciò contro cui USA e alleati hanno combattuto per due decenni.
Della schiavitù imposta ad una intera popolazione è importato e importa poco, anche se la campagna mediatica delle “democrazie” nel mondo si è affannata a testimoniare compassionevole solidarietà alle donne afghane colpite dalla più brutale oppressione “di genere”.

Quello che importa è che un Paese ricco di risorse naturali e punto di intersezione di vie di transito delle merci e degli affari sia “stabilizzato”, cioè che vi sia qualcuno che comanda con il quale trattare l’apertura alla competizione tra multinazionali. L’uscita di scena (almeno apparente) degli Stati Uniti contribuisce a sconvolgere la rete di alleanze che hanno tenuto in equilibrio i rapporti tra le grandi potenze e lascia spazio al conflitto tra Paesi musulmani che rischia di coinvolgere l’Occidente.

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Contro l’ideologia talebana, l’impegno non si spenga.

La manifestazione di oggi 25 settembre a Roma, che era già stata organizzata e programmata da diverso tempo il cui appello è «La voce delle donne per prendersi cura del mondo» sarà dedicata in parte alla situazione delle donne in Afghanistan. 

Il Manifesto, 25 settembre 2021, di Giuliana Sgrena  Manifesto 25 settembre 21

Oggi a Roma. L’oppressione degli studenti coranici ha una sua specificità insormontabile. Solo individuandola è possibile combattere insieme alle donne afghane. Senza far spegnere i riflettori.

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La nostra solidarietà alle donne dell’Afghanistan Coordinamento nazionale donne Anpi

Patriaindipendente.it – 16 settembre 2021

Sosteniamo la loro resistenza nella coraggiosa battaglia per i diritti attraverso progetti di associazioni quali Cisda, restate nel Paese accanto alla popolazione civile, mettendo a rischio anche la sicurezza di operatrici e operatori, ribadiamo l’appello per una grande mobilitazione e per l’apertura di corridoi umanitari.

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Da settimane l’Afghanistan è ripiombato nell’incubo dell’integralismo talebano che, con particolare accanimento, è tornato a violare i diritti di libertà e autodeterminazione delle donne, specchio del grado di civiltà di ogni società.

Nel corso degli ultimi anni, nonostante il permanere di uno scenario di guerra e di occupazione militare da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, le donne afghane, in particolare delle realtà urbane, erano riuscite, seppur relativamente, ad avviare, attraverso lo studio, il lavoro e la partecipazione a funzioni istituzionali, un percorso di riconoscimento della loro soggettività e a migliorare le loro condizione di vita.

Ora, la caotica modalità con cui gli Stati Uniti hanno dato luogo al ritiro militare e la contestuale occupazione del territorio da parte dei talebani, oltre al permanere di condizioni di instabilità, ha immediatamente riproposto il tema dell’eliminazione di quei diritti e di quelle conquiste, e il pericolo altissimo che possono correre le donne che si sono esposte per il progresso della società intera.

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Nonostante tali pericoli e le limitate informazioni, in questi giorni, a Herat, Kabul e in altre aree del nord del Paese, abbiamo potuto vedere che le donne, con una straordinaria forza di ribellione e di idee, sono scese in piazza per rompere il silenzio e hanno coraggiosamente manifestato al grido di “diritti e libertà”.

Le donne afghane chiedono che vengano garantiti il diritto all’educazione, la libertà di parola, la possibilità di contribuire alla vita politica e sociale.

In Afghanistan a sostegno delle donne e non solo, operano diverse associazioni, tra queste, da oltre due decenni, c’è il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane Onlus (Cisda), che è riuscito a tessere una preziosa rete di relazioni a supporto delle attiviste locali con la presentazione di molteplici progetti e che in diverse città italiane ha già organizzato iniziative.

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Ci piace segnalare “Vite Preziose”, finalizzato al sostegno a distanza delle donne afghane che intendono sfuggire dalla violenza e raggiungere l’autodeterminazione personale e politica. Tramite Hawca, il partner afghano di Cisda, sono nate una casa protetta, un centro culturale e un centro di aiuto legale.

Nel mese di luglio scorso il Coordinamento nazionale donne Anpi aveva inviato una lettera di condivisione e di adesione al progetto. E a seguito del precipitare degli eventi di agosto,  ha lanciato un appello che richiama la necessità, a fronte della nuova, devastante emergenza umanitaria, di una mobilitazione urgente, anche di solidarietà materiale.

Per tali ragioni, va dato pieno sostegno alle associazioni che hanno deciso di rimanere nel Paese accanto alla popolazione civile, con un enorme rischio per la stessa sicurezza delle proprie operatrici e operatori.

L’appello più urgente che le organizzazioni umanitarie lanciano a tutti i Paesi è quello di aprire corridoi umanitari non solo per gli stranieri residenti in Afghanistan e per quanti hanno collaborato con la comunità internazionale ma anche per chi è nel mirino dei talebani, a cominciare dalle donne, ampliando la rete di sostegno alla popolazione femminile che cerca di resistere.

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La locandina della manifestazione “TULL QUADZE/TUTTE LE DONNE. La voce delle donne per prendersi cura del mondo”

La solidarietà alle donne afghane sarà parte rilevante della manifestazione nazionale delle donne “TULL QUADZE/TUTTE LE DONNE. La voce delle donne per prendersi cura del mondo” promossa dall’assemblea della Magnolia che si svolgerà a Roma il prossimo 25 settembre che vedrà anche la partecipazione del Coordinamento nazionale donne dell’Anpi.

La resistenza delle donne afgane

Sinistrasindacale.it  – NUMERO 16 – 2021 – Linda Bergamo – 12 settembre 2021

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“Abbiamo già bruciato i nostri libri…’’, mi racconta Hafiza al telefono. ‘‘Le milizie taliban passano di casa in casa dicendo che vengono a cercare le armi. Noi sappiamo che in realtà cercano di capire chi siamo, se abbiamo lavorato col governo o con gli americani, se abbiamo studiato o se abbiamo fatto politica. Un quartiere dopo l’altro, arrivano. Tra qualche giorno saranno qui’’.

C’è un solo tipo di musica autorizzato dal regime talibano, ancora diffusa dalle autoradio delle macchine ferme all’incrocio. Pattuglie di taliban camminano per la strada, o osservano la gente seduti a bordo dei pick up. C’è chi cerca di scappare, nei Paesi vicini, in Europa o negli Usa, le immagini dell’aeroporto di Kabul lasciano l’amaro in bocca. L’Afghanistan sembra in attesa. In attesa di sapere se sarà formato un governo di coalizione fra taliban e alcuni membri del governo precedente. In attesa di sapere quali saranno le regole di questo nuovo periodo storico. In attesa di ritirare soldi dalle banche, perché sono tutte chiuse. La preoccupazione più grande è quella di finire le scorte, di non avere più nulla da mangiare. Cosa ne sarà degli ospedali, delle scuole, delle istituzioni? I fondi internazionali sono stati bloccati. Forse saranno usati come leva da parte della comunità internazionale per imporre condizioni volte al rispetto dei diritti umani.

Al di là dell’incertezza e della paura, c’è la resistenza. La resistenza in Afghanistan assume tante forme, alcune più visibili di altre, nello spazio pubblico o privato. All’indomani della presa di Kabul, una parte della popolazione è scesa in piazza con le bandiere tricolori, manifestando contro i nuovi detentori del potere. La maggior parte delle manifestazioni sono state represse nel sangue, quelle invece mediatizzate sembravano voler rassicurare il popolo che i taliban sono aperti alle forme di protesta.

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Uniamoci alla resistenza delle donne afghane

A Milano, a Roma, a Trieste, in Sicilia e in tante realtà italiane si stanno costruendo reti di donne che cercano di collaborare attorno all’obiettivo di mantenere desta l’attenzione sulla questione afghana.

Fiorella Carollo, Pressenza, 11 settembre 2021

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A Milano, a Roma, a Trieste, in Sicilia e in tante realtà italiane si stanno costruendo reti di donne che cercano di collaborare attorno all’obiettivo di mantenere desta l’attenzione sulla questione afghana. “Associazioni che in realtà hanno scopi specifici diversi, si stanno rendendo disponibili e questa è decisamente una novità. Ci stanno arrivando ovunque offerte di collaborazione e stiamo cercando di mettere tutte in rete. Per esperienza sappiamo e abbiamo visto negli anni che le reti si formano per poi scomparire ed è proprio quello che noi vogliamo evitare avvenga. Stiamo cercando di creare una coalizione con una base condivisa, nonostante le diverse origini, e che su alcune questioni condividano proprio un progetto di trasformazione che riguardi sì la difesa dei diritti delle donne in Afghanistan, ma anche qui in Italia perché siamo sulla stessa barca.”

A parlare è Gabriella Gagliardo, presidente del Cisda, (Coordinamento italiano sostegno donne afghane) un’associazione che da diversi decenni sostiene il gruppo politico Rawa, le donne rivoluzionarie dell’Afghanistan di cui si è fatta portavoce in Italia. Oggi il Rawa è decisamente in prima linea nella resistenza ai talebani e sta sollecitando le sue relazioni all’estero affinché si uniscano in un fronte comune e non disperdano la grande solidarietà delle donne, come al solito estremamente frammentata.

Il Rawa ha una certa diffusione sul territorio afghano perché iniziò a lavorare nei campi profughi che negli anni Settanta con l’invasione russa dell’Afghanistan si erano creati in Pakistan. Con l’occupazione della Nato vennero rasi al suolo e ricostruiti all’interno del paese, perché la gente rifugiata ormai sfollata da anni non sapeva dove andare e nessuno li ricollocava. In questi vent’anni dell’occupazione Rawa Nato ha lavorato sia all’interno dei campi profughi che nei villaggi, nelle campagne oltre alle principali città afghane.

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Presidio di Hambastaghi in solidarietà con Black Lives Matter.

 Dal sito di Hambastaghi – 7 giugno 2020 – Kabul:

SPA 7 giugno 2020Oggi alcuni attivisti di Hambastagi, il Partito di solidarietà dell’Afghanistan (SPA), hanno tenuto un presidio in solidarietà alle manifestazioni di protesta degli Stati Uniti contro la repressione imposta dal loro governo fascista. Uno degli obiettivi di Hambastagi è esprimere solidarietà a tutti i movimenti progressisti antimperialisti e li sostiene ad ogni occasione.

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Una sparatoria durante la distribuzione di aiuti alimentari in Afghanistan ha ucciso sei persone.

Aljazeera – 9 maggio 2020 *

distribuzione paneGli scontri sono scoppiati in Afghanistan centrale a seguito della protesta dei residenti che chiedevano assistenza economica e sono state uccise sei persone.

Almeno sei persone sono state uccise a seguito degli sconti con la polizia nella provincia centrale di Ghor in Afghanistan. I manifestanti protestavano perché consideravano iniqua la distribuzione degli aiuti alimentari durante la pandemia del coronavirus.

Il consigliere provinciale Abdul Basir Qaderi ha riferito che la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti dopo che avevano danneggiato proprietà del governo e attaccato le forze di sicurezza con lancio di pietre.

Nonostante colpi di avvertimento e cannoni ad acqua, ha detto, non si è riusciti a disperdere i manifestanti. Tra i morti ci sono due agenti di polizia, un giornalista e tre manifestanti. Tra i feriti 10 poliziotti e 9 manifestanti.

Ha detto Quaderi: “La città è al momento militarizzata. Ci sono carri armati per le strade”.

Su Twitter il presidente dell’’Afghanistan Independent Human Rights Commission (AIHRC) Shaharzad Akbar ha detto che sta esaminando i preoccupanti rapporti di polizia sulle sparatorie sui manifestanti.

Amnesty International ha chiesto un’indagine indipendente sull’uso della forza da parte della polizia.

A seguito dell’incidente, il Primo Vice Presidente dell’Afghanistan Amrullas Saleh si è detto scioccato e rattristato dalla notizia.

Saleh ha scritto su Facebook: “Indagheremo seriamente sull’’incidente”.

Ghor è una delle province più povere, insicure e sottosviluppate del paese.

In Afghanistan è iniziata una distribuzione gratuita di pane per i più poveri nelle panetterie, mentre continua il blocco per il coronavirus.

A livello nazionale su 15.000 test condotti ci sono stati circa 4.000 casi confermati.

La Banca mondiale ha affermato venerdì che la pandemia sarà una grande sfida per l’Afghanistan, già provato da incertezza politica, sicurezza e alto tasso di povertà.

*[trad. a cura di Cisda]

Sabato 25 gennaio 2020 giornata di mobilitazione internazionale per la pace

Arci.it  14 gennaio 2020

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‘Spegniamo la guerra, accendiamo la Pace!’   contro le guerre e le dittature a fianco dei popoli in lotta per i propri diritti.

“La guerra è un male assoluto e va ‘ripudiata’, come recita la nostra Costituzione all’Art. 11: essa non deve più essere considerata una scelta possibile da parte della politica e della diplomazia”.

Il blitz del presidente Trump per uccidere il generale iraniano Soleimani, il vicecapo di una milizia irachena ed altri sei militari iraniani, è un crimine di guerra compiuto in violazione della sovranità dell’Iraq. Insieme alla ritorsione iraniana si è abbattuto anche sui giovani iracheni che da tre mesi lottano contro il sistema settario instaurato dall’occupazione Usa e contro le ingerenze iraniane, in un paese teatro di guerre per procura ed embarghi da decenni.

Irak, Iran, Siria, Libia, Yemen: cambiano i giocatori, si scambiano i ruoli, ma la partita è la stessa.

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